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sabato 19 giugno 2010

Da sfruttato a sfruttato


Segnalo la lettera di un gruppo di lavoratori della fabbrica di Tychy, in Polonia, ai colleghi di Pomigliano che stanno per votare se accettare o meno le condizioni della FIAT per riportare la produzione della Panda in Italia.

"La FIAT gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d'Europa e non sono ammesse rimostranze all'amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend) A un certo punto verso la fine dell'anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L'anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione. Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo "Giorno di Protesta" dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l'anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere? Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre. In questi giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione. E' chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente. Per noi non c'è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l'azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso. Lavoratori, è ora di cambiare”.

Intervista con l'ex segretario Cisl Pierre Carniti

LA COSTITUZIONE SECONDO POMIGLIANO


di Gianni Ferrara su il manifesto – 19 giugno 2010

Era del tutto evidente che il capitalismo globalizzato, il liberismo assoluto, il revisionismo storico, etico-politico ed istituzionale mirassero allo stesso obiettivo. Non era però scontato un impatto così sconvolgente, recessivo, distruttivo. Sconvolgente il tessuto sociale, recessivo della civiltà politica, distruttivo di un intero ordine giuridico: quello immediatamente connesso alla struttura della società, il diritto del lavoro. Ma il grado di recessione varia da nazione a nazione, a determinarlo in Italia è la barbarie del berlusconismo. Si è aggiunto, per rivelarne l’essenza più intima. Ha assunto un nome che resterà. Lo hanno detto ministri e opionion makers: Pomigliano. Non sono soltanto i metalmeccanici che vi lavorano ad esserne colpiti. Ne sono le prime vittime, i primi degli esseri umani che saranno asserviti all’irrazionalità ed all’immoralità del capitalismo del XXI secolo, in Italia, in Europa. La tecnica dell’asservimento ha un nome, world class manifactoring. È scritto al punto 5 dell’accordo (?) che la Fiat impone a Pomigliano.
A cosa miri lo ha spiegato lucidamente Luciano Gallino: assicurare che nulla, proprio nulla del tempo di lavoro retribuito possa essere perduto dal padrone. Il che comporta il massimo di rendimento di ogni operazione, di ogni gesto, di ogni minuto, di ogni secondo. Quindi il massimo di assorbimento da parte del capitale del tempo di lavoro. Tante ore, tanti minuti, tanti secondi di sfruttamento. Comporta la riduzione di ciascun lavoratore, ciascuna lavoratrice a robot. Poiché il robot non ce la fa a sostituire l’essere umano, si deve ridurre l’essere umano a robot.
E non basta. Dal momento che il robot si permetterà, al termine di ogni turno, di ridiventare essere umano e potrebbe aspirare ad esercitare i diritti che due secoli di lotte del movimento operaio hanno conquistato per civilizzare la condizione umana, si vuole imporre all’essere umano di non esercitare questi diritti, a cominciare da quello di sciopero.
Gli si chiede di impegnarsi contrattualmente a rinunziarci. Nel mentre ci si appresta a sopprimere le fonti di tali diritti. A sostituire sia il contratto collettivo con tanti contratti individuali di adesione (alla volontà del datore di lavoro) sia le leggi, come lo statuto dei lavoratori con la farsa derisoria dello “statuto dei lavori”. A modificare l’articolo 41 della Costituzione in modo da distorcerne il significato e la portata e sfumarne l’efficacia. A quanto si sa, immunizzando, a priori e come tale, l’iniziativa economica privata denominandola “responsabilità”, chiunque la svolga e qualsiasi possa essere il campo di esercizio (se non finanziario).
Impedendo, quindi, che se ne possa precludere il carattere antisociale, ed anche prevenire quello criminale, visto che «gli interventi regolatori dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali» si dovrebbero limitare «al controllo ex post». Post mortem bianca, ad incidente sul lavoro avvenuto, a danni già prodotti alla salute, alla sicurezza, all’ambiente? Così appare. Si vuole evidentemente sancire in via assoluta la signoria dell’impresa capitalistica su ogni altra istituzione e sulla società intera.
Si motiva questa controriforma costituzionale adducendo la necessità prioritaria ed inderogabile della competitività. Della quale competitività è pur tempo di denunziare, senza esitazione, il significato reale ed occultato. Che è quello della compressione dei salari dei lavoratori di tutto il mondo fino a ridurli alla soglia minimale del salario percepito nel più depresso dei Paesi del mondo.
A Pomigliano è il lavoro umano, è la condizione umana, è la dignità umana, sono i diritti umani che subiscono un attacco senza precedenti. La loro difesa è quella stessa della civiltà umana, ovunque sia aggredita.