mercoledì 12 gennaio 2011
ASSEMBLEA RETRIBUITA FIOM-CGIL DI 1 ORA
GIOVEDI’ 20 GENNAIO 2011
L’Assemblea avrà come oggetto la vertenza Fiat e lo sciopero generale di 8 ore proclamato dalla Fiom-Cgil per il giorno 28 Gennaio
interverrà il segretario generale della FIOM
MAURIZIO LANDINI
SI TERRA’ NEI SEGUENTI ORARI
DALLE ORE 8.00 ALLE ORE 9.00: primo turno, centrale e impiegati;
DALLE ORE 17.00 ALLE ORE 18.00: secondo turno;
DALLE 21.00 ALLE 22.00: terzo turno.
COMUNICATO SINDACALE FIOM JESI
Nella giornata odierna si è tenuto un incontro tra la Direzione di Fiat CNH ITALIA e la RSU dello stabilimento dentro cui si sono affrontate le seguenti tematiche.
ANALISI PRODUTTIVA 2010
Dall’ analisi produttiva del 2010 ci sono stati comunicati i seguenti dati:
prodotti 23391 trattori, contro i 21000 del 2009 e i 33000 del 2008; dei quali il 57% destinati al mercato continentale europeo, il 12% al mercato est europeo e il restante nel mondo – in America del Nord il 13% .
I numeri dei modelli prodotti si suddividono in 9000 APL, 5000 Utility, 830 TK, 3000 Specialty e 5000 TDD.
Tutto a fronte di 47 giornate di Cassa Integrazione Ordinaria.
COMUNICAZIONE CIGO GENNAIO-FEBBRAIO 2011
Oltre a confermare la sospensione dell’attività lavorativa per il giorno lunedì 31 Gennaio, l’Azienda ha comunicato per il mese di Febbraio le seguenti giornate di Cassa Integrazione Ordinaria:
martedì 1, venerdì 11, venerdì 25 e lunedì 28 Febbraio.
DIPENDENTI DELLO STABILIMENTO
A Gennaio 2011 sono a libro paga di Fiat allo stabilimento CNH ITALIA di Jesi 935 lavoratori – 957 erano nel 2010 - , di cui 95 impiegati e il restante operai (840).
PART-TIME
A fronte dell’indiscriminato taglio dei part-time che la Direzione ha effettuato per questo inizio 2011, l’Azienda su nostra richiesta si è resa disponibile a rivedere alcune scelte che riguardano lavoratrici e lavoratori che hanno necessità individuali di orario part-time, il tutto dietro domanda scritta.
PAUSE COLLETTIVE DEI PRIMI TRATTI
E’ stata fatta inoltre richiesta , come già avvenuto nei secondi tratti, di unificare le pause collettive dei primi tratti in officina 2, nei prossimi giorni valuteremo con i lavoratori l’orario più idoneo.
Jesi, 12 Gennaio 2011 la RSU della Fiom Cgil
ANALISI PRODUTTIVA 2010
Dall’ analisi produttiva del 2010 ci sono stati comunicati i seguenti dati:
prodotti 23391 trattori, contro i 21000 del 2009 e i 33000 del 2008; dei quali il 57% destinati al mercato continentale europeo, il 12% al mercato est europeo e il restante nel mondo – in America del Nord il 13% .
I numeri dei modelli prodotti si suddividono in 9000 APL, 5000 Utility, 830 TK, 3000 Specialty e 5000 TDD.
Tutto a fronte di 47 giornate di Cassa Integrazione Ordinaria.
COMUNICAZIONE CIGO GENNAIO-FEBBRAIO 2011
Oltre a confermare la sospensione dell’attività lavorativa per il giorno lunedì 31 Gennaio, l’Azienda ha comunicato per il mese di Febbraio le seguenti giornate di Cassa Integrazione Ordinaria:
martedì 1, venerdì 11, venerdì 25 e lunedì 28 Febbraio.
DIPENDENTI DELLO STABILIMENTO
A Gennaio 2011 sono a libro paga di Fiat allo stabilimento CNH ITALIA di Jesi 935 lavoratori – 957 erano nel 2010 - , di cui 95 impiegati e il restante operai (840).
