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venerdì 30 luglio 2010

Marchionne ha gettato la maschera


E tre. Dopo l’annunciata chiusura di Termini Imerese, dopo il ricatto di Pomigliano, ora Marchionne getta definitivamente la maschera: via anche da Mirafiori. La Lo, l’utilitaria destinata a sostituire la Multipla, la Musa e l’Idea non si farà più negli stabilimenti di Torino, bensì a Kragujevac, dove il salario mensile di un operaio tocca a malapena i duecento euro mensili, dove pur di lavorare, gli operai della ex Zastava, la “Fiat dei Balcani”, rasa al suolo dai bombardamenti della Nato nella guerra contro la Serbia del 1999, sono disposti a subire qualsiasi condizione pur di guadagnarsi un tozzo di pane. E dove il primo ministro Kostunica è pronto a concedere ogni sorta di beneficio o franchigia fiscale per accaparrarsi l’investimento della casa automobilistica che con una sempre più grottesca espressione chiamiamo ancora “torinese”. La rivelazione schock l’amministratore delegato della Fiat l’ha fatta da Detroit, argomentando che questa scelta è la conseguenza obbligata della rigidità sindacale imperante nel nostro Paese. L’escalation del manager italo svizzero è stata impressionante. Dapprima egli ha spiegato che continuare a lavorare in Sicilia avrebbe significato andare in perdita per ogni auto prodotta, lanciando un messaggio devastante a tutta la borghesia industriale contro gli investimenti nel Mezzogiorno. Poi ha preteso che gli operai di Pomigliano si piegassero a barattare il loro posto di lavoro con l’azzeramento di ogni diritto e con il ripristino di prestazioni di tipo servile. Infine, ha concluso che anche a Mirafiori, in quello che fu l’epicentro dell’impero Fiat, non è più conveniente stare. Perché, in definitiva, cercare il freddo per il letto? L’azienda che fra un anno sarà della Chrysler per il 35% e che controllerà Fiat Group, chiude questa stagione con un’eccezionale performance economica, tornando all’utile netto, remunerando gli azionisti e incontrando l’entusiastico apprezzamento dei mercati, sempre golosamente sedotti da operazioni che sanno di profitto, anche e proprio perché costruite sui licenziamenti collettivi e sulla compulsiva limitazione dei diritti dei lavoratori. Il gioco ora è scoperto: l’influenza del bene di questo Paese sulle scelte strategiche della Fiat è pari a zero. Si investe e si produce solo ed esclusivamente là dove i costi complessivi, a partire da quello del lavoro, sono più contenuti e dove l’unilateralità del comando non trova alcun ostacolo, né di natura sindacale, né legislativa. Più le regole sono lasche, evanescenti, più i lavoratori sono spogliati di prerogative, privi di forza contrattuale e più è forte la spinta ad allocare lì le proprie risorse: un’idea ottocentesca della competitività, che chiede - come correlato politico - rapporti sociali fondati sulla dominanza senza contrappesi del capitale e istituzioni democratiche involute o assenti. Ora la Fiat, immemore di avere succhiato montagne di denaro ai lavoratori e ai contribuenti italiani, se ne sta andando, compiendo un atto piratesco, di rapina. Con il governo complice e Cisl e Uil a far da palo, come utili idioti. Sovviene una domanda a cui molti illusi, a partire dal Pd, dovranno prima o poi rispondere: troverete mai la forza morale, l’autocritica resipiscenza per capire che non c’è possibile tenuta democratica del Paese se si continua ad accettare che l’impresa, ed essa sola, detti le condizioni dello sviluppo e se si pensa che la rinascita di una società sfibrata possa avvenire a spese della sua parte più debole? Non passa giorno, ormai, che nuove perle non si aggiungano al rosario delle nefandezze che opprimono la vita materiale e spirituale di tanta parte di quel “popolo” che i satrapi al potere pretendono di rappresentare. Proviamo allora ad unire le energie di quanti - e sono sempre più - avvertono che questa situazione può soltanto ulteriormente degenerare. Andiamo oltre i singoli episodi di resistenza e di autodifesa di gruppo, che nascono e si spengono - troppe volte senza esito positivo - nel vuoto dell’ascolto e della rappresentanza politica. Possiamo farlo. Non da soli, ma possiamo farlo. C’è un appuntamento, quest’autunno, che va preparato con certosino impegno e grande tensione unitaria.

Fiat: Fiom, contro newco anche in tribunale




“È un attacco di una gravità tale che richiede di essere fermato. Tra una brutta aria, bisogna avere la consapevolezza della gravità della situazione e degli atti che la Fiat sta compiendo”. A parlare è il leader della Fiom, Maurizio Landini, che non esclude di ricorrere alle vie legali contro la newco annunciata dalla Fiat per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco a partire dal settembre 2011. Gli annunci del Lingotto durante gli ultimi due incontri a Torino, il primo con la presenza del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, il secondo solo con le categorie dei metalmeccanici, “rendono evidente - ha proseguito il segretario generale della Fiom - che siamo di fronte a un’indicazione generale di cosa dovrebbero fare le imprese e Confindustria per uscire dalla crisi”. Landini ha chiarito che, se si dovesse dare seguito agli annunci di Fiat, “il contratto nazionale di lavoro non ci sarebbe più. Se fosse concesso questo alla Fiat sarebbe grave non solo per i metalmeccanici, ma per il paese. Faremo di tutto per difendere il contratto nazionale”.

Quanto all’accordo di Pomigliano, “siamo di fronte a qualcosa che non ha precedenti nel sistema delle relazioni sindacali - ha aggiunto - abbiamo messo al lavoro tutti i legali con cui collaboriamo. Non siamo disponibili ad accettare operazioni di altra natura. Tutto ciò che può essere messo in campo sul piano giuridico e sindacale lo metteremo in campo”. Landini ha quindi confermato la disponibilità della sua organizzazione a sedersi nuovamente attorno a un tavolo per trovare soluzioni condivise “qualora ci fosse un ravvedimento” da parte della Fiat: "Ma vedo il rischio di idee antiche che ci portano indietro di cento anni con un arretramento non solo dei diritti delle persone, ma del nostro sistema industriale”.

Tornando infine sui tavoli di confronto che si sono svolti a Torino, Landini ha sottolineato che “la Fiat non ha chiarito un bel nulla. Le uniche cose certe sono che un modello viene portato in Serbia e che viene confermata la chiusura di Termini Imerese. In tutto questo vediamo il rischio di un aumento della cassa integrazione nel 2011 e nel 2012”. Landini ha anche parlato di "colpevole complicità del governo” perché il disegno che sta perseguendo è un “disastro” per il paese e i lavoratori. Nuove iniziative sindacali "per fermare il piano della Fiat saranno decise a settembre, contatti sono in corso anche con il sindacato serbo e, con ogni probabilità, ci sarà un incontro ai primi di settembre". Nel frattempo è confermata la manifestazione nazionale della Fiom che si svolgerà il 16 ottobre a Roma.

