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martedì 15 novembre 2011



IL RICATTO DELLA FIAT


Loris Campetti

In poche ore la Fiat ha annunciato la chiusura anticipata dello stabilimento di Termini Imerese - prima ancora dell'eventuale firma dell'accordo tra il nuovo aspirante acquirente e i sindacati - e ha minacciato la Fiom di chiuderne un altro, la ex Bertone, se i metalmeccanici della Cgil non rinunceranno a ricorrere al giudice per chiedere l'applicazione di una sentenza a essa favorevole emessa da un altro giudice. Il ricatto, la prepotenza di chi si ritiene impunibile e improcessabile, l'uso volgare della crisi per cancellare ogni dissenso e azzerare ogni diritto, sono pratica corrente di Sergio Marchionne. 
Dietro la pistola puntata alla tempia di mille lavoratori piemontesi c'è nascosto un cannone: l'intenzione di estendere il modello Pomigliano a tutti gli stabilimenti del gruppo, nell'auto, nei camion, nei trattori, non più negli autobus perché la fabbrica campana dell'Irisbus l'ha già chiusa. Di conseguenza, i 70 mila lavoratori per ora sopravvissuti alla mannaia del manager dei due mondi vedrebbero cancellato il contratto nazionale, sostituito da uno aziendale «vuoto» imposto con la forza. Se si cancella alla Fiat, il contratto nazionale non esiste più.
Alla ex Bertone i due terzi dei dipendenti sono della Fiom, ma non possono ribadirlo con il voto perché un gruppo di compagni di merenda ha deciso di impedirlo. Fiat, Fim e Uilm stanno boicottando il rinnovo delle Rsu, perché tanto dal 1° gennaio non esisteranno più i delegati, ci saranno soltanto non-rappresentanti non-eletti ma nominati dai sindacati complici, grazie al modello Pomigliano. Come dice il segretario della Fiom Maurizio Landini, se si impedisce ai lavoratori di votare - oltre che di scioperare e ammalarsi - «è per fotterli». Sembra una metafora dell'Italia di queste ore: se si impedisce ai cittadini di votare, non sarà anche in questo caso per fotterli? La metafora viene in mente rileggendo un passo di un'intervista di qualche mese fa del Corriere a Mario Monti, in cui quest'ultimo lamenta «la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale» in Italia. Ma non dispera, il presidente del consiglio incaricato: «Tutto questo può venir superato. L'abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili».
Se sono questi i modelli di Monti, vuol dire che il punto di programma sul lavoro del governo che dovrebbe prendere il posto di quello sfiduciato dalle borse è già scritto, ed è la fotocopia di quello partorito da Sacconi. Solo che, per lo meno, contro Sacconi c'era una qualche timida opposizione politica mentre Monti è il Salvatore della Patria, molto più che l'Unto del Signore. 

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