PART-TIME
A fronte dell’indiscriminato taglio dei part-time che la Direzione ha effettuato per questo inizio 2011, l’Azienda su nostra richiesta si è resa disponibile a rivedere alcune scelte che riguardano lavoratrici e lavoratori che hanno necessità individuali di orario part-time, il tutto dietro domanda scritta.
PAUSE COLLETTIVE DEI PRIMI TRATTI
E’ stata fatta inoltre richiesta , come già avvenuto nei secondi tratti, di unificare le pause collettive dei primi tratti in officina 2, nei prossimi giorni valuteremo con i lavoratori l’orario più idoneo.
Jesi, 12 Gennaio 2011 la RSU della Fiom Cgil
LETTERA SPEDITA IL 12 GENNAIO 2011 ALLA STAMPA LOCALE DALLE DELEGATE E DAI DELEGATI DELLA FIOM-CGIL DELLO STABILIMENTO FIAT CNH ITALIA DI JESI
Dal nostro punto di vista gli accordi separati (pratica già in uso da tempo nel settore Industria) di Pomigliano e Mirafiori peggiorano drasticamente le condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori degli stabilimenti in questione e rappresentano una svolta drammatica e regressiva all’interno dell’intero sistema di relazioni industriali del Paese.
La cancellazione del contratto nazionale e l’estromissione della Fiom-Cgil dagli stabilimenti sono solo due dei punti nodali dell’accordo: è difficile immaginare che l’enormità di quanto sta accadendo non produrrà effetti anche sullo stabilimento di Jesi.
Se a ciò aggiungiamo il pesante riassetto produttivo e finanziario (spin-off) in atto dentro tutto il Gruppo Fiat e il fatto che Fiat non incontri a Jesi le organizzazioni sindacali dal 19 Luglio scorso, appare ad oggi incerto che tipo d’impegno produttivo e occupazionale l’Azienda intenda mettere sullo stabilimento jesino nei prossimi anni e a quali condizioni.
Troppe domande insomma senza risposta.
A fronte di tutto ciò sarebbe auspicabile da parte della stampa locale e delle forze politiche un’attenzione più di sostanza e magari meno celebrativa, rispetto ai dubbi che vertono sul futuro delle lavoratrici e dei lavoratori di Jesi.
Altrettanto auspicabile sarebbe l’apertura di una discussione all’interno del contesto jesino tra forze politiche,sindacali, lavoratori e la cittadinanza sulla vertenza Fiat e su quanto ci riguarda.
E’ per questo che per il doppio appuntamento del 20 Gennaio al centro sociale TNT di Jesi alle ore 21 che vedrà la presenza del segretario generale della Fiom Maurizio Landini (che nello stesso giorno terrà un’assemblea in fabbrica) e dello sciopero generale del settore metalmeccanico indetto dalla Fiom nazionale per il 28 Gennaio, è richiesto il massimo sforzo da parte di tutti.
I delegati e le delegate della Fiom-Cgil dello stabilimento Fiat-CNH di Jesi
Jesi,12 Gennaio 2011
La costituente Fiat (di Marco Revelli)
In città si stanno moltiplicando i negozi con la vistosa insegna gialla «Compro oro». Erano pressoché sconosciuti fino a un paio di anni fa, ora crescono come funghi: appena un paio in centro, gli altri - decine - nelle ex barriere operaie, Borgo San Paolo, Barriera di Milano, Mirafiori sud... Acquistano tutto, anche le protesi dentarie. D'altra parte Torino ha fatto segnare nel 2010 il non invidiabile primato nella crescita dei pignoramenti di alloggi, con un +54,8% nei primi dieci mesi dell'anno rispetto al già duro 2009. E si calcola - sono dati impressionanti - che un 35-40% dei lavoratori metalmeccanici torinesi abbia fatto ricorso, nell'ultimo biennio, alla cessione del quinto dello stipendio, per pagare le rate in sospeso, o semplicemente per arrivare alla fine del mese.