giovedì 29 luglio 2010


Marchionne vuole tutto



 Nuovo incontro Fiat-sindacati e nuovi diktat: in tutte le fabbriche come a Pomigliano sennò niente investimenti. Solo la Fiom resiste
Venti miliardi di investimenti nella Fabbrica Italia, ma alle condizioni di Marchionne. Quelle note, contenute nell'accordo separato di Pomigliano che cancellano il diritto di sciopero e sanzionano lavoratori e sindacati che decidano di insistere nell'errore. Quelle che penalizzano la malattia in nome della lotta all'assenteismo, riducono le pause fino a cancellare quella per la mensa spostata a fine turno. Un «accordo» imposto con un referendum ricattatorio (parola che manda su tutte le furie l'amministratore delegato della Fiat, nonché presidente della newco di Pomigliano d'Arco) deve diventare legge in tutte le fabbriche automobilistiche italiane. Su questa base l'incontro di ieri a Torino, il primo di una serie che coinvolgerà tutti gli stabilimenti, non poteva che finire male. Come sempre l'opposizione e la richiesta di ridiscutere a un vero tavolo di trattativa il modo per aumentare la produttività e i turni senza cancellare leggi, contratti e Costituzione è arrivata da una parte sola, la Fiom, e ha trovato la totale indisponibilità da parte della delegazione del Lingotto. L'unica richiesta accettata dalla Fiat, avanzata da Fim, Uilm e Fismic, è il rinvio di un nuovo accordo (che ovviamente sarebbe stato separato) per formalizzare la «pomiglianizzazione» di tutto il settore automobilistico. Un po' di tempo, più che per riflettere, per far ingoiare ai propri delegati e iscritti l'ennesima porzione di olio di ricino.
L'altra decisione, unilaterale, annunciata dalla Fiat nel corso dell'incontro di ieri riguarda il monte ore sindacale: disdettato a partire dal 1° gennaio del 2011 l'accordo che prevede l'agibilità sindacale in tutti gli stabilimenti anche per gli «esperti» e non solo per le Rsu. Gli esperti sono i rappresentati sindacali – una volta si sarebbero chiamati delegati di gruppo omogeneo, oggi di Ute – a più stretto contatto con i lavoratori e i loro problemi. La Fiat ha precisato che è sua intenzione aprire un tavolo con tutti i sindacati per addivenire a un nuovo accordo, «più consono» ai tempi che corrono. Si sa dove corrono i tempi, mentre l'accordo sul monte ore risale addirittura al 5 agosto del '71, strappato alla Fiat grazie al ciclo di lotte iniziato nel '68-'69, che regolava i tempi, i ritmi, la saturazione, i delegati e, appunto, il monte ore sindacale. C'è chi sospetta che per avere il riconoscimento degli esperti bisognerà aderire alle nuove regole di Marchionne. Si sa anche che la sola Fiom nell'auto ha 41 delegati tra gli operai (a Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Termini Imerese e pochissimi rimasti ad Arese, benché chiusa) e 49 esperti. A Melfi l'accordo sul monte ore non è valido perché l'azienda alla sua fondazione fu chiamata in un altro modo, Sata, proprio per poter assumere operai privi del portato di memoria e di diritti. Fu un'astuzia dell'allora ad Cesare Romiti, certo un uomo determinato, «feroce» come sa chi ricorda i 35 giorni dell'80. Un sincero democratico rispetto al «nuovo» Marchionne.
La delegazione Fiat guidata da Rebaudengo ha comunicato ai rappresentanti sindacali la decisione di sospendere l'uscita dalla Confindustria (finalizzata a liberarsi del contratto dei metalmeccanici) per due mesi, in attesa di trovare un accordo con l'associazione guidata da Emma Marcegaglia, che preveda deroghe al contratto fino a recepire per intero la nuova filosofiat contenuta nel diktat di Pomigliano. Invece, la newco «Fabbrica Italia Pomigliano» (Fip) non aderirà a Confindustria. Una la decisione pressoché irrilevante, dal momento che mentre gli investimenti per la produzione della Panda saranno fatti dalla Fip, il trasloco di baracca e burattini dalla Fiat alla Fip avverrà solo a partire da settembre del 2011, quando sarà avviata, con un po' di ritardo sulla tabella di marcia, la produzione. E nel frattempo  questa è una delle poche certezze per i lavoratori sballotolati di qua e di là come fagotti  tutti in cassa integrazione a stipendio ridotto, tranne i pochi che continueranno a lavorare all'Alfa 159. Sarà cassa integrazione in deroga, quella che si dà alle aziende decotte, perché per avere la cassa per ristrutturazione la Fiat dovrebbe fare gli investimenti, ma gli investimenti li fa la Fip.
Alla seconda parte dell'incontro di ieri, caratterizzato esclusivamente dal conflitto tra la Fiat e la Fiom, non ha partecipato la delegazione dei metalmeccanici Cgil guidata dal segretario generale Maurizio Landini, per la semplice ragione che riguardava «l'accordo» separato su Pomigliano siglato soltanto dai sindacati «collaborativi».               

Loris Campetti
Fiat. Masini (Fiom): “L’Azienda intende subordinare i suoi piani di investimento in Italia all’estensione a tutti gli stabilimenti delle deroghe previste nell’intesa separata su Pomigliano”


 

“Si è svolto oggi, a Torino, l’incontro tra le organizzazioni sindacali e la Fiat sul progetto ‘Fabbrica Italia’. Nel corso dell’incontro, la Fiat ha affermato che gli investimenti, previsti per il nostro Paese nei prossimi anni, sono subordinati all’estensione a tutti gli stabilimenti dell’auto delle condizioni imposte per quello di Pomigliano d’Arco con l’intesa separata del 15 giugno scorso. In sostanza, la Fiat vuole vincolare gli investimenti alla possibilità di infliggere sanzioni alle organizzazioni sindacali e ai singoli lavoratori prevista dall’intesa separata relativa a Pomigliano.”
“L’Azienda ha informato le organizzazioni sindacali che intende uscire da Confindustria per non dover rispettare il Contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. L’Azienda ha altresì dichiarato che ha sospeso questa decisione a fronte dell’impegno di Confindustria stessa a realizzare, nel Contratto nazionale, le deroghe necessarie per poter applicare l’intesa separata di Pomigliano e per poterla estendere a tutto il Gruppo. Si conferma, così, che l’accordo di Pomigliano contiene in sé deroghe relative al Contratto nazionale e, a nostro avviso, anche a leggi fondamentali in materia di diritto del lavoro.”
“La Fiom si è rifiutata di seguire questa impostazione e ha sollecitato nuovamente l’Azienda ad aprire un confronto sui veri problemi degli stabilimenti e della produzione: utilizzo degli impianti, flessibilità, organizzazione del lavoro, certezza degli accordi. La Fiat non solo non ha accolto questa sollecitazione, ma prosegue sulla strada delle sue scelte unilaterali. Ha deciso infatti di forzare ulteriormente la situazione, con la disdetta dal 1° gennaio 2011 degli accordi aziendali in materia di permessi sindacali.”
“Per quanto riguarda Mirafiori, la Fiat non ha assunto impegni relativi a nuove produzioni da destinare a questo stabilimento dopo la decisione di spostare la fabbricazione della nuova monovolume in Serbia. In questo modo, si apre il rischio di un lungo periodo di ricorso alla Cassa integrazione anche per la realtà torinese.”
“Infine, la Fiom non ha partecipato all’incontro successivo - relativo all’applicazione dell’accordo su Pomigliano attraverso la costituzione della cosiddetta Newco -, non avendo condiviso quell’intesa e considerando la Newco un’ulteriore e grave violazione dell’attuale sistema di regole esistenti nel nostro Paese in materia di relazioni industriali.”



