Pagine

giovedì 30 dicembre 2010

Documento del Comitato Centrale del 29.12.2010

Il Comitato Centrale della Fiom considera la scelta compiuta dalla Fiat alle Carrozzerie di Mirafiori un atto antisindacale, antidemocratico ed autoritario senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali nel nostro Paese dal dopoguerra, in contrasto con i princìpi ed i valori della nostra Carta Costituzionale.
L'obiettivo strategico della Fiat è chiaro: provare a cancellare in modo definitivo il sistema dei diritti individuali e collettivi nel lavoro, conquistati nel tempo con le lotte dalle lavoratrici e dai lavoratori del nostro Paese, tramite una libera ed autonoma azione di contrattazione collettiva ed affermare che questa è l'unica condizione per poter investire in Italia.

I contenuti dell'intesa imposta dall'Azienda alle Carrozzerie di Mirafiori saranno estesi anche a Pomigliano rendendo evidente le volontà e la radicalità del gruppo Fiat:

Le Newco servono per cancellare il Contratto nazionale, per azzerare i diritti nel lavoro sanciti da accordi pregressi, per permettere alla Fiat stessa di uscire dal sistema di rappresentanza confindustriale.
I sindacati vengono trasformati in soggetti aziendalistici e corporativi senza più alcun diritto a contrattare, che esistono solo se firmano e sostengono le ragioni e le posizioni dell'impresa. Chi non firma l'intesa non ha diritto di esistere e gli vengono negate tutte le agibilità sindacali, dai permessi sindacali al diritto di assemblea, alla trattenuta sindacale.
Le lavoratrici e i lavoratori non hanno più il diritto ad eleggere propri delegati sindacali, perché ci saranno solo rappresentanti nominati in maniera paritetica dalle Organizzazioni sindacali aderenti al Regolamento imposto dalla Fiat.
Si peggiorano le condizioni di lavoro, di salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro, riducendo le pause sulle linee di montaggio, assumendo la nuova metrica del lavoro Ergouas quale metodo indiscutibile e immodificabile, aumentando gli orari di lavoro e lo straordinario obbligatorio, derogando dalle leggi e dal Ccnl, aumentando le saturazioni dei tempi di lavoro e lo sfruttamento.
Si riduce nei fatti il salario reale, cancellando la contrattazione aziendale sul salario, come avvenuto nel 2010 tagliando il Premio di risultato.
Si introducono sanzioni e penalizzazioni che permettono all'azienda di non retribuire i primi giorni di malattia e di impedire il diritto di sciopero fino alla licenziabilità del dipendente.È paradossale che la Fiat vincoli gli investimenti all'esito di un referendum da lei promosso, in cui si ricattano sul piano occupazionale le lavoratrici e i lavoratori, chiedendo loro di uscire dal Ccnl, dalle leggi e dai princìpi e dai valori della Costituzione e di cancellarne le libertà sindacali.

Il Comitato Centrale della Fiom-Cgil conferma, come già deciso sull'intesa separata della Fiat a Pomigliano, la scelta di considerare inaccettabile e non firmabile il testo proposto dalla Fiat per le Carrozzerie di Mirafiori, giudica illegittimo sottoporre a referendum diritti indisponibili alla negoziazione tra le parti, a partire dalla libera scelta della propria rappresentanza sindacale con il voto, e considera un grave errore della Fim e della Uilm cedere al ricatto della Fiat, perché così si rinuncia a svolgere un ruolo contrattuale e si rischia di rompere con la storia e la natura confederale e solidale del sindacalismo italiano.
Se poi, nello stesso giorno, succede che il Governo fa approvare la riforma Gelmini, taglia i fondi per l'informazione e la cultura e sostiene le scelte della Fiat, è evidente che siamo in presenza di un attacco ai diritti, al lavoro ed alla democrazia che deve preoccupare tutte le forze che hanno a cuore la difesa della nostra Costituzione.

Per queste ragioni il Comitato Centrale della Fiom-Cgil decide di:

Proclamare 8 ore di sciopero generale dei metalmeccanici con l'effettuazione di presidi e manifestazioni regionali per la giornata di venerdì 28 gennaio 2011, rivolgendosi anche a tutte le persone, le associazioni e i movimenti che hanno partecipato il 16 ottobre alla grande manifestazione di Roma.
Lanciare in tutti i luoghi di lavoro e nel Paese una raccolta di firme contro gli accordi di Mirafiori e Pomigliano, per un Contratto nazionale senza deroghe, per la libertà sindacale, per un lavoro stabile e con diritti ed a sostegno della Fiom e della lotta dei metalmeccanici.
Organizzare in tutte le città momenti pubblici e permanenti di presidio, discussione ed informazione per il lavoro, il contratto, la democrazia e le libertà sindacali.

Inoltre il Comitato Centrale della Fiom dà mandato alla Segreteria nazionale di effettuare:

Incontri con le forze politiche. 
Un'iniziativa aperta della Consulta giuridica. 
Organizzare in rapporto con le Fiom di Torino e di Napoli le iniziative più utili per dare continuità al proprio ruolo di rappresentanza e tutela degli interessi delle lavoratrici e dei
lavoratori del Gruppo Fiat. 
Un'estensione dell'azione contrattuale e giuridica per difendere il Ccnl del 2008 e le libertà sindacali, come deciso dai precedenti Comitati Centrali.

Il Comitato Centrale della Fiom esprime il proprio totale sostegno e la propria profonda solidarietà alle Rsu, ai delegati, ai militanti, agli iscritti della Fiom di Mirafiori e Pomigliano che per primi sono impegnati in questa difficile e durissima vertenza e si rivolge a tutte le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici affinché con la loro mobilitazione ed azione collettiva si difendano le libertà sindacali, la dignità del lavoro e la democrazia nei luoghi di lavoro e nel Paese.

Approvato con 102 favorevoli e 29 astensioni

mercoledì 29 dicembre 2010

Conferenza stampa del 29 Dicembre su Fiat


Watch live streaming video from fiomnazionale at livestream.com

A sostegno della Fiom

Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti


Abbiamo deciso di costituire un'associazione, «Lavoro e libertà», perché accomunati da una comune civile indignazione.


La prima ragione della nostra indignazione nasce dall'assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali, di un diritto individuale esercitato in forme collettive. Un diritto della persona che lavora che non può essere sostituito dalle dinamiche dentro e tra le organizzazioni sindacali e datoriali, pur necessarie e indispensabili. Di tutto ciò c'è una flebile traccia nella discussione politica; noi riteniamo che questa debba essere una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell'impegno politico e civile. La crescente importanza nella vita di ogni cittadino delle scelte operate nel campo economico dovrebbe portare a un rafforzamento dei meccanismi di controllo pubblico e di bilanciamento del potere economico; senza tali meccanismi, infatti, è più elevata la probabilità, come stiamo sperimentando, di patire pesanti conseguenze individuali e collettive.


