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venerdì 30 luglio 2010

Marchionne ha gettato la maschera


E tre. Dopo l’annunciata chiusura di Termini Imerese, dopo il ricatto di Pomigliano, ora Marchionne getta definitivamente la maschera: via anche da Mirafiori. La Lo, l’utilitaria destinata a sostituire la Multipla, la Musa e l’Idea non si farà più negli stabilimenti di Torino, bensì a Kragujevac, dove il salario mensile di un operaio tocca a malapena i duecento euro mensili, dove pur di lavorare, gli operai della ex Zastava, la “Fiat dei Balcani”, rasa al suolo dai bombardamenti della Nato nella guerra contro la Serbia del 1999, sono disposti a subire qualsiasi condizione pur di guadagnarsi un tozzo di pane. E dove il primo ministro Kostunica è pronto a concedere ogni sorta di beneficio o franchigia fiscale per accaparrarsi l’investimento della casa automobilistica che con una sempre più grottesca espressione chiamiamo ancora “torinese”. La rivelazione schock l’amministratore delegato della Fiat l’ha fatta da Detroit, argomentando che questa scelta è la conseguenza obbligata della rigidità sindacale imperante nel nostro Paese. L’escalation del manager italo svizzero è stata impressionante. Dapprima egli ha spiegato che continuare a lavorare in Sicilia avrebbe significato andare in perdita per ogni auto prodotta, lanciando un messaggio devastante a tutta la borghesia industriale contro gli investimenti nel Mezzogiorno. Poi ha preteso che gli operai di Pomigliano si piegassero a barattare il loro posto di lavoro con l’azzeramento di ogni diritto e con il ripristino di prestazioni di tipo servile. Infine, ha concluso che anche a Mirafiori, in quello che fu l’epicentro dell’impero Fiat, non è più conveniente stare. Perché, in definitiva, cercare il freddo per il letto? L’azienda che fra un anno sarà della Chrysler per il 35% e che controllerà Fiat Group, chiude questa stagione con un’eccezionale performance economica, tornando all’utile netto, remunerando gli azionisti e incontrando l’entusiastico apprezzamento dei mercati, sempre golosamente sedotti da operazioni che sanno di profitto, anche e proprio perché costruite sui licenziamenti collettivi e sulla compulsiva limitazione dei diritti dei lavoratori. Il gioco ora è scoperto: l’influenza del bene di questo Paese sulle scelte strategiche della Fiat è pari a zero. Si investe e si produce solo ed esclusivamente là dove i costi complessivi, a partire da quello del lavoro, sono più contenuti e dove l’unilateralità del comando non trova alcun ostacolo, né di natura sindacale, né legislativa. Più le regole sono lasche, evanescenti, più i lavoratori sono spogliati di prerogative, privi di forza contrattuale e più è forte la spinta ad allocare lì le proprie risorse: un’idea ottocentesca della competitività, che chiede - come correlato politico - rapporti sociali fondati sulla dominanza senza contrappesi del capitale e istituzioni democratiche involute o assenti. Ora la Fiat, immemore di avere succhiato montagne di denaro ai lavoratori e ai contribuenti italiani, se ne sta andando, compiendo un atto piratesco, di rapina. Con il governo complice e Cisl e Uil a far da palo, come utili idioti. Sovviene una domanda a cui molti illusi, a partire dal Pd, dovranno prima o poi rispondere: troverete mai la forza morale, l’autocritica resipiscenza per capire che non c’è possibile tenuta democratica del Paese se si continua ad accettare che l’impresa, ed essa sola, detti le condizioni dello sviluppo e se si pensa che la rinascita di una società sfibrata possa avvenire a spese della sua parte più debole? Non passa giorno, ormai, che nuove perle non si aggiungano al rosario delle nefandezze che opprimono la vita materiale e spirituale di tanta parte di quel “popolo” che i satrapi al potere pretendono di rappresentare. Proviamo allora ad unire le energie di quanti - e sono sempre più - avvertono che questa situazione può soltanto ulteriormente degenerare. Andiamo oltre i singoli episodi di resistenza e di autodifesa di gruppo, che nascono e si spengono - troppe volte senza esito positivo - nel vuoto dell’ascolto e della rappresentanza politica. Possiamo farlo. Non da soli, ma possiamo farlo. C’è un appuntamento, quest’autunno, che va preparato con certosino impegno e grande tensione unitaria.

Fiat: Fiom, contro newco anche in tribunale




“È un attacco di una gravità tale che richiede di essere fermato. Tra una brutta aria, bisogna avere la consapevolezza della gravità della situazione e degli atti che la Fiat sta compiendo”. A parlare è il leader della Fiom, Maurizio Landini, che non esclude di ricorrere alle vie legali contro la newco annunciata dalla Fiat per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco a partire dal settembre 2011. Gli annunci del Lingotto durante gli ultimi due incontri a Torino, il primo con la presenza del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, il secondo solo con le categorie dei metalmeccanici, “rendono evidente - ha proseguito il segretario generale della Fiom - che siamo di fronte a un’indicazione generale di cosa dovrebbero fare le imprese e Confindustria per uscire dalla crisi”. Landini ha chiarito che, se si dovesse dare seguito agli annunci di Fiat, “il contratto nazionale di lavoro non ci sarebbe più. Se fosse concesso questo alla Fiat sarebbe grave non solo per i metalmeccanici, ma per il paese. Faremo di tutto per difendere il contratto nazionale”.

Quanto all’accordo di Pomigliano, “siamo di fronte a qualcosa che non ha precedenti nel sistema delle relazioni sindacali - ha aggiunto - abbiamo messo al lavoro tutti i legali con cui collaboriamo. Non siamo disponibili ad accettare operazioni di altra natura. Tutto ciò che può essere messo in campo sul piano giuridico e sindacale lo metteremo in campo”. Landini ha quindi confermato la disponibilità della sua organizzazione a sedersi nuovamente attorno a un tavolo per trovare soluzioni condivise “qualora ci fosse un ravvedimento” da parte della Fiat: "Ma vedo il rischio di idee antiche che ci portano indietro di cento anni con un arretramento non solo dei diritti delle persone, ma del nostro sistema industriale”.

Tornando infine sui tavoli di confronto che si sono svolti a Torino, Landini ha sottolineato che “la Fiat non ha chiarito un bel nulla. Le uniche cose certe sono che un modello viene portato in Serbia e che viene confermata la chiusura di Termini Imerese. In tutto questo vediamo il rischio di un aumento della cassa integrazione nel 2011 e nel 2012”. Landini ha anche parlato di "colpevole complicità del governo” perché il disegno che sta perseguendo è un “disastro” per il paese e i lavoratori. Nuove iniziative sindacali "per fermare il piano della Fiat saranno decise a settembre, contatti sono in corso anche con il sindacato serbo e, con ogni probabilità, ci sarà un incontro ai primi di settembre". Nel frattempo è confermata la manifestazione nazionale della Fiom che si svolgerà il 16 ottobre a Roma.