La Cgil rompa con Confindustria





Com’era ovvio, Fiat, Confindustria, Cisl e Uil sono completamente d’accordo tra loro. Certo, oggi hanno qualche piccola divergenza sul “come” salvaguardare i reciproci ruoli e poteri. Ma non hanno alcun dissenso sul “cosa”, cioè su smantellare il Contratto nazionale, prima in Fiat e poi per tutti i lavoratori italiani e trasformare Pomigliano nella regola d’applicare fabbrica per fabbrica, territorio per territorio. Già ci sono i primi segnali in questa direzione, oltre la Fiat. L’associazione industriali di Brescia ha convocato Cgil, Cisl e Uil e ha proposto un patto territoriale che riproponga, in una delle province industriali più avanzate d’Italia e non nel Sud, i contenuti del diktat di Pomigliano. E’ ovvio che sia così. Solo uno sciocco può pensare che quello che vuole ottenere la Fiat non lo pretendano tutti gli altri industriali italiani. Sarebbe davvero un’agevolazione di mercato per una sola azienda. (...)
La sostanza è che siamo di fronte al più grave attacco ai diritti sindacali, anzi ai diritti puri e semplici, dei lavoratori dal 1945 ad oggi. E questo attacco avviene con il totale consenso di Cisl e Uil. Anche il quotidiano “Europa” si domanda se Bonanni sia ancora un sindacalista.
In sintesi, la Cgil deve muoversi e decidere. A metà settembre ci sarà il direttivo nazionale della confederazione, esso prima di tutto dovrà assumere un orientamento politico. Quello di considerare la vicenda Fiat una questione che riguarda tutti i lavoratori italiani e di accollare non solo a Marchionne, ma alla Confindustria tutte le responsabilità. Il che significa scegliere una via di rottura con la Confindustria e abbandonando ogni velleità di ricostruzione unitaria con gli attuali gruppi dirigenti di Cisl e Uil. Queste sono le scelte vere, tutto il resto rischia di portare la Cgil in una posizione di assoluta marginalità.
Dietro Marchionne l'autunno dell'auto
  



Loris Campetti
Crollo del 28% in Italia, ma la Fiat perde il 36%
Ci va una bella fantasia, accompagnata da un'overdose di ottimismo, a prendere per buone le promesse di Sergio Marchionne, secondo cui la Fiat costruirà in Italia 1,4 milioni di automobili, quasi il triplo della produzione attuale. L'ennesimo capitombolo del mercato interno a luglio, che segna una riduzione delle immatricolazioni del 28%, conferma la crisi del settore destinata a durare per tutto il 2010 e, secondo le previsioni degli esperti del settore, per buona parte del prossimo anno. Dentro questo crollo da astinenza di incentivi che coinvolge tutti i marchi la Fiat riesce a far peggio, immatricolando quasi il 36% di vetture in meno, con la conseguende perdita di una quota dell'1,4%, dal 30,4 al 29,1%. Nei primi sette mesi i marchi Fiat hanno perso per strada quasi il 3%, scendendo dal 33,4 al 30,7%.
Per invertire questa tendenza che dura ormai da alcuni mesi, il Lingotto dovrebbe buttare sul mercato modelli nuovi e competitivi con una concorrenza agguerritissima e molto più impegnata sul terreno della ricerca, dell'ambiente e delle innovazioni. Purtroppo le cose non stanno così, e ci vorrà un anno e mezzo prima che arrivino dei nuovi modelli che neanche saranno targati Fiat ma Chrysler. Di conseguenza fino all'avvio della nuova Panda, la cui produzione partirà non prima dell'autunno 2011, i concessionari avranno ben poco da offrire alla clientela: la vecchia Panda che è il modello più richiesto insieme alla Punto, un po' di fascia C con Bravo e Giulietta. Niente vetture di fascia alta, niente ammiraglie, niente sportive, niente grandi monovolumi. In poche parole, niente modelli ad alto valore aggiunto.
La crisi della Fiat viaggia di pari passo in Europa, per le stesse ragioni che la vedono battere in testa in Italia. L'insieme dei marchi italiani sono scesi al sesto posto in classifica, e le prospettive non sono migliori. Se la domanda dovesse mantenersi su questi livelli bassi per tutto il 2010 senza peggiorare, le immatricolazioni scenderebbero a 1,9 milioni di vetture, dai 2,5 milioni del 2009. Ciò comporterà un'ulteriore mazzata sui salari con l'aumento della cassa integrazione.
Dentro questo scenario si svela il senso dei diktat dell'amministratore delegato della Fiat, iniziati con l'accordo separato e il referendum imposti a Pomigliano e proseguiti con la minaccia di uscire da Confindustria per cancellare il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Marchionne pretende diritti e cieca obbedienza in fabbrica in cambio di una promessa di lavoro non sostanziata dall'andamento dei mercati italiano ed europeo e dalle performances dei suoi marchi. Quel che l'amministratore delegato vorrebbe è dunque chiarissimo: trovarsi al nastro di partenza, quando e se arriverà una ripresa della domanda, con le fabbriche italiane orientalizzate in quanto a diritti, salari e orari, con la personalizzazione dei rapporti di lavoro epurati dalle classiche funzioni sindacali. Se volete che resti in Italia, dice Marchionne, queste sono le mie condizioni e chi ha ancora in testa contratti, Costituzione e conflitti per difenderli può andare a far la coda davanti all'ufficio di collocamento. Ai sindacati che resistono va tolta la terra sotto i piedi, con tutti i mezzi, anche sfoderando forme di ricatto e repressione degni del peggio Valletta.
Marchionne se la prende con la Fiom per nascondere i suoi ritardi nella ricerca e nei nuovi modelli, pronto a gridare all'occorrenza che in Italia non ci sono le condizioni di competitività, flessibilità e disciplina quindi arrivederci. La Confindustria e la Federmeccanica sono nude di fronte al ricatto Fiat: una rappresentanza delle imprese metalmeccaniche privata dell'intero settore automobilistico sarebbe ben poca cosa. Per questo Emma Marcegaglia e i suoi corrispondenti di categoria sono pronti a modificare non solo l'ultimo contratto unitario dei meccanici, risalente al 2008 e mai disdettato, ma anche tutti i successivi accordi separati senza la Fiom per svuotare, deroga dopo deroga, il contratto e fare ovunque come a Pomigliano. Le rappresentanze padronali preferirebbero lasciare una porta accostata, perché sanno quanto complicato sia governare le fabbriche con la Fiom contro ma non hanno la forza, il coraggio e l'intelligenza di dire no a Marchionne. Del resto, ce l'hanno forse i sindacati «collaborativi»?

mercoledì 28 luglio 2010

Fiat. Landini (Fiom): “All’Azienda chiediamo di riaprire il confronto e la trattativa sindacale sul futuro di tutti gli impianti”

“Come sindacato, difendiamo i lavoratori che vivono del loro stipendio. Perciò, per noi, il fatto che la Fiat investa in Italia per rafforzare la produzione e l’occupazione è un fatto essenziale. È quindi necessario superare la distinzione ipotizzata da alcuni secondo cui ci sarebbe chi vuole gli investimenti e chi no.”
“L’Amministratore delegato del Gruppo Fiat, Sergio Marchionne, chiede che si rispettino gli accordi. Però la Fabbrica Italia, come lui stesso ha precisato, non è un accordo ma un progetto messo a punto dall’Azienda. Quindi può essere modificato di continuo dall’Azienda stessa, creando incertezza tra i lavoratori sul loro futuro. Ciò ha inevitabilmente delle ricadute negative. Sottolineo, infatti, che l’affidabilità è sempre reciproca. E vorrei ricordare che il sindacato, finora, non ha mai disdettato gli accordi. Qualcun altro lo ha fatto.”
“Osservo, poi, che Marchionne sbaglia quando dice che su Pomigliano, da parte nostra, non sono state fatte proposte alternative. Abbiamo detto che, a partire dal rispetto del Contratto nazionale e delle leggi vigenti, era possibile affrontare il problema della produttività. Ma nessuno ci ha mai risposto. In tante aziende abbiamo fatto accordi in grado di garantire un miglior utilizzo degli impianti. Alla Fiat chiediamo dunque di riaprire il confronto e la trattativa sindacale sul futuro di tutti gli impianti, a partire da quello di Pomigliano.”
“La Fiom non è disposta a lasciar passare l’idea che, per investire in Italia, si debbano fare delle deroghe rispetto ai diritti sanciti da leggi e contratti. Ancora più grave sarebbe se questa vicenda andasse a intaccare l’intero sistema della contrattazione nazionale di categoria.”
“Aggiungo poi che, per migliorare il clima del confronto, riteniamo utile che l’Azienda ritiri i licenziamenti effettuati a Melfi e a Mirafiori. Per quanto riguarda la chiusura di Termini Imerese, chiediamo alla Fiat di agevolare il subentro di un’altra Azienda che, come da noi auspicato, sia un’impresa intenzionata a produrre autovetture.”
“Per quanto riguarda il Governo, voglio ribadire che non sta facendo quello che fanno i Governi degli altri Paesi. Tali Governi, di fronte alla crisi economica globale, fanno politica industriale e la fanno non a parole, ma utilizzando denaro pubblico.”
 LA REPUBBLICA DELLE BANANE FA IL SUO ESORDIO AL LINGOTTO