La seconda ragione della nostra indignazione, quindi, è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. Le società democratiche considerano il conflitto sociale, sia quello tra capitale e lavoro sia i movimenti della società civile su questioni riguardanti i beni comuni e il pubblico interesse, come l'essenza stessa del loro carattere democratico. Solo attraverso un pieno dispiegarsi, nell'ambito dei diritti costituzionali, di tali conflitti si controbilanciano i potentati economici, si alimenta la discussione pubblica, si controlla l'esercizio del potere politico. Non vi può essere, in una società democratica, un interesse di parte, quello delle imprese, superiore a ogni altro interesse e a ogni altra ragione: i diritti, quindi, sia quelli individuali sia quelli collettivi, non possono essere subordinati all'interesse della singola impresa o del sistema delle imprese o ai superiori interessi dello Stato. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi.
L'idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l'attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l'egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria.


Ci indigna infine la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé.
La precarizzazione, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, l'aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell'ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto "collegato lavoro" approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l'affettività dei diritti stessi.


Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all'altezza della sfida?
Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall'autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un'associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un'azione adeguata con l'intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno.

martedì 28 dicembre 2010

IL NUOVO RICATTO DI MIRAFIORI dal Manifesto


  • «È la firma della vergogna». Non si trattiene il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, a pochi minuti dalla chiusura dell'accordo a Mirafiori. Un altro senza i metalmeccanici della Cgil. «Non potevamo firmare - spiega - perché si cancella in una volta sola il contratto nazionale, lo Statuto dei lavoratori, le leggi che tutelano il lavoro. E vengono peggiorate le condizioni degli operai alle linee. È come Pomigliano, ma per alcuni versi un'intesa peggiore».

    Cosa c'è di nuovo rispetto a Pomigliano? Perché parlate di attacco allo Statuto?
    C'è un allegato all'accordo, il cui contenuto noi riteniamo gravissimo. Dice che solo chi è firmatario di questo accordo ha diritto alla rappresentanza sindacale. Cancellano il diritto dei lavoratori a eleggere liberamente le proprie Rsu, si torna indietro quasi alle Rsa nominate dall'alto, se non peggio. E qui sta l'attacco alla legge 300, lo Statuto dei lavoratori, che garantisce, come la Costituzione, il diritto e la possibilità di esercitare pienamente i diritti sindacali. 


    Praticamente è una norma scritta per far fuori voi, che non avete firmato. È un danno anche per le altre sigle?
    Certo, oggi è scritta contro di noi, ma vorrei far riflettere tutti sulla portata storica di questa norma, soprattutto se passa nella fabbrica simbolo della Fiat. Praticamente si sta cambiando la natura delle organizzazioni confederali e delle relazioni industriali italiane, passando da un sindacato che rappresenta i lavoratori, a uno corporativo e aziendale, che fa da gendarme. 


    Peggiorano anche le condizioni di lavoro? Come?
    Su quel piano siamo a una riedizione di Pomigliano, con qualche modifica. Pause ridotte, 120 ore di straordinario invece delle 40 da contratto, la possibilità per l'azienda di ordinare quando vuole le 10 ore sulla linea di montaggio, o di non retribuire le prime due giornate di malattia. Poi ci sono clausole e sanzioni contro i lavoratori che scioperano.


    Gli altri sindacati dicono che le nuove condizioni vengono compensate da 3700 euro in più in busta ogni anno, che in tempi di crisi sono indubbiamente soldi. 
    Ma portare quei soldi a giustificazione, come se fossero una novità di questo accordo, è un assurdo. Sono esattamente i soldi acquisiti in tutti gli ultimi anni di contrattazione aziendale, come maggiorazioni del lavoro notturno, del sabato o della domenica. Dunque è chiaro se se aumentano i turni vengono fuori: su quello non c'è nulla di nuovo. 


    Con l'intesa la Fiat è uscita dal contratto nazionale? 
    Questo accordo diventerebbe l'unico contratto collettivo per Mirafiori, dunque sì. È il primo livello, non si fa riferimento ad altro. Vorrei capire come la vede Confindustria, con la Fiat che sta uscendo via via dall'associazione: Emma Marcegaglia non mi pareva convintissima della cosa fino solo a pochi giorni fa. Ma soprattutto, così saltano tutte le regole: è come se nella città di Torino si decidesse d'improvviso di non applicare più la Costituzione italiana. 


    A vostro parere si andrà nella stessa direzione a Melfi? E magari poi a Cassino?
    A questo punto non escludo nulla. Voglio solo ricordare che qualcuno parlava di Pomigliano come «caso unico». E ora vediamo dove siamo. 


    Ma adesso voi cosa farete? Parteciperete al voto annunciato da Cisl e Uil, e che piace anche a Marchionne? Quello in cui chiede il consenso di almeno il 51%?
    Qualsiasi referendum in queste condizioni, con il ricatto tra lavoro, investimenti e diritti, è illegittimo: lo diciamo ora, come lo abbiamo detto a Pomigliano. E anche se otterrà la maggioranza, non basterà a farci cambiare idea sull'accordo: tornando all'esempio di Torino, è come se si tenesse solo lì un referendum per farla uscire dall'Italia. 


    La Fiom chiede alla Cgil di indire lo sciopero generale. Ora immagino che la richiesta si farà più pressante.
    Sicuramente si aggiunge un elemento non di poco conto: l'addio al contratto nazionale e allo Statuto dei lavoratori nel maggiore gruppo italiano. C'è la protesta degli studenti, il Collegato lavoro. Sulla Fiat, comunque, la Fiom aveva già deciso una giornata di mobilitazione per gennaio: dopo quest'accordo, è necessario fare di nuovo il punto.


lunedì 27 dicembre 2010

COMUNICATO STAMPA
 
Fiat. Airaudo (Fiom): “A Mirafiori un accordo vergognoso che cancella il Contratto nazionale e impone un modello sindacale aziendalista e neocorporativo”
 

 
“Quello firmato a Mirafiori da Fiat, Fim, Uilm, Fismic, Ugl e l’Associazione quadri è un accordo vergognoso. La Fiat impone in fabbrica e nel sistema delle relazioni industriali italiane un modello aziendalista e neocorporativo, semplificando il pluralismo sindacale riducendolo ad un unico sindacato per un’unica compagnia: la Crysler-Fiat”
“Si costituisce un contratto unico nazionale per le aziende del settore auto della Fiat alternativo ai contratti nazionali di lavoro, che peggiora le condizioni di lavoro, a partire dall’introduzione del modello Pomigliano anche a Mirafiori.”
“In questo scenario, non c’è spazio per sindacati dissenzienti e quelli senzienti sono imbrigliati in un sistema di sanzioni.”
“Si tratta, inoltre, di uno strappo costituzionale gravissimo perché si limita la libera scelta di associazione sindacale. Inoltre, la cancellazione delle Rsu e della possibilità delle lavoratrici e dei lavoratori di scegliere i propri rappresentanti avviene nel silenzio totale degli altri sindacati confederali.”
“Il referendum, che dovrebbe avere luogo a gennaio, per la Fiom è illegittimo perché riguarda materie indisponibili.”
“La Fiom rimarrà al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici comunque voteranno per riconquistare il Contratto nazionale, la libertà di adesione al sindacato e tenere il sistema delle relazioni industriali all’interno dell’Europa sociale. Tutta la Fiom risponderà all’attacco in corso al contratto, alle leggi e alla libertà, in una battaglia che non riguarda solo il sindacato dei metalmeccanici, ma tutta la Confederazione.”

