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giovedì 13 maggio 2010

LUNGIMIRANZA

Due sole sembrano essere negli ultimi tempi le idee di fondo che accompagnano la riorganizzazione aziendale interna a “ricetta” della crisi: l’accorpamento di sottogruppi nelle linee di montaggio (una grande catena stile Ford primi anni del ‘900), e la continua saturazione indistinta su linee, sottogruppi e collaudi; un’azienda insomma che invece di guardare avanti, si volta indietro, su strade già battute, e che la storia ha già dimostrato poco proficue: il taglio dei tempi.


Va da sé allora porre alcuni quesiti di importanza capitale per quello che sarà lo stabilimento di domani:

aumentando a dismisura la fatica e lo stress psicofisico in fabbrica movendo su ritmi e tempi, quale vantaggio ne trarrà la QUALITA’ DEL PRODOTTO, prerogativa indispensabile del mercato?

E’ giusta l’idea di rincorrere una volta turchi, una volta polacchi, puntando tutto sull’ abbattimento dei costi e mettendo in secondo piano il sapere operaio dello stabilimento ?

E’ possibile (secondo noi lo è, e sarebbe saggio) percorrere strade alternative?

Se andiamo a ben vedere, molte delle strade percorribili erano state anche se solo a parole, e anche se solo in parte, presentate dalla stessa Azienda in più occasioni nei vari kaizen o wcm che si sono affacciati in questi anni; di tutto questo però rimane ben poco.

Pensiamo ad esempio alla tanto vituperata ergonomia, oggi è intesa unicamente come risparmio in seno ai costi aziendali; avevano parlato di impiego cognitivo, attraverso di esso sembrava quasi dovessimo liberarci dal lavoro manuale, un coinvolgimento che doveva sviluppare stati di autonomia e capacità decisionale, insomma la tanto osannata partecipazione.

L’unica forma di coinvolgimento rimangono invece le proposte di miglioramento, (troppo spesso diventano di peggioramento!) usate come strumento divisorio sui lavoratori; esaltando la competizione tra lavoratori e tra i reparti. Qualsiasi richiesta anche la più legittima viene considerata valida solo dentro tale contesto, privilegiando il metodo al fine, in modo da inficiare in maniera fallace gli indicatori della partecipazione, secondo cui non è importante risolvere il problema, ma aumentare il numero delle proposte.

In ultimo, si può pensare di continuare ad apportare significative modifiche all’organizzazione del lavoro, (vedi cabine, officina2 e off.1 come in questi giorni) riducendo al minimo gli spazi dell’informazione e della contrattazione sindacale (sui tempi da troppo tempo il bilancio è insufficiente) senza oltretutto ricevere risposte chiare sui perché di tali cambiamenti, e su quali sono i “veri” programmi produttivi dell’ Azienda, come nel caso della “Trasmissione” o delle cabine “Utility”.

Una grande catena di montaggio sembra ben poca cosa dinanzi a una crisi di tal misura, ed evidenzia sul medio periodo condizioni lavorative severamente più usuranti per i lavoratori dello stabilimento di Jesi. Tutto ciò non va d’accordo né con la qualità della vita di chi vi lavora, né con la tanto agognata qualità che fiat sembra voler sacrificare in nome dei costi; senza dimenticare l’impatto che tutto ciò potrebbe avere sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, e non ultima, l’occupazione.

Se l’organizzazione del lavoro per buona parte è prerogativa aziendale e insindacabile come previsto dagli accordi, è legittima da parte nostra la richiesta di un “tempo giusto che non logori la forza lavoro e metta al centro il “prodotto”: solo così si fanno buoni trattori.

La crisi passa ma le scelte restano, pretendiamo risposte serie e non di facciata.


Jesi, 14 Settembre 2009 LA RSU FIOM-CGIL



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