FIAT: Epifani, ringraziamento e apprezzamento per parole Napolitano |
“Il presidente della Repubblica mostra ancora una volta grande sensibilità nei confronti del mondo del lavoro” ha dichiarato il Segretario Generale CGIL riferendosi alla puntuale risposta di Napolitano ai tre operai dello stabilimento FIAT di Melfi reintegrati sul posto di lavoro, ma non ammessi dalla azienda alla produzione |
Ringraziamento ed apprezzamento, è stato espresso dal Segretario Generale della CGIL Guglielmo Epifani per le parole spese dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in relazione alla vicenda dei tre operai licenziati dalla FIAT Sata di Melfi e poi reintegrati dal giudice sul posto di lavoro che si sono visti negare dall'azienda l'accesso alle 'linee di produzione'. “Il presidente - ha dichiarato Epifani - mostra ancora una volta la sua grande sensibilità nei confronti del mondo del lavoro”. “Signor presidente, le chiediamo di farci sentire lavoratori, uomini e padri”, a queste parole contenute nella lettera inviata al Quirinale dai tre lavoratori Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, è arrivata puntuale la risposta del presidente della Repubblica: “comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità percepire la retribuzione senza lavorare”. “Il mio vivissimo auspicio, che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - ha sottolineato il presidente della Repubblica - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale”. Intanto la CGIL continua a ribadire che la sentenza è esecutiva e il Lingotto deve rispettarla, “non c'è nessuno che possa esimersi dal rispettare una sentenza della magistratura con nessuna motivazione e quelle peraltro fornite in questa occasione dalla FIAT sono del tutto pretestuose” ha affermato la Vice Segretaria Generale della CGIL, Susanna Camusso. Per il Segretario Generale della FIOM CGIL, Maurizio Landini la FIAT “con la sua azione vuole sancire una cosa grave, e cioè‚ che nei suoi stabilimenti la legge, lo Statuto dei lavoratori, non si deve più applicare, chiede quasi una extraterritorialità dei suoi stabilimenti”. |
mercoledì 25 agosto 2010
di Luciano Gallino Dinanzi al peggioramento generale delle condizioni di lavoro provocato dalla crisi, (...) veniva da chiedersi come mai il conflitto di classe non mostrasse segni di ripresa. La spiegazione che si soleva dare era che mancava un soggetto capace di trasformare il malcontento dei lavoratori in appropriate iniziative, diffuse e unitarie, sul fronte politico e sindacale. Da ieri sappiamo che quel soggetto esiste e si dà da fare. Non è una nuova formazione politica: è la Fiat. L´invito a starsene a casa, seppur pagati, trasmesso ai tre lavoratori di Melfi nonostante un giudice ne abbia ordinato il reintegro dopo il licenziamento in tronco con l´accusa di sabotare la produzione, nelle intenzioni dell´azienda voleva essere evidentemente una prova di forza. In gioco ci sono i futuri sviluppi del piano "fabbrica Italia" a Pomigliano e a Mirafiori, non meno che a Melfi. Si tratta invece di una prova di debolezza e di un grave errore. E´ una prova di debolezza perché una volta presentato il ricorso contro l´ordinanza del giudice, sorretto da una poderosa documentazione, un´azienda che si sentisse forte delle proprie ragioni avrebbe potuto aspettare tranquillamente l´esame in tribunale, invece di accanirsi ancora sugli interessati. Il bisogno di dare subito un´altra lezione all´insieme dei dipendenti, tradisce una disposizione a prendere decisioni precipitose che fa pensare ad un´azienda che non si sta affatto muovendo su un terreno solido. Da parte dell´azienda è anche un errore destinato a diffondere a macchia d´olio le preoccupazioni per il futuro che il piano Fiat pare chiaramente anticipare. Abbandono del contratto nazionale, intensificazione massima delle prestazioni, sindacati nell´angolo, e fuori dalla fabbrica il primo che apre bocca o muove un dito. Piaccia o non piaccia ai giudici del lavoro. Finora i lavoratori hanno sopportato. Senza l´aiuto dei sindacati, bisogna dire, tranne la Fiom . Quando hanno potuto esprimersi liberamente, come nel referendum di Pomigliano, un terzo di loro ha fatto sapere che quel futuro non è accettabile. Grazie ad iniziative tipo lo schiaffo ai reintegrati, quel terzo di dissidenti potrebbe anche diventare la metà o magari i tre quarti. E ovviamente non soltanto negli stabilimenti Fiat. Il ritorno ad un conflitto di classe che si esprima con gli strumenti della democrazia e però mandi in soffitta l´idea reazionaria che per avere e mantenere un lavoro bisogna sottostare a qualsiasi condizione un´azienda si sogna di imporre perché il mondo è cambiato, la globalizzazione lo esige, la competitività ce lo impone ecc., tutto sommato sarebbe una novità interessante nel deserto della politica italiana. Sarebbe paradossale se un efficace contributo al suo ritorno venisse proprio dall´azienda, la Fiat, che negli ultimi mesi ha fatto di tutto per presentarlo come un residuo arcaico della rivoluzione industriale. |
Melfi, W NAPOLITANO W FIOM
Risposta del Presidente Napolitano ai lavoratori della Fiat Sata di Melfi
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha così risposto ai tre lavoratori della Fiat Sata di Melfi: "Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli,
ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi. Anche per quest'ultimo sviluppo della vicenda è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l'Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch'io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate.
Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità "percepire la retribuzione senza lavorare". Il mio vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale".
Roma, 24 Agosto 2010
A CASA, SACCONI-BONANNI-ANGELETTI, LE VERGOGNE DI QUESTO PAESE
Che Marchionne stia allo statuto dei lavoratori come Berlusconi sta alla Costituzione è faccenda ormai acclarata: fine della cortina fumogena che ammantava il brevissimo “nuovo corso” della Fabbrica Italiana di Automobili Torino. E fine dell’illusione che aveva rapito gli estasiati neofiti della ex-sinistra moderata, convinti di avere trovato in Sergio Marchionne il moderno interprete del capitalismo democratico da loro agognato. La madre di tutte le imprese torna dunque ad essere la “zona franca” dove i lavoratori sono soltanto numeri, dove neppure la magistratura può ripristinare diritti violati perché la legge dell’azienda è la sola che conta, la sola davvero legittima. E se quella sancita nelle aule di giustizia vi si oppone vuol dire che si è di fronte ad un’incongruenza da sanare, perché per la Fiat il potere giudiziario dovrebbe aderire, come un guanto, a quello reale, quello che vive nei rapporti sociali dominati dal capitale. La Fiat ritiene di avere, obtorto collo, pagato il suo debito con i lavoratori ingiustamente licenziati corrispondendo loro il salario, ma non riammettendoli al lavoro: una operazione che unisce il mobbing all’attentato alla libertà sindacale. Silenzio tombale del governo complice.
Chi invece non smette di parlare è il capo della Cisl. L’ossessione fobica per la Fiom, vale a dire per un sindacato che non rinuncia a comportarsi come tale, possiede come un demone implacabile Raffaele Bonanni. Il quale ne è a tal punto divorato da non riuscire a pronunciare parole elementari, di solidarietà incondizionata, nei confronti dei lavoratori licenziati dalla Fiat per rappresaglia antisindacale, ma che Marchionne pretende di tenere fuori dai cancelli malgrado la sentenza con cui la magistratura li ha reintegrati nel posto di lavoro. Se un superficiale rimbrotto egli muove alla Fiat è quello di cadere nella trappola tesa dai metalmeccanici della Cgil. In sostanza, di fare di quell’organizzazione una vittima e dunque di rafforzarla.
Un paio di settimane fa avevamo definito il comportamento di Bonanni come un irrefrenabile impulso servile che si manifesta ormai sistematicamente, ora nei confronti del governo, ora di fronte al padrone, anche e proprio quando l’attacco ai lavoratori e ai loro diritti si fa più esplicito e liquidatorio. Un collateralismo tanto sbracato da risultare umoristico, se le conseguenze materiali di un così plateale disarmo non fossero tragiche per l’intero mondo del lavoro dipendente, colpito duramente dalla crisi, da una politica governativa incapace di pensare una benché minima risposta e da una aggressività padronale che non trova efficace contrasto, né politico né sociale. A meno che non ci si accontenti del profluvio di dichiarazioni, deboli anch’esse, che nutrono la stampa, senza lasciare alcun segno di sé. Anche Guglielmo Epifani, sia pure dopo avere condannato la protervia di corso Marconi, finisce per accodarsi al refrain di una Fiom chiusa a riccio e refrattaria a confrontarsi su orari, turni e organizzazione del lavoro. Cosa manifestamente non vera, come Maurizio Landini ha ampiamente spiegato, anche sulle colonne di questo giornale. Sempre che costituzione e contratto collettivo di lavoro non siano considerati merce barattabile.
Il fatto è che oggi la rappresentanza sindacale non è frutto di una competizione democratica, dove il voto dei lavoratori decida in modo trasparente il peso di ciascuna forza e ne legittimi il ruolo negoziale. La rappresentanza oggi è solo presunta. Peggio: essa è decisa dalla controparte che sceglie a suo gusto l’interlocutore più malleabile con cui trattare e concludere intese, scrupolosamente sottratte al giudizio vincolante degli interessati. Mai si è dato, in democrazia, un così plateale esproprio di sovranità. Oggi, la Cisl, la Uil, trasformatesi in sindacati di comodo, esercitano una rendita di posizione, una delega padronale al sottogoverno delle aziende in quel simulacro a cui è stato ridotto il confronto fra le parti sociali. Siamo tornati agli anni Cinquanta. Con una differenza. Che allora vi era sulla scena sociale una Cgil non prona ed una sinistra politica combattiva, dichiaratamente e fattivamente al fianco dei lavoratori, sicuramente affrancata da suggestioni interclassiste e non permeata dalla cultura liberista.
Con tutta evidenza, la crisi politica, in incubazione da tempo, precipiterà in autunno. Più per autocombustione della maggioranza che per il ruolo evanescente delle opposizioni che siedono in Parlamento. Sarà un bene se la sinistra che ne sta fuori troverà il modo di giocare un proprio ruolo autonomo, nella formazione degli schieramenti elettorali, nella proposta, nel progetto. E, ancor più importante, se la mobilitazione lanciata dalla Fiom per la metà di ottobre saprà raccogliere intorno a sé un arcipelago sociale da troppo tempo rattrappito e confuso. Per distribuire alla politica nuove carte, rispetto a quelle consunte con cui si celebrano i giochi dentro il palazzo.
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