Fiom-Cgil/Ufficio stampa
 

Roma, 24 dicembre 2010

venerdì 24 dicembre 2010


BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO A TUTTI I LAVORATORI/TRICI DELLA CNH DI JESI 

Le pubblicazioni riprenderanno il 3 gennaio 2011
                                                                                         
                                                                                         RSU FIOM-CGIL JESI

Cremaschi : «Accordo Fiat da fascismo,           sciopero generale»

Giorgio Cremaschi (Eidon)

 «Dal 1925 è il più grave atto antidemocratico  verso il mondo del lavoro»



MILANO - L’accordo di Mirafiori «è il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro» dai tempi
 del fascismo. Ad affermarlo il presidente del comitato centrale della Fiom, Giorgio  Cremaschi, il quale torna  a chiedere al leader della Cgil, Susanna Camusso, di proclamare lo sciopero generale.
IL FASCISMO - «Il 2 ottobre 1925 Mussolini, la Confindustria e i sindacati corporativi fascisti firmavano a Palazzo Vidoni un accordo che cancellava le elezioni delle commissioni interne. L’accordo di Mirafiori che cancella le elezioni delle rappresentanze aziendali è, da allora, il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro». «L’accordo - prosegue Cremaschi - abolisce la democrazia e istituisce un regime di fiduciari come durante il fascismo ed è di una gravità inaudita che Cisl e Uil abbiano potuto sottoscriverlo, è una rottura senza precedenti a cui non si potrà che rispondere con la lotta e la mobilitazione democratica per questo è convocato il comitato centrale della Fiom il 29 dicembre e da li dovrà partire una risposta in grado di fermare questo attacco. Per questo rinnovo la richiesta a Susanna Camusso di fare lo sciopero generale e di non continuare ad illudersi che la Confindustria si dissoci da Marchionne. Non è successo nel 1925 e non succederà oggi». 

Milano,27 dicembre 2010

Perchè non fare lo sciopero generale è autolesionistico


 
Giorgio Cremaschi -  Susanna Camusso ha detto agli studenti che non ci sono le condizioni per lo sciopero generale. E' una risposta assolutamente infelice e totalmente sbagliata, almeno per due ragioni di fondo. In primo luogo, se per mancanza di condizioni si intende l'assenza di motivi sufficienti per scioperare, siamo all'assurdo. Cosa deve succedere ancora? La crisi economica avanza e con essa un disegno delle caste dominanti in Italia e in Europa che propone una catastrofe sociale senza precedenti. Non c'è la ripresa e chi lavora viene costretto agli straordinari, chi ha perso il lavoro viene lasciato nella disoccupazione, cresce la precarietà soprattutto dei giovani, mentre si distrugge ciò che resta dello stato sociale. Questa è la ricetta greca che si vuole applicare un po' alla volta in tutta Europa, non basta essa per scioperare? In Italia l'attacco ai diritti del lavoro è parte integrante della gestione reazionaria e autoritaria della crisi. E' stato approvato il collegato lavoro, che distrugge i principi centenari del diritto del lavoro e che da solo sarebbe motivo sufficiente per uno sciopero generale. Marchionne impone che la Fiat auto esca dal contratto nazionale e addirittura che Mirafiori esca dalla Confindustria, con il solo motivo di impedire alla Fiom di partecipare alle elezioni per le rappresentanze sindacali aziendali. Questo atto di autentico fascismo aziendale sarebbe da solo motivo sufficiente per uno sciopero generale: dal 1945 a oggi mai si era così minacciata la libertà dei lavoratori italiani. E' un autolesionismo privo di senso proporsi di fare un patto sociale con una Confindustria che o sostiene o subisce, ma comunque accetta la linea di Marchionne.
E' stato lo stesso Berlusconi, nelle sue dichiarazioni programmatiche sulla fiducia, che ha rivendicato il patto sociale come programma del suo governo. Nella scuola l'attacco ai diritti è lo stesso: la Gelmini cancella l'università pubblica e apre la via alla completa privatizzazione dell'istruzione. La richiesta di sciopero generale venuta dagli studenti dovrebbe essere motivo di gioia, e non di imbarazzo, per la Cgil. La verità è che c'è un Paese che si è rimesso in moto mentre le istituzioni politiche e sindacali, anche quelle della sinistra sono ferme, con poche eccezioni tra cui quella della Fiom. La ragione di questa staticità e incomprensione nei confronti del Paese che lotta va fatta risalire agli avverbi che usava Veltroni quando era segretario del Partito democratico. Non ci si mobilita e non ci si impegna a sufficienza quando si è vittime della nefasta sindrome del "ma anche". Si dice di no alla Gelmini, ma ci si vuole anche alleare con quel Terzo Polo che la Gelmini ha fatto passare. Si dice che Marchionne sbaglia, ma si vuol fare anche il patto sociale con la Confindustria che lo sostiene. Si vuol stare con gli studenti, ma si vuole anche fare l'unità con Bonanni. Sono questi ma anche che paralizzano la Cgil e l'opposizione di sinistra e che hanno ridato forza a un Berlusconi. Il presidente del Consiglio oggi torna in campo con la sua insopportabile arroganza unicamente per l'inettitudine e debolezza di coloro che ha di fronte. Tutto questo sarebbe dovuto alla paura di restare isolati. Ma chi è isolato da chi? Secondo un recente sondaggio della Swg solo il 4% della popolazione italiana pensa di essere pienamente dentro il sistema e solo il 40% si sente comunque parte di esso. La maggioranza della popolazione italiana oggi si sente o parzialmente o totalmente estranea ed emarginata dal sistema, io dico dal regime, economico politico che ci governa. C'è un Paese che non ne può più e una parte sempre più vasta di esso rialza la testa. Gli applausi dei cittadadini romani alla manifestazione degli studenti sono il segno di questo cambiamento. Basta con la ricerca di legittimazioni dentro un sistema che sta distruggendo diritti e libertà, è il sistema stesso che va cambiato e per farlo bisogna unire e organizzare la forza e l'intelligenza di tutti coloro che ne sono fuori. Questo anno ci insegna che per ognuno di noi c'è una gru o un tetto, metaforico o reale, su cui salire per farsi sentire.

