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lunedì 20 dicembre 2010

LETTERA APERTA A MARCHIONNE DI UN'OPERAIA DELLA FIAT DI TERMOLI

Termoli, 14 dicembre 2010

All’Amministratore Delegato del Gruppo Fiat, Sergio Marchionne
Ho cercato un lavoro per potermi occupare dei miei figli e, ad oggi, quello stesso lavoro mi impedisce di farlo...

In un momento di crisi occupazionale come quello che stiamo vivendo, in cui avere un impiego è la fortunata prerogativa di pochi, non deve apparire né irriverente né pretenzioso rivendicare i nostri diritti. Ognuno di questi rappresenta una garanzia in più per il futuro! Biunivoca ed imprescindibile è la relazione tra Diritti e Lavoro: casi come il mio ne sono esempio!
Ho letto decine di volte la Sua lettera del 9 luglio2010 (la porto in borsa da allora!), e in ognuna di queste, ho pensato di volerLe rispondere; puntualmente la sensazione d’inadeguatezza me l’ha impedito. La maniera più efficace per disperare una persona (rendendola capace di qualsiasi gesto!) è impossibilitarla a potersi prendere cura dei propri figli... nella disperazione, oggi, ho trovato il coraggio di parlare apertamente, così come fece Lei con me . Sono madre di tre bambini rispettivamente di quindici, sei e tre anni, che gestisco quasi in maniera esclusiva, e lavoro come operaia nello stabilimento Fiat di Termoli dal ’97. Mio marito, i miei suoceri e i miei genitori vivono a centinaia di kilometri. Mi trovo quindi in difficoltà nell'esercizio delle mie funzioni genitoriali, in quanto l’officina (che già dal ’94 è organizzata sui diciotto turni di Pomigliano!) prevede un regime lavorativo di tre turnazioni alternate settimanalmente (dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6). Nell’ultimo anno la Direzione aziendale ha assunto posizioni molto rigide riguardo all’organizzazione del lavoro ed alla flessibilità dell’orario, particolarmente nei confronti di noi mamme... Le somme che dovrei pagare per gestire i bambini attraverso l’utilizzo di una babysitter in lassi di tempo così ampi e diversi da quelli della scuola, sarebbero maggiori dello stipendio che percepisco.
Ho agito in maniera corretta, cercando una soluzione con l’azienda, facendo richiesta prima, di un trasferimento in una Vostra sede prossima a quella lavorativa di mio marito, poi di un part-time di sette ore (compatibile cioè con gli orari delle scuole dell’obbligo) non avendo nessun tipo di risposta.
Questo significa mettermi in condizioni di “licenziarmi”. Rifletto su tre punti:
_ “FPT” Termoli conta un organico di quasi 2.700 dipendenti, di cui circa il 10 % rappresentato da donne e soltanto una trentina di queste con situazioni analoghe alla mia!_ se applicasse”particolari forme di flessibilità dell’orario, per la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro” potrebbe avere accesso a importanti sgravi fiscali!
_ permettendo alle dipendenti di vivere con serenità la condizione di “madre” (e più in generale a tutti i lavoratori, la condizione di “esseri umani”!), migliorerebbe la qualità del loro lavoro, lo incrementerebbe e, quindi, aumenterebbe la competitività della Nostra Azienda;
... nasce legittimo in me il sospetto che la Vostra sia un’irragionevole presa di posizione piuttosto che una reale difficoltà tecnico-organizzativa.
Riporto alcuni punti della Sua lettera: << Quello che stiamo facendo, semmai, è compiere ogni sforzo possibile per tutelare il lavoro>>; <<è il momento [...] di guardare al bene comune e al Paese che vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni >>;<< Sono convinto che anche voi, come me, vogliate per i nostri figli e per i nostri nipoti un futuro diverso e migliore>>. Queste frasi risultano profondamente in contraddizione con quello che realmente sta accadendo a me ed ad altre madri che vivono le mie stesse condizioni! Deve convenire che una società che cresce non si misura solo in benefit economici, ma nella qualità della vita lavorativa e privata, uniche prerogative di un domani migliore per noi e per le generazioni che verranno!
Nell’intento di voler costituire un sistema più performante e competitivo, Lei emula Toyota ed elogia gli atteggiamenti e le metodologie che l’hanno resa la più grande produttrice di auto. L’approccio, conosciuto come “kaizen” (“kai” vuol dire cambiare, “zen” significa meglio), partendo dal basso, coinvolge tutti i lavoratori in un processo di costante miglioramento. Purtroppo, nell’applicazione in fabbrica, tali cambiamenti, prendono forma attraverso azioni incompatibili col nostro benessere psico-fisico. Si pone attenzione quasi esclusiva alla riduzione dei costi e all’aumento delle produzioni, piuttosto che a tutti i fattori sociali, personali ed emotivi che pure (anzi, in maniera importante!) concorrono a migliorare la produttività.
...<< da uomo che ha creduto e crede fortemente che abbiamo la possibilità di costruire insieme, in Italia, qualcosa di grande, migliore, duraturo>> quale si definisce, non può perseguire “la competitività” prescindendo dalla partecipazione convinta dei lavoratori. Il <> che ci chiede, la condivisione degli <>, possono trovare motivo e giustificazione solo in condizioni di vita per Noi qualitativamente più soddisfacenti!
Nella piena consapevolezza del momento che stiamo attraversando, e della necessità di risultare competitivi, Le scrivo perché non ho alternative; perché non ho altro da perdere oltre il lavoro; perché quest’ ultimo , è sicuramente l’unico strumento che ho per permettere un futuro dignitoso per i miei figli; perché come Lei sono Italiana e Abruzzese... ma le parole, soprattutto in fabbrica, non riempiono le tasche né migliorano la situazione...
Le scrivo perché ritengo sostenibile (oltre che necessario per tutti!) costituire regolamenti e modelli che vadano nella giusta direzione, quella che, evitando speculazioni, opportunismi e falsi obiettivi, metta di fatto, e non solo a parole, noi madri nelle condizioni di conciliare il diritto al lavoro con il dovere di genitori... fare sì che la sfera lavorativa entri in conflitto con quella privata, oltre che essere sconveniente per i profitti, equivale a negare la natura umana e non solo i diritti che le appartengono.
Porre l’attenzione e dare rilievo a problematiche di così grande impatto sociale, oltre che essere sintomo di sensibilità, senso civico e responsabilità morale denota lungimiranza: i miei figli sono gli stessi dell’Italia che verrà... e che lavorerà domani al posto mio.
Adoperarsi in tal senso potrebbe voler sinceramente dire: condividere <>, ed andare in direzione di un futuro migliore, che risponda agli interessi di tutti e ponendo i presupposti concreti per partire insieme.
Come Lei fece con me, la ringrazio per aver letto la mia riflessione. Stefania Fantauzzi