Anche quest’ultima di Marchionne non è certo una idea nuova.
Fu Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat negli anni della persecuzione antisindacale del dopoguerra, a pensare a un contratto dell’auto. A tale scopo organizzò la scissione nella Cisl - oggi non ce ne sarebbe bisogno - e promosse la costituzione del Sida, sindacato dell’auto oggi diventato Fismic. A Valletta questa operazione non riuscì. Nell’Italia arretrata e povera delle grandi contrapposizioni sociali e politiche, tutto il sistema impedì lo sganciamento della Fiat dal contratto nazionale. Oggi, in condizioni peggiori di allora, visto che Valletta pensava di fare un contratto privilegiato per i lavoratori Fiat e non low-cost come Marchionne, pare che l’amministratore delegato della Fiat possa agire incontrastato. Il più grave attacco ai diritti dei lavoratori italiani dal 1945 ad oggi, che mette in discussione in Fiat e in tutta Italia il contratto nazionale e i diritti costituzionali del lavoro, viene presentato come una intelligente manovra di un bravo manager capace di muoversi nella globalizzazione. (...)

Tutti gli umori critici verso la finanziarizzazione dell’economia, verso il liberismo selvaggio, verso l’assenza di regole nel movimento dei capitali, tutto ciò che si diceva quasi unanimemente dopo l’esplodere della grande crisi finanziaria di due anni fa, pare improvvisamente dimenticato. Siamo tornati all’esaltazione acritica dell’impresa multinazionale e dei suoi interessi e per l’Italia l’unico futuro industriale è quello fondato sulla competizione sui bassi salari e sugli orari flessibili. I riferimenti diventano la Serbia e la Polonia e non certo la Germania o la Svezia. E’ una gigantesca regressione del modello economico e sociale che si propone al paese, che necessariamente diventa anche regressione del pensiero.
Non è solo la stampa compiacente ad esprimersi su questa lunghezza d’onda. Il sindaco di Torino, Chiamparino, ha lamentato che il sindacato è ancora indietro di trent’anni. E così non si è accorto di rinverdire una tradizione di primi cittadini totalmente subalterni alla Fiat, che in quella città è molto più antica. Il ministro Sacconi, che sul piano delle relazioni sindacali ha lo stesso equilibrio del ministro Alfano rispetto alla magistratura, convoca un raffazzonato incontro a Torino che denuncia prima di tutto l’incapacità del governo di convocare l’azienda nelle sedi istituzionali ove si dovrebbe discutere di politiche industriali. Cisl e Uil si dichiarano disposte ad accettare quella nuova società - intanto per Pomigliano e poi si vede - che dovrebbe rendere legalmente vincolante lo strapotere dell’azienda sulle condizioni di lavoro. E con eccezionale sprezzo del ridicolo, affermano che comunque intendono salvaguardare il contratto nazionale. L’opposizione ufficiale, che aveva spiegato al mondo che Pomigliano era un’eccezione, ora balbetta frasi incomprensibili.
Le uniche posizioni chiare sul campo sono quelle di Marchionne da un lato e della Fiom dall’altro. L’amministratore delegato Chrysler-Fiat ha scelto di fare del suo gruppo un’impresa che insegue finanziamenti pubblici, salari bassi e supersfruttamento in giro per il mondo e che riserva all’Italia solo una piccola e arrogante parte dei propri interessi.
La Fiom, accusata di estremismo e massimalismo, assume in realtà posizioni che solo fino a pochi anni fa sarebbero state patrimonio della grande maggioranza delle istituzioni, delle forze politiche, dei poteri democratici. L’incredibile acquiescenza che c’è oggi verso una Fiat che ha semplicemente detto che vuol fare quello che vuole, quando vuole, per far guadagnare di più amministratore delegato e azionisti, alla faccia del lavoro, dei contratti, della Costituzione; questa libidine di servitù verso la Fiat è il segno più evidente della crisi della democrazia italiana.
La sceneggiata che oggi verrà rappresentata a Torino, ove la prepotenza dell’azienda si misurerà con impotenza delle istituzioni, è la rappresentazione della regressione civile e politica e istituzionale del nostro paese.
La repubblica delle banane, che è sempre facile individuare nelle imprese di Berlusconi, ha oggi una sua sede costituente primaria al Lingotto di Torino.

Giorgio Cremaschi

martedì 27 luglio 2010

 

 

Metalmeccanici: Landini, in piazza per lavoro e diritti


Il leader della Fiom lancia la manifestazione del 16 ottobre
“E' in atto il tentativo di cancellare e superare il contratto nazionale, il diritto alla contrattazione collettiva in fabbrica”. Lo ha detto oggi (27 luglio) il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, nel suo intervento all'assemblea nazionale dei delegati di Unionmeccanica-Confapi. “Siamo di fronte - ha spiegato - a un'accelerazione di questo processo, si deciderà nei prossimi mesi. Non avremmo quindi nessun secondo tempo per prendere delle decisioni, chi pensava a successive verifiche, deve fare i conti con questa accelerazione”.

“Gli accordi separati per i contratti di Unionmeccanica-Confapi e le Associazioni delle Cooperative rendono ancora più evidente il problema della rappresentanza delle Organizzazioni sindacali. Cisl e Uil sono largamente in minoranza eppure hanno firmato un'intesa legittimate, non dai lavoratori, ma dalle Organizzazioni datoriali. Fa tutto parte dello stesso disegno. Si tratta di una distruzione sistematica delle tutele e dei salari che va contrastata. Per questo invieremo una lettera di contestazione a tutte le aziende della legittimità degli accordi e apriremo vertenze aziendali e territoriali”.

“Se viene confermata l'ipotesi della newco a Pomigliano - ha avvertito Landini - , e la non applicazione del contratto dei metalmeccanici, si tratterebbe di una scelta grave e non motivata da problemi di produttività. Non c'era bisogno di seguire questa strada da parte della Fiat, bastava applicare il Contratto nazionale per garantire i livelli di produttività richiesti. La strada che stanno seguendo è quella della contrattazione di settore, sempre per superare il Contratto nazionale e l'unificazione delle condizioni di lavoro. Si prende a riferimento l'intesa di Pomigliano, ovvero la derogabilità dei diritti e si portano gli Usa ad esempio. Ma negli Stati Uniti la grave crisi nell'industria dell'auto è stata così pesante proprio per la mancanza dello Stato sociale e dal Contratto nazionale, che ha portato a competere sulle condizioni di lavoro e sui salari. Oggi un metalmeccanico ha gli stessi diritti, a prescindere da dove lavori. Se va in porto questo progetto, i diritti saranno legati all'azienda in cui un dipendente lavora”.

“La manifestazione del 16 ottobre di tutte le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici riparte dal mettere al centro il lavoro e i diritti per uscire dalla crisi. Per noi la democrazia e il coinvolgimento dei lavoratori è un punto centrale. Siamo pieni di dichiarazioni di solidarietà - ha concluso -, ma ora serve costruire un movimento per influenzare le decisioni in atto”.