Arriva il modello americano regole zero e massima flessibilità "Si torna agli anni Cinquanta"


Una rivoluzione per sindacati e Confindustria.   Accornero: "È l´America che decide". Treu: "Una bomba atomica, il sistema in pezzi". Cade la possibilità per chi non firma i contratti di presentare una lista raccogliendo il 5%
ROMA - «È un ritorno agli anni Cinquanta», dice Aris Accornero, sociologo, licenziato dalla Fiat proprio in quel periodo perché comunista. La tesi di Accornero, intellettuale di sinistra quasi mai allineato, sulla logica che ha portato all´accordo separato di ieri alla Fiat-Chrysler è del tutto originale. Perché non c´è solo l´identica "cacciata" dalle fabbriche dei ribelli (i comunisti all´epoca, la Fiom oggi), c´è anche il comune fattore esterno che determina la strategia del gruppo automobilistico: oggi come più di mezzo secolo fa è l´America - spiega Accornero - che decide le traiettorie delle relazioni industriali. «Negli anni Cinquanta l´ambasciatrice americana Clare Booth Luce sosteneva che il suo governo avrebbe negato le commesse se a prevalere fossero stati i comunisti. Oggi Marchionne dice che non investe se non si sta al passo con la globalizzazione».
E oggi come all´ora si consuma il distacco della grande Fiat dalla Confindustria. Perché il passaggio chiave per far fuori la Fiom è l´uscita della newco di Mirafiori (esattamente come quella per Pomigliano) dall´associazione degli industriali. Fuori dalla Confindustria, fuori dal contratto nazionale, fuori dalle regole pattizie della rappresentanza sindacale. Quasi a far incrociare i destini di Fiom e Confindustria, così agli antipodi eppure così legati. Addio - almeno per Mirafiori e Pomigliano - al "protocollo Ciampi" del 1993 che per chi non firma i contratti prevede la possibilità di presentare una lista, raccogliendo il 5 per cento delle firme dei lavoratori interessati, per eleggere i propri rappresentanti sindacali. La Fiom non avrà più questa garanzia (anche se frotte di avvocati si preparano ad aprire le vertenze) e non potrà nemmeno ricorrere al novecentesco Statuto dei lavoratori perché chi non firma i contratti collettivi non può dar vita alle vecchie Rsa, le rappresentanze aziendali.
Per trattenere la Fiat, Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, avrebbe potuto dare la disdetta dell´intesa del ´93. Non l´ha fatto anche per non scatenare un conflitto sociale radicale. Ha riunito la Consulta dei presidenti e nessuno, su questo, si è schierato con il Lingotto. Ma va detto che una parte del sindacato, per esempio la Uil di Luigi Angeletti, aveva suggerito di superare formalmente quell´accordo perché non è mai stato modificato nella parte che riguarda le rappresentanze sindacali. Impensabile che ora possa arrivare una legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacali: a parte la Cgil sono tutti contrarissimi, a cominciare dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Ci vorrebbe un nuovo accordo ma l´ennesima frattura tra Cgil, Cisl e Uil non prelude a una soluzione condivisa.
Un´epoca si chiude davvero. Quella di Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, non a caso con doppio passaporto (italiano e canadese), è una svolta radicale. «Una bomba atomica», la chiama Tiziano Treu, giuslavorista democratico, già ministro del Lavoro nel primo governo Prodi.
«È un sistema di relazioni industriali - aggiunge Treu - che comincia a perdere tutti i pezzi: gli accordi, i contratti, i diritti. Marchionne è uscito da un sistema e si sta facendo il suo "sistemino" di relazioni industriali». È il sistema americano, quello con il sindacato e i contratti aziendali. D´altra parte anche in Germania molte aziende stanno uscendo dalla loro Confindustria proprio per non applicare il contratto collettivo. In Italia chi potrà imiterà Marchionne. Il ruolo di Confindustria, come quello delle confederazioni sindacali, è messo totalmente in crisi. Si va verso il modello aziendalista». Quello che in Italia, però, non ha mai attecchito. E che - altro ricorso storico - proprio negli anni Cinquanta la Fiat introdusse con il Sida (Sindacato italiano dell´automobile), nato da una costola della Cisl, la cui eredità è stata presa oggi dal Fismic.
Giuseppe Berta, storico dell´industria, sostiene che «il centralismo romano sia finito, ma non la rappresentanza degli interessi». Aggiunge: «La Fiat che è sempre stata molto nazionale, ora è diventata "glocal", globale e locale. È un passo decisivo verso la globalizzazione. Tutti gli standard di riferimento, anche quelli sindacali, diventano globali». Per sindacati e Confindustria nulla sarà come prima. Marchionne l´ha deciso a Detroit.

Landini:"Accordo vergognoso" da Corriere.tv (clicca sopra)

Fiat. Mirafiori. Testo dell'accordo separato [4.8 MB] (clicca sopra)



Questa sera Maurizio Landini, segretario generale della Fiom sarà ospite in studio al TG3 delle ore 19.00


E' convocato in seduta straordinaria per il 29 dicembre 2010, il Comitato centrale della Fiom-Cgil presso la sala Di Vittorio della Cgil nazionale in corso d'Italia 25 a Roma, alle ore 9.30.Ordine del giorno: Accordo separato su Mirafiori, i suoi effetti gravissimi sul lavoro e sulle libertà sindacali, le risposte della Fiom.

giovedì 23 dicembre 2010

Mirafiori, accordo separato Fiat Fiom: "È una vergogna"

Azienda e sindacati, senza la Cgil, firmano l'intesa per lo stabilimento torinese, che produrrà Suv Chrysler e Alfa Romeo. Marchionne: ora il nuovo contratto dell'auto. Chi non firma è fuori dalla rappresentanza sindacale
di rassegna.it
Accordo separato a Mirafiori (foto di Azfar Hakim, da flickr) (immagini di autore: Azfar Hakim, da flickr)
Accordo separato anche a Mirafiori. Fiat e sindacati firmano l’intesa per lo stabilimento senza la Fiom, che parla di “accordo della vergogna” (così Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom). Ora l’accordo sarà sottoposto al voto dei lavoratori. Anche se per il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, "un referendum in queste 
condizioni è illegittimo, perché si chiede ai lavoratori di rinunciare ai diritti, siamo oltre il ricatto".

Fismic, Fim Cisl, Uil e Ugl accettano la richiesta di Sergio Marchionne, ad Fiat, di un contratto su misura per la newco di Mirafiori. Fuori da Confindustria, nessun riferimento al contratto nazionale, dice com’è noto il manager italo-canadese. Un progetto che, oltre al governo unilaterale dell’organizzazione del lavoro, consentirà l’emarginazione di chi non si adegua ai desiderata aziendali, ovvero la Fiom. Puntando a ridefinirne, in peggio, la rappresentanza in fabbrica dopo averne ridotto il peso nei tavoli di contrattazione. Vengono infatti a cadere anche gli accordi sulle Rsu, sulle rappresentanze sindacali appunto. Per andare dove, si vedrà; ma intanto l’eclisse dell’attuale sistema di rappresentanza, con i vincoli che ne derivano, è assicurata. 

Ed è rimasto inascoltato l’ultimo appello fatto dalla Cgil nazionale perché si tenesse conto delle proposte della Fiom. Che, quando nel 2012 nascerà la newco di Mirafiori, resterà fuori dalla rappresentanza sindacale, permessa solo alle sigle che hanno firmato l'accordo.

In cambio delle nuove condizioni lavorative e contrattuali, a Torino arrivano gli investimenti della joint venture Fiat-Chrysler: oltre un miliardo di euro per produrre 280 mila Suv Chrysler e Alfa Romeo l’anno.

L’intesa – secondo le informazioni date dai sindacalisti della Fismic dopo la firma - prevede “il pieno utilizzo degli impianti susei giorni lavorativi; il lavoro a turni avvicendati che mantiene l’orario individuale a 40 ore settimanali; una crescita del reddito annuo individuale di circa 3.700 euro per la maggiore incidenza delle maggiorazioni di turno; il mantenimento della pausa per la mensa nel turno fino a che la joint venture non andrà a regime (quindi solo fino al 2012); interventi volti a colpire gli assenteisti; la compensazione di oltre 32 euro mensili perl’abolizione della pausa di 10 minuti".

