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domenica 1 aprile 2012

LASCIO IL SINDACATO - lettera di iscritto Cisl a Bonanni


Amici, vi saluto. Me ne vado via dal sindacato. Vi devo però delle spiegazioni anche se la mia fuoriuscita non ha nulla di eclatante, né avrà ripercussioni organizzative, dal momento che non ricopro alcun ruolo direttivo. Ve le devo per il rispetto che meritate. In questi giorni ho assistito sgomento e incredulo al precipitare delle consultazioni che il governo ha attivato con le parti sociali per la riforma del mercato del lavoro. Di consultazione si è trattato, è evidente, di un'audizione scevra da volontà pattizie, non già di concertazione o di negoziazione, come ancora qualcuno sostiene. Ancora una volta i sindacati si sono trovati dinnanzi a comandi, per lo più ultimativi e immodificabili, con la sola prospettiva di "firmare", con un avallo supino, il verbale di garanzia di una resa collaborativa (consociativa, dice Monti). Oggi, come in occasione del "Decreto Salva Italia", il consenso delle parti viene ricercato, ma solo per sedare preventivamente le prevedibili reazioni sociali provocate dagli interventi intrapresi, e non per negoziare il merito degli stessi. Questo è concordato unilateralmente con i potentati finanziari e imprenditoriali, anzi è da loro dettato, pubblicamente e senza riserbo. La filosofia che ispira questo governo assolutista è palese: i costi della crisi devono ricadere tutti sui lavoratori dipendenti e sui pensionati, con buona pace delle retoriche professorali che ci vengono inflitte e dei buoni propositi, che tutti condividiamo. Ha detto bene Pierre Carniti: un sindacato con le mani legate e ridotto al ruolo di notaio non firma accordi. Prende atto, al limite subisce, quando va bene reagisce, ma non collabora con le ragioni di chi vuole imporre questo odioso dominio. Oppure - questa è la domanda che oggi mi pongo, il dubbio che mi tormenta - il sindacato collabora perché ne condivide le ragioni e gli strumenti?
La scelta di Bonanni (scelta della Cisl) mi appare davvero collusiva. È figlia della sostanziale condivisione di un orizzonte di senso e di una posizione ideologica. Liberista o neo-liberista, nel caso in questione. Di una medesima definizione di realtà, di un identico racconto del mondo che, alla fine, ha recintato anche il sindacato, con la forza del pensiero unico e con una insidacabile, è il caso di dirlo, pretesa di oggettività. Nel merito dei fatti recenti, a nulla vale ricordare, dati alla mano, che non è possibile confermare l'esistenza di una correlazione tra maggiore precarietà e minore disoccupazione. Ovvero tra indici di protezione del lavoro e tassi di disoccupazione. Davvero, in tutta coscienza, possiamo credere che la fuga di capitali è un problema legato all'art. 18? Possiamo credere che l'austerità aiuta la crescita, che i tagli riducono lo spread, che l'allungamento dell'età pensionabile facilita l'ingresso nel mercato del lavoro dei più giovani, che la libertà di licenziamento aumenta l'occupazione? Insomma, di cosa stiamo parlando?
È evidente che il problema non è l'articolo 18. Non lo è nemmeno per le aziende. C'è in gioco qualcosa di più importante, a mio avviso. L'identità stessa del sindacato e il suo ruolo. Ovvero, per quanto mi riguarda, la mia identità di lavoratore associato al sindacato. La mia sicurezza, la mia libertà e la mia dignità (dice la Costituzione), che non possono essere vendute come merce nei mercati globalizzati, tenuti in ostaggio dalla finanza. Parlo dunque di me. Sono entrato in Cisl quasi due anni fa. Mi attirava allora la promessa di una crescita personale e professionale e il bell'esempio di alcune persone che ho imparato a stimare e che considero maestri. Ho portato con me la mia esperienza, le mie contraddizioni, i miei conflitti, i miei dubbi, la mia diversità. La mia voglia di studiare, nel corpo vivo del lavoro, i problemi del lavoro. Il mio desiderio di partecipare. In questi giorni però si è rotto un equilibrio delicato (capisco solo adesso quanto fosse debole e minacciato) e non posso tacere a me stesso e a voi il mio disorientamento. Né questo mio rifiuto. (...) Proverò a declinare diversamente quella voglia di partecipare e di essere parte attiva che mi accompagna fin dall'adolescenza. La Cisl mi appare oggi come un sindacato di destra. E sì, in questo, è autonomo, come vuole il Preambolo. Non cambia il suo indirizzo a seconda dell'interlocutore politico di riferimento, sia esso Berlusconi, Brunetta, Sacconi o Monti. Mi appare come un sindacato ricco, con le casse piene di oro, che però - come una chiesa barocca e controriformista - chiude fuori sui gradini il magro giorno di milioni di persone che non hanno accesso alle sue liturgie negoziali. Chiude fuori la teoria di mendicanti con il cappello in mano. Parlo della mia generazione, dei miei amici, della mia ragazza, di tutto un mondo che il sindacato ignora e non difende. Per il quale il sindacato è solo un inutile apparato parassitario o, peggio, un nemico pronto a tradire le ragioni dei lavoratori. Ho visto un sindacato sclerotizzato nei cerimoniali di potere interni, un'organizzazione feudalizzata, spesso peggiore delle aziende con cui si rapporta. Un sindacato che probabilmente tra dieci o vent'anni sarà un'associazione di pensionati (ho il massimo rispetto per i pensionati, anche se con ogni probabilita non avrò mai una pensione) e di clienti più o meno soddisfatti che comprano i suoi servizi a bassa soglia.
Per costruire un mondo migliore, mi dico, bisogna innanzitutto pensarlo possibile. Bisogna sottrarsi dalla stretta dell'ideologia dominante che ci incarcera (e incarcera il sindacato) nei vincoli delle compatibilità dettate dalla finanza: la nuova teologia contemporanea. Ha ragione Carlo Smuraglia quando dice che l'art. 18, nel sistema del diritto del lavoro, equivale al principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione. Lo traduce anzi, gli dà corpo. Ha ragione Umberto Romagnoli quando dice che la libertà del lavoro è uguale a se stessa sempre e in ogni circostanza. E non si spalma come la marmellata. Vedete, c'è un mondo intero intorno a me che urla la sua ragione, e reclama un posizionamento radicale rispetto ai problemi che abbiamo dinnanzi. Radicale e non estremista. Vorrei sentire parlare di vera universalià, di allocazione universale garantita, di reddito di cittadinanza. Di questo voglio parlare. Ecco: questo governo confindustriale può riconsegnare al datore di lavoro la possibilità di licenziare a propria discrezione, la facoltà di liberarsi di un lavoratore pagando, ma mi aspetto che lo faccia da solo. Senza l'accordo del sindacato.Non del mio, almeno. E che se ne assuma la responsabilità dinanzi al Paese. Per questo me ne vado e penso così di fare la mia parte. Restituendovi la mia tessera. La mia delega. Non a voi, come persone, ovviamente: a voi va il mio grazie e una bella stretta di mano.