Fiat: nasce Newco, fabbrica a Pomigliano

 Presidente Marchionne, capitale di 50.000 euro. Verso nuovo contratto per 5mila lavoratori


TORINO - E' nata Fabbrica Italia Pomigliano. La societa' e' stata iscritta al Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino il 19 luglio. E' controllata al 100% da Fiat Partecipazioni, ha un capitale di 50.000 euro e il presidente e' Sergio Marchionne.
L'oggetto sociale della newco e' ''l'attivita' di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine puo' costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende''. Inoltre la societa' ''puo' compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o societa', anche intervenendo alla loro costituzione''. La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano e' un passo preliminare per la costituzione di una nuova societa', una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom.

Fiat, il più grave attacco ai diritti dei lavoratori dal 1945 ad oggi.

Quello che oggi tutti i giornali preannunciano per la Fiat, (...)
cioè l’abbandono del contratto nazionale, è il più grave attacco ai diritti dei lavoratori dal 1945 ad oggi.
Così come la vicenda di Pomigliano annunciava l’attacco a tutti i diritti dei lavoratori Fiat, così la scelta della Newco e del contratto pirata, che di questo si tratta, per il settore auto, rappresenta la messa in discussione del contratto nazionale per tutti i lavoratori italiani. L’incontro di domani, alla luce di queste anticipazioni, si presenta come una patetica sceneggiata, nella quale saranno rappresentate la prepotenza della Fiat e l’impotenza delle istituzioni di fronte alle multinazionali. E’ una vergogna per l’Italia e un danno drammatico per i lavoratori e per l’industria. In ogni caso è chiaro che le decisioni Fiat apriranno la via a conflitti sindacali e legali senza precedenti.


27 luglio 2010

lunedì 26 luglio 2010

Cremaschi sulla newco Fiat
"Espellere sindacati che accettano"

Chi non contrasta il progetto di Marchionne dovrebbe essere immediatamente espulso dalla Confederazione sindacale europea come sindacato giallo"

"Se qualche sindacato confederale italiano dovesse accettare o solo non contrastare un'ipotesi di questo genere dovrebbe essere immediatamente espulso dalla Confederazione sindacale europea come sindacato giallo. Con la democrazia non si può scherzare". Lo ha detto, in merito all'ipotesi di una newco di Fiat a Pomigliano, Giorgio Cremaschi della Fiom, intervenendo a Sala Baganza, in provincia di Parma, alla festa nazionale della Rete 28 Aprile.

"E' incredibile la sottovalutazione democratica che c'è rispetto alla minaccia della Fiat di fare una nuova società a Pomigliano e altrove, che viola tutti i contratti e tutte le leggi, licenziando migliaia di lavoratori. E' questa una scelta contro la Costituzione e contro le leggi italiane ed europee. Non si può discutere serenamente di una scelta così sciagurata ed è bene dire che nessuna organizzazione sindacale degna di questo nome può accettarla in Europa", ha aggiunto il leader della rete 28 Aprile.

  
Comunicazione



Gruppo Fiat. Il governo convoca Fiat e sindacati, a Torino, per mercoledì 28 luglio prossimo. A causa di questa concomitanza l’iniziativa prevista per il 28 luglio a Roma è rinviata.
    


Carte false

  Loris Campetti

L'escalation di Sergio Marchionne fa registrare un nuovo salto in avanti nel processo di rivallettizzazione della Fiat. Dalla filosofia classica, «licenziarne uno per educarne cento» - e ormai dovrebbero essere diverse centinaia le tute blu rieducate, dato il numero crescente di licenziamenti realizzati dal Lingotto - l'amministratore delegato starebbe meditando di passare a scelte ancor più radicali. Visibilmente scosso dall'esito del referendum di Pomigliano e indispettito dal moltiplicarsi degli scioperi nelle sue officine, Marchionne potrebbe decidere di chiudere la fabbrica campana per poi riaprirla sotto falso nome, una newco a cui vendere baracca - lo stabilimento - e presunti burattini - i dipendenti. Tutto al solo scopo di liquidare definitivamente il «male» che starebbe corrodendo dall'interno il corpo altrimenti sano della stimata ditta torinese (torinese è un modo di dire). Il male è il conflitto in difesa dei diritti e della dignità dei lavoratori. La newco, il cui nome sarebbe già stato scelto, riassumerebbe tutti i 5 mila lavoratori della «vecchia» azienda a condizione che si adeguino a una nuova legislazione: 18 turni settimanali, riduzione e addirittura cancellazione della pausa mensa qualora la domanda bussasse compulsivamente alla porta, aumento della cadenza delle linee e dunque della produzione pro capite, messa in mora del diritto di sciopero e penalizzazione salariale della malattia, cancellazione del contratto nazionale. Chi ci sta ci sta, gli altri vadano a protestare alla Fiom. Tutti i sindacati sarebbero ammessi al gran ballo, naturalmente, ma per essere riconosciuti dal monarca dovranno prima aderire al nuovo sistema di regole, altrimenti nessuna trattenuta sindacale in busta paga per gli iscritti all'organizzazione reproba e nessuna «concessione» di permessi sindacali aggiuntivi. Un percorso destinato, nella fulgida mente del Lingotto, a togliere alla Fiom anche l'aria che respira. Per realizzare questo progetto rivoluzionario, Marchionne, anzi il prestanome di turno della newco, non iscriverebbe la società alla Confindustria, nel caso specifico quella di Napoli, così da poter eludere il contratto nazionale dei metalmeccanici e costruirne uno ad hoc che i sindacati «collaborativi» sarebbero già pronti a sottoscrivere, così come hanno già fatto con il diktat-referendum di Pomigliano. Si tratterebbe solo di tener buono il grande sponsor dell'ad del Lingotto, Emma Marcegaglia, che verrebbe privata di uno dei pezzi da novanta della sua organizzazione. Tantopiù che, qualora l'operazione newco dovesse realmente realizzarsi e magari anche funzionare, essa non si fermerebbe a Pomigliano ma si allargherebbe all'intero comparto auto della Fiat. Lo spin-off deciso dalla Fiat per le quattro ruote renderebbe quasi «naturale» questo esito.
C'è un altro piccolo problemino sul tavolo di Marchionne, ora allo studio di un'equipe di prestigiosi legali. Si tratta del modo attraverso cui arrivare alla nuova società, la newco. La forma classica è quella della cessione del ramo d'impresa, che però è vincolata al rispetto dell'articolo 47 del Codice civile, dove vengono garantite «le norme in essere». In parole povere, i lavoratori riassunti dalla newco resterebbero titolari del sistema di regole, garanzie e diritti acquisiti nella loro precedente vita lavorativa in Fiat. Insomma, tanta fatica per niente? La Fiat e i suoi legali non mancano certo di fantasia e creatività qualcosa potrebbero anche inventarsi per liberarsi di qualsivoglia laccio e lacciuolo. Le cose furono più semplici per Cesare Romiti, quando venne costruito lo stabilimento di Melfi dal nulla, anzi dal «prato vedre» della piana di san Nicola. La società venne chiamata Sata e non Fiat e i lavoratori assunti subirono un trattamento diverso dai loro compagni di Torino o di Termini Imerese: orari più lunghi, salari più bassi, produttività più alta, diritti minori (fu allora che venne derogato il divieto al lavoro notturno femminile). A Romiti l'impresa fu possibile proprio perché a Melfi non esisteva un «prima», e comunque anche il vecchio amministratore delegato del Lingotto pretese un accordo sindacale, che tutti firmarono, prima di avviare la costruzione.
Una bomba atomica gettata sulle relazioni sindacali italiane. Non è detto che sia destinata ad esplodere davvero, se ne parla - e questo giornale ne ha scritto in più occasioni nell'ultimo mese - dall'accordo separato tra Fiat, Fim e Uilm per Pomigliano, durante un incontro in cui la Fiom era presente solo nella veste di osservatore. In quella circostanza, dopo un primo tentennamento persino i rappresentanti metalmeccanici di Cisl e Uil storsero il naso e l'ipotesi venne accantonata. Se ne tornò a parlare in occasione del referendum imposto da Marchionne nello stabilimento di Pomigliano il cui esito - quel 40% di no tra gli operai - lo fece tanto soffrire. Si tratta però di una bomba che produce effetti devastanti anche senza, o prima di, esplodere, per quel portato di minaccia e ricatto che incorpora. Viene agita mentre si mette uno stabilimento contro l'altro, Mirafiori contro Kragujevaz, muovendo modelli di vetture e lavoratori come pedine di un gioco le cui regole sono scritte e imposte da un uomo solo al comando.
Marchionne se lo può permettere perché non ha interlocutori politici forti e responsabili, tant'è che solo di fronte alla minaccia di svuotare Mirafiori il governo, spinto dalle sue anime più razziste, ha convocato azienda e sindacati. Anche in campo democratico si sono sentite voci stonate di chi sta al gioco della Fiat, contrapponendo i buoni operari torinesi a quegli irresponsabili dei napoletani o agli inaffidabili slavi di Kragujevac. Un incontro, il 28, per discutere non si sa bene di cosa: ragionare su uno stabilimento alla volta vuol dire lasciare il gioco nelle mani della Fiat. In nome, naturalmente, della competitività che presuppone lo scontro tra navi da guerra, multinazionale contro multinazionale, stabilimento contro stabilimento, operaio contro operaio. Una guerra dove il prezzo di sangue verrebbe pagato sempre e solo dai lavoratori. La ragione dell'accanimento del nuovo Von Klausevitz italo-elvetico-canadese contro la Fiom sta nel fatto che, per ora, il sindacato di Landini rappresenta l'unico ostacolo della corsa di Marchionne verso il delirio.
p.s. Non tutti i mali vengono per nuocere. A prescindere dai piani di Marchionne, o forse anche temendo rappresaglie da parte della Fiat, la Fiom ha deciso di lanciare una impegnativa campagna di rinnovo di tutte le deleghe, contattando uno a uno gli iscritti per verificare la loro intenzione di rinnovare la tessera e intercettando lavoratori non iscritti per convincerli a battersi al fianco della Fiom. Sembrerebbe normale, una verifica democratica necessaria, ma non lo fa nessun sindacato, approfittando dell'automatismo garantito dalla trattenuta sindacale effettuata in busta paga direttamente dalle aziende, come prevede quel contratto nazionale dei metalmeccanici di cui Marchionne tenta in tutti i modi di liberarsi. Per la Fiom, quest'atto coraggioso di democrazia e di rispetto della volontà dei lavoratori potrebbe sortire effetti anche molto positivi. Una sfida aperta alle imprese e ai sindacati complici.