L'azienda, quando la newco andrà a regime nel 2012, chiederà 18 turni di lavoro nell’impianto (da 17, a fronte di una maggiorazione salariale). L’accordo prevede inoltre 120 ore di straordinario all’anno obbligatorie, cancella le pause previste sulle linee di montaggio, porta a fine turno la pausa mensa, per utilizzare così la mezz’ora di mensa anche con straordinari per recuperi produttivi ogni qual volta l’azienda ne avrà bisogno.

La Fiat punta inoltre a portare le assenze dal lavoro dall'8% attuale al 3%.

‘‘La firma nella delegazione ristretta è una firma con vergogna di un accordo senza precedenti che limita la libertà di associazione sindacale. Serve una risposta di tutto il mondo del lavoro’’. Lo dice Giorgio Airaudo. “Ciò che viene proposto per Mirafiori è peggio di ciò che è stato imposto a Pomigliano”. Così il responsabile dell’auto della Fiom, Giorgio Airaudo che aggiunge: “la Fiat vuole semplificare la presenza sindacale nei suoi stabilimenti, una ‘one company’ e una ‘one trade union’ ma visto che non lo può fare rende impotenti e innocui alcuni sindacati e cerca di ‘espellere’ chi dissente”. “Si vuole usare la newco - prosegue - per uscire dal contratto nazionale e dal sistema di regole e rappresentanze confederali. Viene messa sotto esame la Confindustria e gli accordi interconfederali, altra cosa, dunque - conclude - alle limitazioni e alle mediazioni presuntamente imposte alla Fiat”.

“Per quanto ci riguarda, faremo partire gli investimenti previsti nel minor tempo possibile”: è quanto afferma Marchionne in una nota. “Mirafiori - aggiunge – inizia oggi una nuova fase della sua vita”. “Adesso bisogna lavorare per realizzare il contratto collettivo specifico per la joint venture che consentirà il passaggio dei lavoratori alla nuova società Fiat-Chrysler”.

lunedì 20 dicembre 2010

LETTERA APERTA A MARCHIONNE DI UN'OPERAIA DELLA FIAT DI TERMOLI

Termoli, 14 dicembre 2010

All’Amministratore Delegato del Gruppo Fiat, Sergio Marchionne
Ho cercato un lavoro per potermi occupare dei miei figli e, ad oggi, quello stesso lavoro mi impedisce di farlo...

In un momento di crisi occupazionale come quello che stiamo vivendo, in cui avere un impiego è la fortunata prerogativa di pochi, non deve apparire né irriverente né pretenzioso rivendicare i nostri diritti. Ognuno di questi rappresenta una garanzia in più per il futuro! Biunivoca ed imprescindibile è la relazione tra Diritti e Lavoro: casi come il mio ne sono esempio!
Ho letto decine di volte la Sua lettera del 9 luglio2010 (la porto in borsa da allora!), e in ognuna di queste, ho pensato di volerLe rispondere; puntualmente la sensazione d’inadeguatezza me l’ha impedito. La maniera più efficace per disperare una persona (rendendola capace di qualsiasi gesto!) è impossibilitarla a potersi prendere cura dei propri figli... nella disperazione, oggi, ho trovato il coraggio di parlare apertamente, così come fece Lei con me . Sono madre di tre bambini rispettivamente di quindici, sei e tre anni, che gestisco quasi in maniera esclusiva, e lavoro come operaia nello stabilimento Fiat di Termoli dal ’97. Mio marito, i miei suoceri e i miei genitori vivono a centinaia di kilometri. Mi trovo quindi in difficoltà nell'esercizio delle mie funzioni genitoriali, in quanto l’officina (che già dal ’94 è organizzata sui diciotto turni di Pomigliano!) prevede un regime lavorativo di tre turnazioni alternate settimanalmente (dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6). Nell’ultimo anno la Direzione aziendale ha assunto posizioni molto rigide riguardo all’organizzazione del lavoro ed alla flessibilità dell’orario, particolarmente nei confronti di noi mamme... Le somme che dovrei pagare per gestire i bambini attraverso l’utilizzo di una babysitter in lassi di tempo così ampi e diversi da quelli della scuola, sarebbero maggiori dello stipendio che percepisco.
Ho agito in maniera corretta, cercando una soluzione con l’azienda, facendo richiesta prima, di un trasferimento in una Vostra sede prossima a quella lavorativa di mio marito, poi di un part-time di sette ore (compatibile cioè con gli orari delle scuole dell’obbligo) non avendo nessun tipo di risposta.
Questo significa mettermi in condizioni di “licenziarmi”. Rifletto su tre punti:
_ “FPT” Termoli conta un organico di quasi 2.700 dipendenti, di cui circa il 10 % rappresentato da donne e soltanto una trentina di queste con situazioni analoghe alla mia!_ se applicasse”particolari forme di flessibilità dell’orario, per la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro” potrebbe avere accesso a importanti sgravi fiscali!
_ permettendo alle dipendenti di vivere con serenità la condizione di “madre” (e più in generale a tutti i lavoratori, la condizione di “esseri umani”!), migliorerebbe la qualità del loro lavoro, lo incrementerebbe e, quindi, aumenterebbe la competitività della Nostra Azienda;
... nasce legittimo in me il sospetto che la Vostra sia un’irragionevole presa di posizione piuttosto che una reale difficoltà tecnico-organizzativa.
Riporto alcuni punti della Sua lettera: << Quello che stiamo facendo, semmai, è compiere ogni sforzo possibile per tutelare il lavoro>>; <<è il momento [...] di guardare al bene comune e al Paese che vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni >>;<< Sono convinto che anche voi, come me, vogliate per i nostri figli e per i nostri nipoti un futuro diverso e migliore>>. Queste frasi risultano profondamente in contraddizione con quello che realmente sta accadendo a me ed ad altre madri che vivono le mie stesse condizioni! Deve convenire che una società che cresce non si misura solo in benefit economici, ma nella qualità della vita lavorativa e privata, uniche prerogative di un domani migliore per noi e per le generazioni che verranno!
Nell’intento di voler costituire un sistema più performante e competitivo, Lei emula Toyota ed elogia gli atteggiamenti e le metodologie che l’hanno resa la più grande produttrice di auto. L’approccio, conosciuto come “kaizen” (“kai” vuol dire cambiare, “zen” significa meglio), partendo dal basso, coinvolge tutti i lavoratori in un processo di costante miglioramento. Purtroppo, nell’applicazione in fabbrica, tali cambiamenti, prendono forma attraverso azioni incompatibili col nostro benessere psico-fisico. Si pone attenzione quasi esclusiva alla riduzione dei costi e all’aumento delle produzioni, piuttosto che a tutti i fattori sociali, personali ed emotivi che pure (anzi, in maniera importante!) concorrono a migliorare la produttività.
...<< da uomo che ha creduto e crede fortemente che abbiamo la possibilità di costruire insieme, in Italia, qualcosa di grande, migliore, duraturo>> quale si definisce, non può perseguire “la competitività” prescindendo dalla partecipazione convinta dei lavoratori. Il <> che ci chiede, la condivisione degli <>, possono trovare motivo e giustificazione solo in condizioni di vita per Noi qualitativamente più soddisfacenti!
Nella piena consapevolezza del momento che stiamo attraversando, e della necessità di risultare competitivi, Le scrivo perché non ho alternative; perché non ho altro da perdere oltre il lavoro; perché quest’ ultimo , è sicuramente l’unico strumento che ho per permettere un futuro dignitoso per i miei figli; perché come Lei sono Italiana e Abruzzese... ma le parole, soprattutto in fabbrica, non riempiono le tasche né migliorano la situazione...
Le scrivo perché ritengo sostenibile (oltre che necessario per tutti!) costituire regolamenti e modelli che vadano nella giusta direzione, quella che, evitando speculazioni, opportunismi e falsi obiettivi, metta di fatto, e non solo a parole, noi madri nelle condizioni di conciliare il diritto al lavoro con il dovere di genitori... fare sì che la sfera lavorativa entri in conflitto con quella privata, oltre che essere sconveniente per i profitti, equivale a negare la natura umana e non solo i diritti che le appartengono.
Porre l’attenzione e dare rilievo a problematiche di così grande impatto sociale, oltre che essere sintomo di sensibilità, senso civico e responsabilità morale denota lungimiranza: i miei figli sono gli stessi dell’Italia che verrà... e che lavorerà domani al posto mio.
Adoperarsi in tal senso potrebbe voler sinceramente dire: condividere <>, ed andare in direzione di un futuro migliore, che risponda agli interessi di tutti e ponendo i presupposti concreti per partire insieme.
Come Lei fece con me, la ringrazio per aver letto la mia riflessione. Stefania Fantauzzi

