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venerdì 13 gennaio 2012

Fiom, raccolte 19 mila firme
per abrogare il contratto Fiat


Il segretario generale Fiom Maurizio Landini

Le adesioni raccolte in 67 siti
produttivi. Landini e Airaudo:
«I settemila sì all'accordo
di Pomigliano non rappresentano
la maggioranza dei lavoratori»


TORINO
La Fiom ha annunciato che è stato raggiunto il quorum del referendum abrogativo che i lavoratori e le lavoratrici della Fiat hanno avviato subito dopo l'accordo per il contratto di primo livello siglato il 13 dicembre scorso.

Le firme raccolte fino ad ora sono 19.058 (ma il numero definitivo si saprà con la conclusione del terzo turno di oggi) sul totale di 86.200 addetti del gruppo. Per il raggiungimento del quorum sarebbero state sufficienti 17240 firme. Le adesioni sono state raccolte in 67 siti produttivi in tutta Italia, tranne che alla Newto di Pomigliano, unico sito nel quale i delegati Fiom avrebbero il diritto di essere presenti come stabilito nella sentenza di luglio del Tribunale di Torino, ma nessun lavoratore dei 980 finora rientrato è un delegato Fiom.

Come annunciato dai vertici del sindacato, a Pomigliano stanno per partire delle cause individuali di lavoratori che chiedono di poter esercitare i loro diritti sindacali. Gli esiti della raccolta firme sono stati presentati oggi dal segretario generale Maurizio Landini, che al ministro Fornero chiede l'apertura di un tavolo nazionale sul futuro del piano industriale dell'azienda ma anche sul piano della democrazia sindacale.

Landini e il responsabile nazionale dell'auto Giorgio Airaudo hanno spiegato che non è possibile che i referendum si siano svolti solo dove era stato chiesto dall'azienda e nei siti produttivi che erano a rischio di chiusura: «I settemila sì ottenuti finora a Pomigliano, Mirafiori e Ex Bertone all'intesa che deriva dall'accordo di Pomigliano del 2010 - sostengono i vertici Fiom -  non rappresentano certo la maggioranza degli oltre 80 mila lavoratori a cui sarà applicato d'ora in poi il nuovo accordo».

«Ora tocca a Fim e Uilm - ha aggiunto Landini - dire se vogliono accettare la richiesta dei lavoratori. Anche l'azienda deve dire se vuole ascoltare i suoi dipendenti». «Se dovessimo perdere il referendum  - ha concluso Airaudo - ci assumeremo le nostre responsabilità e il gruppo dirigente Fiom andrebbe a casa»




Documento unitario contro la Fiat. E ora il contratto nazionale



Si è concluso senza rotture il direttivo nazionale della Cgil che ieri ha discusso il caso Fiat. Il documento finale è stato votato da tutti, con la sola opposizione di Giorgio Cremaschi e di altri due dirigenti. Come si era capito alla vigilia del direttivo, non sono state messe in campo le ipotesi più oltransiste che chiedevano un giudizio negativo sulla battaglia della Fiom in difesa dei diritti e della dignità dei lavoratori della multinazionale, ormai più americana che italiana. Nessuna sconfitta della Fiom, dunque, e nessuna richiesta formalizzata di aggiungere la firma di Landini - o magari della Camusso - al contratto aziendale modello Pomigliano esteso a tutti i dipendenti del gruppo. Al contrario, una battaglia che continua per la riconquista del contratto nazionale, cancellato da un accordo separato, e per il ripristino della democrazia nelle fabbriche: diritto di voto dei lavoratori, certificazione delle rappresentanze e fine delle discriminazioni ai danni della Fiom, il sindacato più rappresentativo a cui è negata l'agibilità sindacale e i cui militanti vengono esclusi dalle assunzioni alla «nuova» società nata a Pomigliano.
È un risultato che la Fiom porta all'incasso ed è la testimonianza del fatto che la maggioranza congressuale della Cgil non è stata ridotta al pensiero unico. Ci sono categorie e importanti regionali e camere del lavoro che non avrebbero votato a favore di un documento che avesse deciso il «commissariamento» di fatto dei metalmeccanici. Ciò detto, le differenze di analisi e di strategia restano tutte in campo: sul rapporto con Cisl e Uil da un lato, sul rapporto con la Confindustria dall'altro. Differenze presenti anche nei toni con cui si critica la politica del governo Monti. Per esempio, nel corso del direttivo non è stata accettata la proposta della minoranza («La Cgil che vogliamo») di votare un documento che chiedesse il ritiro della bozza sulle liberalizzazioni, in cui si sfonda la diga dell'art. 8 e si tenta di cancellare l'esito del referendum sull'acqua. Secondo la minoranza Cgil e la Fiom che ne è parte, non avrebbe senso andare a un confronto con il governo su quelle basi.
Un'altra differenza che resta e pesa riguarda l'accordo unitario del 28 giugno che secondo la Cgil rappresenta un argine all'attacco contro i contro i contratti nazionali e una ripresa del confronto unitario con Cisl e Uil. Per la minoranza, al contrario, è lo strumento con cui si è aperta la strada alla deroga ai contratti nazionali e, al tempo stesso, non ha interrotto la prassi degli accordi separati che si sono invece moltiplicati, da Fiat a Fincantieri.
Il documento votato dal direttivo assume la richiesta dei lavoratori Fiat di indire un referendum abrogativo del contratto (aziendale) che cancella il contratto (nazionale) e su cui sono state raccolte migliaia di firme tra i dipendenti. Marchionne però fa già sapere che di voti non vuole più saperne. Gli unici referendum accettabili sono quelli truccati decisi da lui.