venerdì 23 luglio 2010

Fiat: Fiom, successo sciopero dimostra nostre ragioni

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“Le adesioni allo sciopero di due ore, indetto per oggi dalla Fiom in tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat, confermano il successo incontrato fra le lavoratrici e i lavoratori dalle mobilitazioni lanciate dalla nostra organizzazion”. Così in una nota Maurizio Landini, segretario generale della Fiom Cgil, sullo stop di oggi contro i licenziamenti e per il premio di risultato. “Per parte nostra - prosegue Landini - ribadiamo le richieste di ritiro dei licenziamenti e di riapertura di un negoziato sul salario aziendale. Ribadiamo altresì la necessità che il gruppo Fiat si confronti con tutte le organizzazioni sindacali sul ruolo degli stabilimenti italiani e delle produzioni effettuate nel nostro paese”.
Gli avvenimenti degli ultimi giorni, conclude il dirigente delle tute blu Cgil, “confermano che il governo italiano è rimasto l’unico, in Europa, a non avere definito una propria politica industriale di sostegno al settore dell’auto e, più in generale, della mobilità. Politica che è invece assolutamente indispensabile per innovare i prodotti, per rafforzare le produzioni e per difendere tutti gli stabilimenti e, con essi, l’occupazione”.
L’adesione all'Iveco di Torino è stata di oltre l'80%: così riferisce la stessa Fiom dopo il corteo di circa mille lavoratori, alcuni dei quali con le mutande in testa, che hanno sfilato lungo corso Giulio Cesare fino all'imbocco dell'autostrada e della tangenziale.
Landini: "La verità è che un operaio serbo guadagna 400 euro al mese"

"La Fiat è in difficoltà sul mercato, soprattutto in Europa, i prodotti sono vecchi e poco competitivi e si cerca di creare una cortina fumogena dando la colpa ai sindacati e ai lavoratori". Lo afferma in un'intervista a L'Unità Maurizio Landini, segretario della Fiom Cgil, dopo l'annuncio dell'ad del Lingotto, Marchionne di portare da Mirafiori alla Serbia, la produzione della monovolume L0.
"La scelta della Serbia non è casuale - aggiunge Landini - quella era una fabbrica distrutta dai bombardamenti, ricostruita con soldi del governo, esente da tasse per 10 anni e l'azienda incassa un contributo di 10mila euro per ogni dipendente assunto. Un operaio guadagna 400 euro al mese. E' un'altra America per Marchionne".
Dunque il vero scopo della scelta aziendale, secondo il sindacalista, sarebbe quello di prendere i soldi pubblici, con cui finanziare gli investimenti senza rimetterci niente. Secondo Landini, si tratta di una logica applicata anche in Italia, dove Termini Imerese chiude "con nessuna opposizione, i dipendenti perdono tra i due e tre mesi di reddito con la cassa integrazione e in più Marchionne non paga il premio di risultato, mentre distribuisce il dividendo".
La testa della Fiat si sta spostando, secondo Landini, in America e "Pomigliano è stata una prova per soggiogare i lavoratori e i sindacati". 'Se Fabbrica Italia significa che i salari italiani devono competere con quelli polacchi, serbi e magari cinesi allora - conclude Landini - la partita è persa, perché ci sarà sempre chi guadagna un euro in meno di noi".

Marchionne low cost

L'amministratore delegato della Fiat ha gettato la maschera. Investira' in Serbia invece che a Mirafiori. Perche' li' la paga degli operai e' di trecento euro al mese con contratti a termine ed il governo finanzia per centinaia di milioni di euro l'investimento della Fiat. La nuova Chrysler-Fiat, la multinazionale americana che nasce dallo scorporo del gruppo, sara' un'azienda low cost. Un azienda che insegue i bassi salari ed i finanziamenti pubblici ovunque siano e che quindi non puo' certo investire davvero in Italia o nell' Europa piu' avanzata. Cosi' si annunciano decisioni che aprono la via alla chiusura di Mirafiori dopo Termini Imerese mentre pomigliano rimane appesa al filo del supersfruttamento. Che poi tutto questo venga giustificato dando la colpa al sabotaggio Fiom, fa solo ridere. Dimostra che Marchionne e' in fondo persona poco seria. (...)
Che puo' dire le sue sciocchezze solo perche' in Italia trova un regime politico informativo servile e compiacente. Che non basta pero' a convincere coloro che di finanza e impresa ne  sanno davvero. Ed infatti pare che le agenzie di rating si preparino a giudicare molto negativamente il valore reale dell'operazione Fiat. Loro a differenza della stampa e dei pricipali partiti italiani la favola delle colpe della  fiom non se la bevono e sanno che e' una copertura per mascherare lo stato reale della fiat.  Le ragioni dei licenziamenti politici, del taglio dei diritti e dei salari sono cosi' piu' chiare. La Fiat non sta facendo cosi' perche vuole investire, ma perche' se ne vuole andare. 