sabato 18 dicembre 2010


  Giovani e arrabbiati «È comprensibile»

Fonte: Loris Campetti - il manifesto | 18 Dicembre 2010

Le indicazioni della piazza, i trucchi di Marchionne, lo sciopero generale. 
Intervista al segretario della Fiom

Martedì scorso il segretario della Fiom Maurizio Landini era in piazza a Roma con gli studenti dietro lo striscione «Uniti contro la crisi» insieme a operai, precari, attivisti dei movimenti e, naturalmente, studenti. In questa intervista partiamo proprio da quella piazza e dalle indicazioni che se ne possono trarre.
Molti commenti si sono concentrati sulla violenza. Oltre l'ovvia condanna degli atti violenti che la Fiom non ha perso tempo a esprimere, non credi che la domanda dei giovani meriti qualche riflessione in più?
Mi ha colpito la straordinaria quantità di giovani in campo, determinati. Che siano arrabbiati è comprensibile: la loro è una generazione a cui viene sottratto il futuro, non ha di fronte a sé una prospettiva di lavoro e di vita sostenuta da tutele e diritti. Ai tempi miei, quando andavi a lavorare ti toccavano 12 giorni di prova e poi arrivava il contratto a tempo indeterminato. Oggi un giovane, se gli va bene, ha di fronte il precariato a vita. Questa generazione ci interroga, sono convinto che tanto la Cgil quanto la Fiom si debbano assumere delle responsabilità, prendendo l'iniziativa in un contesto di vuoto politico, con le mediazioni saltate. Questa è una delle molte ragioni per cui la Fiom chiede alla sua confederazione di organizzare uno sciopero generale. Gli studenti vengono davanti alle fabbriche e nello loro università occupate discutono di precarietà, sanno tutto sul collegato lavoro e sulle conseguenze che avrà su di loro. Così come gli operai sanno benissimo che la riforma Gelmini è classista e renderà ancora più difficile mandare i figli all'università. Porsi in un'ottica di ascolto e di assunzione di responsabilità non vuol dire giustificare le violenze di martedì. In piazza c'era anche chi puntava allo scontro, voleva fare casino, ma noi dobbiamo interrogarci sulle ragioni per cui tanti giovani hanno sostenuto, o non si sono opposti agli atti violenti. Qual è il loro stato d'animo, quale la loro distanza dalla politica, e da cosa dipende?
C'è chi ribatte che dentro una crisi strutturale lo sciopero non è l'arma migliore per difendere i più deboli. E poi, dicono gli scettici, il movimento non ha la forza necessaria, ci sono le divisioni...
Se per proclamare uno sciopero devi sapere prima con precisione come andrà, vuol dire che quello sciopero non lo farai più. Ci dobbiamo assumere dei rischi, verso i lavoratori. La crisi rende tutto più difficile e le ricette della politica dividono, frantumano sul lavoro come nella società. Ciò non vuol dire che devi accettare tutto, magari per non farti isolare e ridurre il danno. La Fiom ha un atteggiamento fermo in difesa dei diritti e della dignità, a Pomigliano come a Mirafiori e ovunque, a costo di trovarsi contro non solo i padroni e il governo ma anche gli altri sindacati. Ma come la mette chi critica lo sciopero generale con il fatto che in tutte le 250 aziende in cui si sono rinnovate le Rsu, la Fiom ha vinto o comunque è andata avanti, mentre le altre sigle sono state sfiduciate? La crisi è utilizzata per cancellare il sistema di diritti conquistati nei decenni scorsi. È il sindacato stesso che viene messo in discussione, nella sua autonomia e nel suo ruolo contrattuale, per riportare tutto il comando nelle mani dell'impresa. Serve più radicalità nelle analisi e nelle proposte, nella difesa dei diritti come nella costruzione di un'uscita diversa dalla crisi. Questo modello di sviluppo è al capolinea, di questo dobbiamo discutere.
Le forze d'opposizione dicono oggi di aver riscoperto il lavoro, però individuano l'avversario da battere solo in Berlusconi e rispolverano la parola d'ordine del patto sociale con la Confindustria.
La Confindustria è parte del problema, non la sua soluzione. Nei pochi casi in cui polemizza con il governo lo fa da destra, chiede più tagli, provvedimenti più antipopolari proprio perché vuole sfruttare la crisi per cancellare il sindacato. In questo Marchionne è l'apripista, ma non è che Bombassei o la Marcegaglia abbiano un orizzonte diverso. Le forze d'opposizione, invece, dovrebbero interrogarsi senza rimozioni sulle ragioni per cui il mondo del lavoro diserta le urne o vira a destra. Se nel 2008 Berlusconi ha nuovamente vinto, non sarà anche perché sul versante del lavoro e della precarietà il governo Prodi ha fatto ben poco?
Si diceva: Pomigliano è un'eccezione, poi sono arrivati i licenziamenti di Melfi e il nuovo ricatto di Marchionne sul futuro di Mirafiori, l'attacco al contratto nazionale, la pretesa di defiommizzare le fabbriche con lo strumento delle Newco. Il modello è sempre lo stesso, non rischia di scatenare nel padronato e nella società un effetto imitativo?
Tra i meccanici è già così e in Confindustria a comandare sono le aziende metalmeccaniche. Anche chi contesta il metodo Marchionne perché sa che è impraticabile cancellare la Fiom punta sul sistema delle deroghe che è un altro modo per svuotare il contratto nazionale. Altro che contratto dell'auto, l'ennesima frantumazione: dobbiamo percorrere la strada opposta puntando al contratto dell'industria. Io sono totalmente contrario alla defiscalizzazione del salario aziendale legato al secondo livello perché i lavoratori che ce l'hanno sono una minoranza e per gli altri l'unico strumento solidaristico è il contratto nazionale. Dentro la crisi e sotto i colpi delle ricette padronali e berlusconiane e degli accordi separati, la Fiom individua nella democrazia dei lavoratori e nella certificazione della rappresentanza la strada da seguire. In passato era la Uil di Benvenuto a battere sul tasto del referendum e noi eravamo contrari sostenendo che solo chi faceva le lotte ed era in assemblea aveva diritto di voto. Oggi dobbiamo assumere in toto la pratica della democrazia, con tutto quello che comporta, anche la nostra firma su posizioni che non condividiamo ma scelte dalla maggioranza dei lavoratori. Una pratica che ci avvicinerebbe anche alla domanda dei giovani.
Non sarà che Marchionne prende in giro tutti quanti? Divide il sindacato e persino la Confindustria, fa discutere sui turni, le pause, il diritto di sciopero, il contratto nazionale mentre prepara la fuga dall'Italia e cerca solo un alibi, magari l'«indisponibilità» della Fiom.
Le carte di Marchionne sono truccate. Due anni fa diceva che Termini Imerese non è competitiva perché tra la fabbrica e il mercato c'è il Mediterraneo. Adesso dice che a Mirafiori farà Suv («in Italia non ha senso», aveva giurato) ma il motore lo porterà dall'America e poi l'auto finita sarà riportata sul mercato americano. L'Atlantico è più stretto del Mediterraneo? Forse è questo che si intende parlando dei prodotti a chilometro zero? Prima del 2012 la Fiat non sfornerà nuovi modelli dalle fabbriche italiane, l'auto elettrica la costruisce negli Usa, degli investimenti - minori di tutti i concorrenti - non si vede neanche l'ombra e la quota del Lingotto in Italia e in Europa è in caduta libera. E quando ci chiedono di scegliere se farci ammazzare o farci tagliare le gambe, come a Pomigliano o a Mirafiori, cosa dovrebbe fare la Fiom, firmare per dimostrare il suo senso di responsabilità? Noi siamo responsabili, soprattutto verso le lavoratrici e i lavoratori. Dovremmo gridare in coro con Bonanni «dieci cento mille Pomigliano»? La verità è che Marchionne ha sbagliato le sue analisi, prevedeva un bagno di sangue in Europa con la chiusura di decine di stabilimenti automobilistici, invece ne è stato chiuso solo uno, più Termini Imerese che per la Fiom deve invece avere un futuro. Marchionne ha in mente la Chrysler e lavora a liberare la famiglia Agnelli dall'auto. Se finora ha potuto fare quel che ha voluto è perché l'Italia è l'unico paese che non ha una politica industriale, non protegge le sue risorse e i suoi lavoratori.