È su questa Torino, su questo tessuto sociale allo stremo, che ha calato la scure del suo Diktat Sergio Marchionne, dall'alto del suo ponte di comando globale e dei suoi quattro milioni e mezzo di euro di stipendio annuo, quattrocentotrentacinque piani più sopra rispetto al reddito annuo di ognuno di quegli uomini e quelle donne che a Mirafiori - nel luogo in cui sono inchiodati per la vita o per la morte - dovranno domani votare se «arrendersi o perire». Più di novemila volte più in alto - una distanza stellare - se si considera anche il valore delle stock options accumulate, valutabili con un calcolo minimale intorno ai 100 milioni... Come faccia uno come Eugenio Scalfari a scrivere che non si tratta di ricatto ma di semplice «alternativa» è difficile da capire. Ma ancor più difficile da capire - loro non vivono come lui in un mondo rarefatto di letture e poteri - è come facciano a negarlo i sindacalisti che quell'accordo hanno siglato. E che non possono ignorare l'asimmetria abissale, il divario incolmabile che separa e distanzia le due parti contraenti segnando, appunto, la differenza tra un ricatto (a cui il destinatario non può sottrarsi senza rinunciare a una parte essenziale di sé), e un'alternativa, in cui in qualche modo la scelta è libera.
Ora è proprio in questo divario, in questa asimmetria assoluta che nella chiacchiera superficiale, politica e giornalistica, viene solitamente invocata per sostenere la necessità di accettare l'Accordo, la natura scandalosa dell'evento. Il fattore che rende quell'accettazione inaccettabile. E che sottrae la vicenda Fiat alla dimensione specifica di una «normale» vertenza sindacale per farne una questione etica e politica di rilevanza generale: un evento di natura «costituente». Perché quando in una società si crea un dislivello simile, quando le distanze tra parti sociali essenziali crescono a tal punto da costringerne una al silenzio e all'umiliazione, vengono meno le condizioni stesse di una normale vita democratica. Quando il principio di Uguaglianza viene a tal punto trasgredito, anche termini come Libertà e Giustizia perdono di significato, per assumere il volto tetro dell'arbitrio del più forte e dell'uso vessatorio delle regole.
Basta, d'altra parte, leggere le 78 cartelle in A4 della bozza di Accordo, diligentemente siglate pagina per pagina dalle parti contraenti, per rendersi conto della sproporzione tra le forze.
Ognuna di esse trasuda, letteralmente, «asimmetria». A cominciare dalla «Clausola di responsabilità» che fa da preambolo, senza neppure uno straccio di accenno agli impegni assunti dall'Azienda per la realizzazione del «piano per il rilancio produttivo dello stabilimento di Mirafiori Plant», e invece minuziosamente precisa (direi minacciosa) nel sottolineare gli obblighi degli altri, con quelle due righe sul «carattere integrato dell'Accordo» per cui la trasgressione (collettiva o anche individuale) di uno solo degli impegni assunti costituirebbe un'infrazione grave, tale da fare decadere tutti i diritti acquisiti dalle organizzazioni sindacali contraenti... Per non parlare della procedura scelta dalla Fiat Group Automobiles per sfilarsi dall'accordo del '93 e dai vincoli del contratto nazionale dei metalmeccanici - per «far fuori» la Fiom! - con l'espediente della newco, in clamorosa violazione del dettato del nostro codice civile (art. 2112) in materia di «Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda» ... Come se, appunto, l'onnipotenza aziendale potesse prevalere su ogni normativa pubblica, nella stessa misura in cui le regole stipulate a livello d'impresa devono servire a null'altro che a sancire la volontà di potenza del vincitore.