Giorgio Cremaschi
 

giovedì 22 luglio 2010


Fiat. Masini (Fiom): “La Sevel minaccia di
licenziamento i lavoratori che sono stati in malattia. L’Azienda continua nella campagna di intimidazione”

Enzo Masini, coordinatore nazionale auto della Fiom-Cgil, ha diffuso in serata la seguente dichiarazione.

“Le lettere inviate oggi ai lavoratori della Sevel confermano che è in atto una campagna di intimidazione della Fiat, diversa da stabilimento a stabilimento, per creare un clima esasperato e incutere timore ai lavoratori.”
“Nella lettera, che è arrivata a diverse decine di lavoratori e lavoratrici, si riconosce che le assenze per malattia sono state fatte nell’ambito delle disposizioni di legge e contrattuali, ma si conclude con una minaccia esplicita con la quale l’Azienda si riserva di valutare la prosecuzione del rapporto di lavoro. Quindi si chiede ai lavoratori di andare a lavorare anche se malati.”
“A ciò che risulta da un primo riscontro fatto dalle Rsu tra i lavoratori e le lavoratrici che hanno ricevuto la missiva, si tratta in prevalenza di persone con un’alta anzianità aziendale e in prevalenza donne. In molti casi la lettera è stata inviata a lavoratori con gravissime patologie mediche.”
“La Fiat continua a perseguire l’obiettivo di governare gli stabilimenti non con la ricerca del consenso partecipato dei lavoratori, ma con una impostazione autoritaria e ottocentesca basata sul rapporto di forza.”
“Lo sciopero di domani, dopo questo ulteriore atto di intimidazione, assume un significato ancora maggiore.”

                                                                                  Fiom-Cgil/Ufficio Stampa 
Roma, 22 luglio 2010
Fiom informa in Fiat / 11
 

Polemiche strumentali della Fim-Cisl
Sul PdR in Fiat

In alcuni stabilimenti del Gruppo è stato fatto circolare un volantino a
firma Fim-Cisl Nazionale sul mancato pagamento del PdR.
 
CIÒ CHE AFFERMA LA FIM È TOTALMENTE ASSURDO: INVECE DI
PRENDERSELA CON LA FIAT ACCUSA LA FIOM.
 
La verità è che le sigle sindacali che l’anno scorso pretesero di firmare
quanto aveva unilateralmente già deciso la Fiat (i 600 € a luglio e i 200€
per chi arrivava all’argento del WCM) si trovano oggi in grande difficoltà.
La Fiom non firmò perché la Fiat nel 2009 aveva dimezzato il Premio di
Risultato quando aveva utili record ed era facile prevedere che con la
crisi avrebbe trovato la scusa per dare meno quest’anno.
 
LA FIAT HA ADDIRITTURA DECISO DI NON DARE NIENTE.
MENTRE PAGA GLI AZIONISTI E I DIRIGENTI
 
Come ha firmato per il 2009, la Fim se voleva poteva firmare anche per il
2010. Ora lasci quindi in pace la FIOM e provi a lottare contro le scelte
della FIAT.
Semmai, chi ha firmato l’accordo sul nuovo modello contrattuale (che la
CGIL non ha firmato) rifletta sulle cose che fa e sui risultati concreti:
 
- pochissimi soldi nel Contratto nazionale;
- cancellazione di ciò cui abbiamo diritto nella
contrattazione aziendale.
 
COORDINAMENTO NAZIONALE FIOM FIAT GROUP
Roma, 22 luglio 2010
Fiom-Cgil nazionale - www.fiom.cgil.it

mercoledì 21 luglio 2010

Meno male che c’è la Fiom

Dal fronte sindacale,segnatamente dalla Cgil, vengono notizie preoccupanti. La minoranza Fiom, corrispondente alla maggioranza confederale, sino ad oggi rappresentata nella segreteria dei metalmeccanici da Fausto Durante, ha deciso di uscire dall’organismo esecutivo.
Non serve avventurarsi in astruse elucubrazioni dietrologiche per comprendere significato e gravità di un atto che segna una solenne presa di distanza della confederazione di Epifani dalla sua più forte e combattiva federazione di categoria. Un gesto che avviene mentre la Fiom è sottoposta ad un attacco frontale, a tutti i livelli della propria struttura di rappresentanza, tanto da parte dell’impresa simbolo del capitalismo italiano, la Fiat, quanto da parte di Federmeccanica che già minaccia di sospendere, a partire da settembre, le trattenute sindacali relative alle deleghe sottoscritte dai lavoratori.
La motivazione esibita, vale a dire l’adesione del segretario della Fiom, Maurizio Landini, all’area programmatica confederale “la Cgil che vogliamo”, prerogativa statutariamente riconosciuta ad ogni iscritto alla Cgil, appare un puerile pretesto che dietro un’esile foglia di fico nasconde uno scontro politico di fondo: una visione strategica divaricante maturata durante la segreteria di Epifani ed esplosa, in particolare sui temi della democrazia e dell’autonomia della contrattazione, nel recente congresso.
Ma isolare la Fiom mentre essa è impegnata in una tenacissima resistenza per difendere irrinunciabili diritti individuali e collettivi, e mentre lo stesso potere di coalizione sindacale è messo a repentaglio dalla più pesante offensiva antioperaia che sia stata scatenata da trent’anni a questa parte, è un fatto che dovrebbe allarmare chiunque abbia minimamente a cuore le sorti del sindacalismo e della democrazia <+Cors>tout court<+Tondo>. E rendere avvertiti di quali proporzioni rischia di assumere la deriva normalizzatrice che ha già totalmente inertizzato Cisl e Uil, trasformandole in pallide controfigure, prive di autonomia, perfettamente interfacciate al potere confindustriale.
Ieri la Fiom ha reagito con coraggio e lucidità all’assedio cui è sottoposta, decidendo nel suo comitato centrale tre cose di somma importanza: il rinnovo di tutte le deleghe sindacali; l’impegno più risoluto a sostegno della propria proposta di legge di iniziativa popolare sulla democrazia sindacale già consegnata al Parlamento con un corredo di oltre centomila firme; la convocazione di una grande manifestazione per la democrazia, i diritti, la riconquista del contratto nazionale di lavoro per il prossimo 16 ottobre.
Per quanto è in noi non lesineremo energie nel sostenere questa battaglia di cruciale importanza per l’intero mondo del lavoro e per le stesse prospettive della sinistra in Italia.
 
FIAT: FIOM CGIL, il 22 luglio sciopero di 2 ore in tutti gli stabilimenti del Gruppo
Coordinamento nazionale FIAT della categoria si mobilita “per denunciare il clima antidemocratico e intimidatorio nell'azienda”. Il Comitato centrale promuove una manifestazione nazionale a Roma il 16 ottobre per “il lavoro, i diritti, la democrazia e la riconquista di un vero contratto nazionale”
 
Il Coordinamento nazionale della FIOM CGIL Gruppo FIAT, riunitosi a Roma, ha proclamato uno sciopero di due ore per giovedi' 22 luglio e ha organizzato per il mercoledì successivo, 28 luglio un incontro a Piazza Montecitorio (ore 11) con i gruppi parlamentari e con le forze politiche “per denunciare il clima antidemocratico e intimidatorio in FIAT”, lo annuncia il sindacato dei metalmeccanici in una nota.


“La FIAT ha deciso di distribuire centinaia di milioni agli azionisti e di aumentare del 40% i compensi ai massimi dirigenti - è scritto nella nota del Coordinamento FIAT della FIOM CGIL - alle lavoratrici ed ai lavoratori, con salari già bassi, non vuole dare niente”.