Landini: "Gli studenti conoscono il collegato lavoro e gli operai sanno che la riforma Gelmini è classista". Bisogna porsi in ascolto, "senza giustificare le violenze"

venerdì 17 dicembre 2010

Marco Revelli: “Postpolitici e arrabbiati, figli di un sogno interrotto” da Liberazione

Chi sono gli studenti scesi in piazza l'altro giorno? E chi sono gli operai che hanno partecipato alla manifestazione delal Fiom del 16 ottobre? Operai e studenti, sembra la riedizione del biennio '68-'69, ma forse è solo un'analogia superficiale. L'impressione è che si stia affacciando sulla scena pubblica una nuova generazione, cresciuta in piena epoca berlusconiana, in regime di pensiero unico e che oggi sperimentano il fallimento del grande sogno del benessere e dell'individualismo trionfante. Ma con quale rappresentazione di sé? Quella che un tempo si chiamava "coscienza di classe" non è determinata solo dalle condizioni sociali o dal proprio ruolo nella produzione, è anche un prodotto della storia, delle culture e degli stili di vita. Ne parliamo con Marco Revelli, storico e sociologo, docente all'università del Piemonte Orientale.

Qual è la soggettività di questo movimento, nuovo, oltre che il primo sorto nell'epoca della crisi? 
Trovo insopportabile il modo in cui in questi giorni si è discusso del movimento degli studenti e delle varie forme di insorgenza che si stanno manifestando. E' un atteggiamento banalizzante, privo di curiosità e di interrogazione. Tutti pronti a scandalizzarsi per il minimo gesto di devianza come se ci muovessimo in un ambiente politico-istituzionale perfetto, corretto, eticamente inappuntabile Non ci sto a buttare la croce addosso agli studenti, a fare le pulci col microscopio. Ma cosa importa se gli studenti hanno letto tutti gli articoli della riforma Gelmini oppure no? Detto questo, trovo che questo sia un movimento post-politico. Non so neppure se sia un movimento. Sicuramente è un comportamento massificato per quel che riguarda gli studenti, ma non solo. Ci sono anche i migranti che salgono sulle gru o gli operai di Pomigliano che si ribellano ai ricatti. E' un pezzo di società che fa da sé, che ha staccato la spina, che ha capito che le dinamiche politico-istituzionali e la propria vita sono due mondi separati. E' un movimento che si misura con l'inedita durezza della vita contemporanea mentre tutto il resto della società si muove dentro la bolla della narrazione della società del benessere. Sono il prodotto della fine dello sviluppo e lo sanno. Questo li rende diversi da tutti i soggetti collettivi novecenteschi che stavano dentro il progetto dello sviluppo. Questi nuovi movimenti abitano il declino. I protagonisti di martedì erano in gran parte minorenni che non sono decodificabili con nessuna delle chiavi dell'analisi politica e sociale precedente. Sono i figli del benessere interrotto, la generazione futuro zero. Ma questo valeva anche per Genova, solo che allora, alle spalle, c'era l'accumulazione politica precedente. Questi hanno invece un linguaggio inedito, non hanno neppure Che Guevara sulle bandiere. Sono il prodotto della seconda Repubblica e della tabula rasa di tutte le culture politiche. Faccio un esempio. Qui a Torino il Politecnico è sempre stato una scuola di elite e un luogo d'ordine. Sfornava gli ingegneri che si formavano dentro l'orizzonte della grande impresa e ne assumevano i codici di funzionamento. Erano i custodi del sapere del grande capitalismo. Bene, oggi il Politecnico è il più radicalizzato. Ho sentito parlare ricercatori e ingegneri, sembrava di ascoltare gli operai di Mirafiori degli anni Ottanta. Forza lavoro utilizzata in un grande ciclo improvvisamente privata di diritti e orgoglio.

Una proletarizzazione dei lavoratori intellettuali...
Esattamente, una forza lavoro che si trova proiettata in un segmento periferico. I ragazzi che si laureano al Politecnico descrivono uno scenario di deprivazione di ruolo sociale, di status, di controllo sulla propria vita. E questi sono la elite. Davanti all'aula magna, l'altra mattina, c'era uno striscione con la scritta: "Ci avete tolto troppo, adesso rivogliamo tutto". C'è la tragica verità, sono stati davvero deprivati di tutto, gli abbiamo lasciato un mondo senza futuro. Ma è anche un'affermazione irrealistica, perché non esiste un luogo dove puoi riprenderti quello che ti hanno tolto. Le risorse sono evaporate nei grandi circuiti finanziari globali, sono delocalizzate. Insomma, esprimono una domanda sulla propria identità. Chi siamo?

