All’Iveco (Fiat) assemblea «clandestina» e sciopero della Fiom. Landini: «Vogliamo il referendum per abrogare l’accordo che impedisce le libertà sindacali, la politica non taccia di fronte a chi vìola la Costituzione»
Non sembra un bello spettacolo. Però poi scoppia l’applauso e ci si abbraccia e alla fine ci scappa pure la foto ricordo. Gli operai dietro la sbarra che separa la fabbrica dal mondo libero, ma con il cuore che si scalda per una semplice assemblea che oggi ha il sapore delle cose proibite, come accadeva nell’autunno caldo, quando le fabbriche erano off-limits per il sindacato e la democrazia – era il 1969 e con il megafono in mano c’era Bruno Trentin, ma questa è un’altra storia. Eppure anche oggi i dirigenti e sindacalisti della Fiom restano fuori dalle fabbriche, con il microfono in mano per farsi ascoltare da tutti. Commossi e adrenalinici di fronte a centinaia di lavoratori radunati su un piazzale perché non riconoscono l’accordo separato imposto dalla «madre» di tutte le aziende.
Adesso si fanno così le assemblee nelle fabbriche del gruppo Fiat dove viene applicato il «contratto Marchionne», quello che oltre a stracciare il contratto nazionale di fatto impedisce ai lavoratori di eleggere i propri rappresentanti sindacali all’interno degli stabilimenti. E quindi di tenere assemblee. Per questo ieri mattina, con replica nel pomeriggio, il segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini dietro la sbarra dell’Iveco di Brescia ha vissuto una situazione che definisce kafkiana ma anche «molto molto emozionante». E per qualche minuto si è messo anche davanti alla sbarra, una scavalcata «illegale», un atto di insubordinazione non solo simbolica compiuto insieme ai delegati della Fiom bresciana.
La Om Iveco, la più importante azienda bresciana con 2.800 dipendenti, aveva risposto picche alla Fiom che aveva chiesto di poter tenere un’assemblea. Non solo l’assemblea si è fatta, in un clima di straordinaria determinazione sottolineato da applausi liberatori, ma gli operai hanno anche partecipato in massa allo sciopero di due ore indetto dalla stessa Fiom: oltre il 60% ha incrociato le braccia. «La Fiom esiste», dice Landini, con la voce che tradisce l’emozione per un’assemblea particolare, diversa da tutte le altre.
«Ci troviamo di fronte a un’azienda – spiega Landini – che vìola palesemente i diritti costituzionali, la democrazia non esiste più una volta varcati i cancelli della Fiat. Eppure i lavoratori ieri hanno dimostrato che non hanno nessuna intenzione di accettare quell’intesa contro cui hanno già raccolto 20 mila firme per indire subito un referendum abrogativo sul contratto. Hanno partecipato quattrocento persone e ha scioperato più della metà degli operai nonostante la pressione dei capi secondo cui questo sciopero non si poteva fare. Noi andremo avanti».
E con un programma che non guarda solo in casa Fiat, «che comunque abbiamo intenzione di portare in tribunale». La Fiom, in vista della manifestazione dell’11 febbraio a Roma, vuole lanciare più di un messaggio al governo Monti; e anche ai partiti che all’epoca dell’accordo capestro di Pomigliano non perdevano una battuta per invitare gli operai a pronunciarsi in favore di Marchionne. «Abbiamo raccolto 20 mila firme contro quell’accordo – rilancia Landini – e oggi nessuno apre bocca, non si sente una parola, per questo chiediamo al governo, al presidente della Repubblica e alle forze politiche di pronunciarsi, di dire qualcosa perché ai danni dei lavoratori è stata vìolata la Costituzione. Inoltre, non siamo affatto convinti che sia chiusa la partita delle pensioni e crediamo che la Cig non solo non vada cancellata ma vada addirittura estesa, insieme all’introduzione del reddito di cittadinanza». Detta in una parola, parafrasando il «titolo» della prossima manifestazione nazionale, la Fiom chiede «Democrazia al lavoro».