La FIOM CGIL rivendica: “la corresponsione immediata di una cifra non inferiore a quella dell'anno scorso (600-800 euro) a tutti i dipendenti, anche a quelli in Cassa integrazione; il ritiro dei licenziamenti a carattere intimidatorio a Melfi e a Mirafiori; l'apertura di un negoziato sulle prospettive industriali e occupazionali del Gruppo connesse alla costituzione di due società (Auto e FIAT Industrial), respingendo la strategia perseguita a Pomigliano di contrapporre lavoro e diritti”.


Inoltre il Comitato centrale della FIOM CGIL, riunitosi a Roma il 19 e 20 luglio, “assumendo la discussione e il documento dell'assemblea dei delegati e delle delegate FIAT, grandi gruppi e Mezzogiorno dello scorso 1° luglio a Pomigliano”, ha indetto per sabato 16 ottobre una “manifestazione nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici, a Roma, per il lavoro, i diritti, la democrazia e la riconquista di un vero contratto nazionale” che sarà  aperta alla partecipazione sociale e dell'opinione pubblica. Così è scritto nel Dispositivo finale approvato all'unanimità. Nel documento compaiono inoltre altri due punti, nei quali la FIOM si impegna a “dare mandato alla Segreteria nazionale di convocare, nel mese di settembre, la conferenza per il Mezzogiorno a Bari” e ad “avviare, a partire dal prossimo autunno, una campagna straordinaria di proselitismo e di risottoscrizione della delega alla FIOM CGIL tra tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori metalmeccanici”.
 
Il Comitato centrale della FIOM si dichiara inoltre “impegnato a partecipare alla giornata di mobilitazione europea, proclamata dalla CES per il 29 settembre 2010, per la difesa del lavoro e dei diritti sociali”.

martedì 20 luglio 2010


COMUNICATO SINDACALE FIOM


 Per il salario, per i diritti,
per il lavoro,
contro i licenziamenti

La Fiat ha deciso di distribuire centinaia di milioni agli azionisti e di aumentare del 40% i compensi ai massimi dirigenti.
Alle lavoratrici ed ai lavoratori, con salari già bassi, non vuole dare niente.
 

La Fiom rivendica:
 

● La corresponsione immediata di una cifra non inferiore all’anno scorso (600-800euro) a tutti i dipendenti, anche a quelli in cassa integrazione.
 

● Il ritiro dei licenziamenti a carattere intimidatorio a Melfi e Mirafiori.
 

● L’apertura di un negoziato sulle prospettive industriali e occupazionali del Gruppo con la costituzione di due società (Auto e Fiat Industrial), respingendo la strategia perseguita a Pomigliano di contrapporre lavoro e diritti

Il Coordinamento nazionale del Gruppo Fiat decide per  GIOVEDI' 22 LUGLIO 2 ORE DI SCIOPERO 

(le ultime di ogni turno lavorativo).

Mercoledì 28 luglio a Roma
in piazza Montecitorio dalle ore 11.00
incontro con Gruppi parlamentari e le forze politiche
per denunciare il clima antidemocratico e intimidatorio in Fiat
con la partecipazione di tutti gli stabilimenti del Gruppo


Coordinamento nazionale Fiom-Cgil Gruppo Fiat

            Roma, 20 luglio 2010

lettera a marchionne di un lavoratore della cnh jesi consegnata stamane alla fiom

Caro Sergio

Le scrivo così mi distraggo un po'; parafrasando una famosa canzone di un noto cantautore rispondo alla sua lettera, che come operaio appartenente al Gruppo Fiat in Italia, ho appena ricevuto.
Ma questo non è il tempo delle distrazioni, perché in questo periodo bisogna avere gli occhi ben aperti alla luce degli ultimi fatti che stanno avvenendo in casa Fiat.

Secondo il mio modesto parere, conoscerà pure le realtà al di fuori del nostro Paese, ma non conosce abbastanza bene la realtà, il quotidiano delle fabbriche del Gruppo che Ella guida.
Si vogliono far ricadere sull'operaio i problemi che son venuti in seguito alla crisi mondiale e nel nostro specifico con il famoso WCM.

È a conoscenza del mancato coordinamento tra logistica e attività produttive? Non è muda (spreco) forse il fatto che qualche decina di persone fanno finta di cercare un codice o un particolare?
Non è muda il fatto che una linea di montaggio si fermi per il mancato arrivo di un pezzo?
Per non parlare poi di sicurezza. Al WCM lavorano persone senza alcuna qualifica, magari perché solo volenterosi o che non scioperano mai, ma che progettano attrezzature fatiscenti, che a volte mettono a rischio l'incolumità dell'operaio.

La crisi c'è, si sente ed eccome si sente, a dispetto di qualcuno che diceva che l'Italia era fuori dalla crisi. Ma come possiamo competere con certi paesi in cui il salario è meno della metà del nostro?

Ma perché proprio noi, in nome della crisi, dobbiamo ridurre i nostri salari già abbastanza penalizzati e soprattutto rinunciare ai nostri diritti conquistati dai nostri nonni e dai nostri genitori?

Lei dice che dobbiamo imparare a confrontarci con il resto del mondo, ma è una battaglia impari: in alcuni paesi si accontentano di un piatto di riso pur di lavorare!
Lei ci vuol far tornare agli anni 50. E non è un caso che è stato paragonato a Vittorio Valletta. La strategia della Fiat è chiara: far fuori quella parte di lavoratori che han detto No al referendum di Pomigliano (36%).

Lei voleva un plebiscito, ma così non è stato e per fortuna esistono ancora operai che non si sono lasciati intimorire o sottostare al ricatto del prendere o lasciare con una pistola puntata alla tempia. Il ricatto di qui si fa la Fiat o si muore non funziona.

Lei vuol fare accordi con le parti sindacali che dicono sempre sì e che sono d'accordo su tutto quel che gli si propone.

Gli va bene la riduzione delle pause, la riduzione della mensa nel caso di recupero della produzione, gli va bene l'aumento di produttività, l'aumento di flessibilità, la nuova turnazione con riduzione del tempo-riposo tra un turno e l'altro.

Gli va bene perfino che quest'anno il premio di produzione è pari a zero, mentre per gli azionisti c'è stato un dividendo.

Vuol abolire il diritto allo sciopero? Lavorare a testa bassa senza alzarla e basta! Chi protesta è licenziato! È questo il clima che Lei vuole?
Lei dice di volere il dialogo con le parti altrimenti non si va da nessuna parte, ma Le sembra giusto che degli operai debbano andare su di una gru o su un tetto per salvaguardare il proprio posto di lavoro? Siamo arrivati a questo punto.

Quando Lei è stato nominato amministratore delegato del Gruppo, si è presentato con un look diverso: con il suo ormai famoso maglione blu e mi son chiesto che forse era una inversione di tendenza, un a.d. dal volto umano.

A distanza di anni mi debbo ricredere e son sempre più convinto di quel modo di dire che recita: l'abito non fa il monaco!
Mi permetto di darle un consiglio: per un giorno o una settimana si tolga il maglione blu ed indossi la divisa aziendale e sotto falso nome (come hanno fatto alcuni esponenti di casa Agnelli), con una parrucca in testa e baffi posticci (altrimenti sarebbe riconoscibile) faccia una visita a sorpresa, una visita non programmata negli stabilimenti.
Come Lei saprà, con una visita programmata sembra che tutto funzioni a meraviglia ed invece in questo modo si potrà rendere conto di persona e delle situazioni fantozziane che avvengono nelle fabbriche del suo Gruppo.
Un ultimo consiglio: non fumi più le 50-60 sigarette al giorno; il fumo annebbia la vista e Le impedirebbe di vedere i problemi reali del suo Gruppo.

Distinti saluti.