Per costruire un blocco sociale bisogna anche conseguire qualche risultato. Come possono essere efficaci i movimenti nello scenario attuale di una democrazia oligarchica? 
E' un movimento post-politico, ma non pre-politica...

Il conflitto, oggi, ha una sua politicità per il fatto stesso di esistere, no?
Non dobbiamo pensare che il conflitto sia pre-politico per cui sarebbe compito di quelli che vedono più lontano offrire la prospettiva perché il conflitto possa elevarsi alla dimensione nobile della politica. La dimensione della politica di oggi è trasversalmente ignobile, con punte di degrado nella destra. E' una dimensione in cui rischi di perderti. Certo ci sono delle eccezioni, ma sono mosche bianche. Lo spettacolo che si è celebrato l'altro giorno alla Camera e al Senato non è il luogo che possa fare da sponda al movimento. E' il deserto dei tartari. L'efficacia di questo movimento non passa per la sua capacità di salire alla politica, ma consiste nel fatto stesso d'esistere. Oggi è già una cosa enorme che i movimenti esistano come corpi che riempiono le strade.

Cosa possiamo fare se non custodirli nella loro capacità d'esistere?
Se lo tocchi muore, è delicato, è fragile. E' stata fatta un'operazione di rappresentanza politica del movimento di Genova col risultato di frammentarlo in mille rivoli. Il loro esistere indifferenziato - i negriani direbbero come "moltitudine" - sarà pure un linguaggio disarticolato, se vogliamo, ma testimonia la propria irriducibilità al discorso ufficiale, alla narrazione dominante. Come evolverà? Non so dirlo. La crisi può generare esiti imprevedibili in una società che si è costruita sul mito dell'opulenza e del consumo. L'impoverimento può anche produrre rancore e odio.

mercoledì 15 dicembre 2010

LA SOLITUDINE DEI BRAVI RAGAZZI

di LORIS CAMPETTI
Brucia piazza del Popolo, bruciano le strade di Roma, brucia la rabbia di decine di migliaia di studenti quando alle 13,41 viene annunciato il voto di fiducia a Berlusconi. Hai voglia di dire che tanto quello lì ha perso politicamente: i simboli sono importanti. E quella maledetta legge Gelmini fermata dalla rivolta delle scuole e delle università ora torna in campo. I tre voti che salvano il governo cancellano definitivamente la fiducia della piazza nella politica, cancellano il futuro di una generazione. E ne condannano un'altra alla precarietà. La stessa rabbia degli operai metalmeccanici arrivati da Padova o da Pomigliano che vedono il modello sociale di Marchionne puntare contro di loro come come i blindati della Polizia e della Finanza. Vedono tornare il panzer Sacconi lanciato a bomba contro lo Statuto dei lavoratori.
Quel voto del Palazzo, quel mercato sub-politico che umilia il Parlamento cambia l'umore della piazza, la protesta esplode e poche voci si alzano contro chi magari è arrivato organizzato in piazza, non invitato, per far casino. Nessuno prova pietà per qualche suv sfasciato sul Lungotevere, per una Jaguar che brucia, per i bancomat presi a colpi di sampietrini: sono simboli di un potere odiato oggi più di ieri, rappresentano anch'essi un modello diseguale, ingiusto, basato sul furto ai poveri, tanti, per dare ai ricchi, pochi. Goliardia? Non solo, e non soprattutto. Il blindato e qualche altro mezzo che bruciano tra piazza del Popolo, via del Corso e via del Babbuino non trovano solidarietà tra i giovani e giovanissimi che si affollano dietro chi resiste alle cariche della polizia. Quando un blindato tenta di sfondare il muro umano che, a differenza del Parlamento, sta sfiduciando Berlusconi ma viene ributtato indietro, parte un applauso corale. Questa non è goliardia, è rabbia di chi vede sfilarsi futuro e diritti e non ci sta.
Così brucia piazza del Popolo. La politica ha fallito, le istituzioni sono fuori, lontane, nemiche di queste ragazze e ragazzi così simili ai loro compagni di Atene o di Londra, che ieri hanno messo in campo la più grande manifestazione studentesca che il cronista, non più ragazzino, ricordi. Non hanno tutti contro, però. Con loro ci sono le tante Italie che resistono, e cominciano a incrociarsi. C'è la Fiom con il suo gruppo dirigente che chiede, insieme ai ragazzi, lo sciopero generale. Che se ci fosse stato avrebbe contribuito a farli sentire meno soli e meno lontani da tutte quelle rappresentanze che non rappresentano più, non svolgono più alcun ruolo di mediazione. Ci sono i terremotati dell'Aquila e il popolo avvelenato di Terzigno e Chiaiano, persino le «Brigate Monicelli», il popolo dell'acqua pubblica. Movimenti che dovranno intrecciarsi, meticciarsi, costruire insieme un percorso duraturo, perché domani è un altro giorno e bisognerà continuare il cammino insieme. Per questo è nato «Uniti contro la crisi» che ha promosso la manifestazione.
La piazza ondeggia sotto le cariche della polizia. C'è chi resta fuori dagli scontri, come gli operai della Fiom, perché non sono nel suo dna e punta da piazzale Flaminio verso il Muro torto per raggiungere la Sapienza. Ma alla fine la polizia sfonda, riconquista piazza del Popolo, si riversa sul piazzale mentre il fumo acre dei lacrimogeni intossica e fa crescere ancor più la rabbia. Un candelotto va a finire dentro il lungo sottopassaggio della metropolitana trasformandolo in una camera a gas. Sopra, nel piazzale, vola di tutto contro un blindato della Finanza, isolato e impazzito, una scena che nella memoria dei meno giovani richiama una dannata piazza di Genova.
Alle 13,41 è cambiata non solo la piazza ma anche l'atteggiamento di chi avrebbe dovuto garantire l'ordine: fino al voto, fino a davanti al Senato, confronti anche duri, ma senza volontà di precipitazioni. Poi la «difesa dei Palazzi» è diventata aggressiva, quasi alla ricerca dello scontro. Che alla fine, immancabilmente, è arrivato con tanto di fuoco, ragazze e ragazzi in fuga inseguiti dai manganelli.
I Palazzi hanno ignorato la protesta della piazza, hanno offeso la dignità di chi chiede quel che sarebbe giusto avere ma da oggi dovrà farci i conti. E sarà dovere di ogni organizzazione democratica costruire ponti con una generazione offesa ma determinata, e sostenere una battaglia per l'istruzione, la cultura, il lavoro, la giustizia sociale, che è una battaglia di civiltà e parla di diritti. Per costruire un'altra politica e differenti relazioni sociali, non mercificate, per pretendere giustizia sociale. Gli studenti sono in prima fila. Con loro ci sono altri movimenti, c'è un pezzo di Cgil. E gli altri dove sono?