Oppure si consideri il primo punto della «Regolamentazione per la Joint Venture», sull'Orario di lavoro. Dice che la proprietà potrà scegliere tra un ampio ventaglio di opzioni - «schemi» li chiamano - con una sorta di menu à la carte nel quale vengono ricombinate le vite dei lavoratori: 15 turni (8 ore su tre turni, mattino, pomeriggio e notte, per cinque giorni la settimana); oppure 18 turni (8 ore su tre turni per sei giorni la settimana, quindi compreso il sabato); oppure, ancora, in via sperimentale, 12 turni (ognuno di 10 ore giornaliere, due turni al giorno per sei giorni la settimana). Nei casi in cui l'orario settimanale superi le 40 ore, è previsto un recupero giornaliero la settimana successiva, ma esso è puramente teorico dal momento che l'Accordo prevede anche 120 ore di straordinario obbligatorio (aumentabili fino a 200), a disposizione dell'azienda che le potrà utilizzare per saturare in periodi di picco nella produzione anche i periodi di riposo infrasettimanale. Le pause, a loro volta, saranno ridotte da 40 a 30 minuti, tre per turno, in ognuna delle quali il lavoratore dovrà scegliere se andare in bagno, sedersi un attimo per prendere fiato o tentare di addentare uno sneck (dal momento che la pausa mensa potrà essere spostata a fine turno e lavorare otto ore in piedi senza soste e senza mettere nulla in corpo non è sopportabile). In compenso la riduzione delle pause sarà compensata con un controvalore di 32 euro al mese, circa un euro al giorno (più o meno quanto si dà a un lavavetri al semaforo).
Dentro questa griglia ci sono le vite di alcune migliaia di uomini e di donne. Ci sono centinaia e centinaia di famiglie, con la loro organizzazione spaziale e temporale, con la loro rete di relazioni, con le loro concrete esistenze. Ci sono, appunto, delle «persone»: c'è il loro «tempo di vita», divenuto una sostanza spalmabile a piacere dall'impresa sulle proprie catene di montaggio, tra i pori del proprio «tempo di saturazione» (quello che divide l'ora in 100.000 unità di tempo micronizzato, secondo i dettami della nuova «metrica del lavoro»), a seconda di ciò che comanderà, momento per momento, il mercato. E dobbiamo chiederci, a questo punto, quale concezione del mondo stia dietro a questa visione. Quale idea di uomo (di «persona umana») e di società ispiri un tale progetto. E se l'argomento «definitivo» - quello con cui si taglia ogni discorso, si mette a tacere ogni obiezione - della «globalizzazione» e dei suoi impersonali dogmi sia sufficiente a giustificare una tale macelleria sociale ed esistenziale.
Ecco perché la «sfida» lanciata da Marchionne non è una «questione privata». Non può cioè essere limitata al rapporto tra la Fiat e il «suoi» operai (e non dovrebbe essere affidata solo al voto «con la pistola puntata alla tempia», di quegli operai che non devono essere abbandonati a se stessi), ma riguarda tutti noi, in quanto cittadini. Riguarda l'orizzonte in cui ci troveremo a vivere nei prossimi anni. Non è uno strappo contingente alle regole. È uno tzunami, che scardina le basi stesse del sistema di relazioni industriali e, più in generale, del nostro ordine sociale e produttivo. L'hanno sottolineato i più autorevoli osservatori non vincolati da obblighi di carattere servile, da Carlo Galli (in un lucidissimo articolo su Repubblica) a Ulrich Beck, uno che di «società globale» se ne intende. Farebbero bene ad accorgersene anche i nostri «re tentenna» del partito democratico (quanto filisteismo c'è nel Fassino che dice «se fossi un operaio voterei sì»), e quanti pretendono di esercitare funzioni di rappresentanza.
Se dovessimo accreditare l'idea della globalizzazione che da quel «fatto compiuto» si manifesta - se dovessimo davvero attribuire a quel sistema impersonale di vincoli carattere d'inderogabilità e alle sue ricadute sui territori natura di nuova «costituzione materiale» - allora dovremmo rivedere tutti i nostri concetti portanti: di cittadinanza, di democrazia, di legittimazione e di diritto. Così come se dovessimo ritenere inaggirabile quell'ukase - se ai lavoratori non dovesse più rimanere altra alternativa che quella tra la perdita del posto o l'accettazione di una condizione esplicitamente servile del proprio lavoro, se il lavoro conservato dovesse rivelarsi irrimediabilmente incompatibile con diritti e dignità -, allora non ci resterebbe davvero che organizzare un esodo di massa, fuori dalle mura dentate delle fabbriche, lontano dallo stato di «salariato». Oltre, davvero oltre, la modernità che abbiamo conosciuto e che non era fatta di asservimento e subalternità (come vorrebbero i nostri «modernizzatori» tardivi), ma di conflitto e di diritti faticosamente contesi.
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