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venerdì 16 luglio 2010

Il new feudalesimo del Sig. Marchionne

Intervista a Marco Revelli
Torna il licenziamento-rappresaglia.Marchionne ha gettato la maschera. Effettivamente il nuovo corso della Fiat può anche provocare un soprassalto di sorpresa. Questo manager oxfordiano, con il look post sessantottino, mostra un volto da Fiat anni ‘50, da reparto di confino. Un’immagine molto ostentata, che è volontà di vendetta nei confronti della Fiom. Come un terzino dribblato che falcia da dietro, insomma una vera vigliaccata.
Il manager aveva abbagliato anche la sinistra a fari un po’ troppo spenti, recitiamo il mea culpa?Devo fare outing anche io. Un paio d’anni fa avevo pensato che ci fosse una discontinuità rispetto alla tradizione Fiat, avevo detto che per l’attraversamento del territorio si era passati dagli scarponi chiodati alle scarpette tecnologiche da footing. Abbiamo scambiato aspetti di natura estetica con la questione sostanziale: la natura dell’industria ai tempi della globalizzazione. La Fiat ce l’ha ricordato a modo suo, con Pomigliano, Melfi e Torino. Siamo al ritorno in grande stile della persecuzione sindacale, stiamo assistendo a un processo di regressione di tutto il sistema industriale che non è nemmeno paragonabile a ciò che avveniva negli anni ‘50, dove era in atto un scontro epocale e muscolare carico di significati politici. Oggi l’attacco è più subdolo e torbido, è un tentativo di rifeudalizzazione dell’industria, si punta all’affermazione del primato del lavoro servile. Tutto ciò è premoderno.
Difficile che la Fiom da sola possa fare da argine a questa deriva.La Fiom ha compiuto un’impresa ciclopica. Ha rivelato questo volto inconfessabile e ha dato occasione a un pezzo di fabbrica di sottrarsi alla semplice riduzione a puro lavoro servile. Siamo uomini e non servi, questo dice il 40% degli operai di Pomigliano. Non potevano vincere, perché sarebbero scomparsi, però sono rimasti per dire che esistono ancora uomini e donne.
I diritti degli operai sono sacrosanti. Però. Laddove la maggioranza della popolazione attiva, soprattutto giovanile, non conosce diritto di sciopero e di malattia, questa battaglia non rischia di essere persa in partenza perché poco sentita? Se si è gia concretizzato «lo stato di natura» dove prevale il più forte, come dici, che significato si può dare alla breccia aperta dal referendum in Fiat?
Nei giorni successivi a quel voto ho incontrato molte persone, anche precari, e tutti camminavano con la testa un po’ più alta. Il solo fatto che qualcuno abbia dimostrato che si può non abbassare la testa, li faceva sentire più orgogliosi. Gli operai di Pomigliano hanno dimostrato a tutti che la condizione servile non è necessariamente un destino. In una società altamente frammentata la crisi non fa che aumentare la frammentazione, togliamoci dalla testa che ci siano battaglie che possano essere sentite da tutti. Ma ci sono aspetti morali e simbolici che possono esprimere una potenzialità enorme: a Pomigliano è stato dimostrato che c’è chi è disposto a fare il servo, e chi no. Questo riguarda tutti noi, i giornalisti, il mondo intellettuale, i professori universitari. Per questo dire un «no» forte, oggi, è fondamentale. Così facendo la Fiom ha già vinto, si è conquistata il diritto di chiamarsi ancora sindacato.
Ha ancora senso puntare sull’auto, oppure, come scrive Guido Viale, l’unica alternativa è la riconversione ecologica del settore industriale?
Condivido totalmente l’approccio di Viale. Se non si ha il coraggio di guardare oltre la linea d’ombra, in questa palude si affoga. Chi dice che non è ancora il momento di pensare a questa alternativa dimostra tutta la miopia dello pseudorealismo italiano.
Lo pensa anche un pezzo di sinistra.
Lo so. Molti nostri amici la pensano così. Invece dobbiamo alzare lo sguardo: continuare a competere nella produzione di auto in un contesto di deprecabile livello di consumi non più superabile, è solo una forma di dannoso accanimento terapeutico. Dovremmo fare esattamente il contrario, credo che non si possa più fare a meno di esplorare questo orizzonte.
Stiamo male. Perché non si intravvede nemmeno l’ombra di una ribellione, di una forza contraria a questa rifeudalizzazione delle nostre vite?Si è consumato un processo apocalittico di individualizzazione dei processi produttivi. Ognuno affronta in solitudine il proprio presente e il proprio futuro. E dove c’è malessere diffuso non c’è rivolta, le rivolte non nascono dalla pura e semplice sofferenza. La capacità di sopportazione degli uomini è quasi infinita. La rivolta nasce quando si apre un circuito di identificazione collettiva a cui le élites organizzate forniscono simboli e linguaggi. Ma c’è stato uno sterminio delle culture antagoniste… Quelli che osavano una volta potevano dimostrare che era possibile cambiare, oggi non è più così, ma un domani chissà… Credo però che ancora oggi abbiano un valore fondamentale i gesti di coraggio, ecco perché non condivido chi separa la sorte degli operai di Pomigliano da quella degli «altri», uomini e donne meno garantiti.

GRUPPO FIAT. VENERDÌ 16 LUGLIO 2010 SCIOPERO GENERALE DI 4 ORE CONTRO I LICENZIAMENTI E PER LA DIFESA DEL SALARIO