Dopo anni nei quali il ‘lavoro’ è stato completamente rimosso dal dibattito pubblico e dall’attenzione del mondo politico, la manifestazione della Fiom dello scorso 16 ottobre ha nuovamente acceso i riflettori su di esso. I metalmeccanici della Cgil hanno saputo radunare attorno alla propria iniziativa una galassia vastissima di forze: come dare continuità a questa lotta? Cosa chiede il mondo del lavoro a un eventuale futuro governo di centro-sinistra?
dialogo tra Maurizio Landini e Luciano Gallino, a cura di Emilio Carnevali, da MicroMega 8/2010
MicroMega: Quella dello scorso 16 ottobre è stata una straordinaria manifestazione di popolo. Ciò che più ha colpito gli osservatori – oltre naturalmente ai «numeri» davvero impressionanti della partecipazione – è stata la capacità della Fiom di aggregare attorno alla propria iniziativa uno spettro di forze vastissimo, non solo soggettività legate alla condizione operaia: studenti, lavoratori della conoscenza, movimenti per l’acqua pubblica, associazioni di cittadini impegnati sui temi della legalità, popolo viola eccetera.
Qual è secondo voi la ragione di questo grande successo, di questa capacità della Fiom di parlare a tanta gente che con la questione di Pomigliano non ha direttamente a che fare?
Maurizio Landini: Io credo che la capacità del 16 di ottobre di unire tante persone, tanti soggetti diversi, nasca dall’aver proposto una «strada diversa» per uscire da questa crisi. Partendo dalla vicenda di Pomigliano noi abbiamo cercato di denunciare le disuguaglianze sociali di questo paese – nel mondo del lavoro e non solo – indicando al contempo la possibilità di perseguire un diverso modello sociale di sviluppo. È questo che ci ha permesso ad esempio di parlare con gli studenti, con i movimenti per l’acqua pubblica, con le associazioni che si battono per la tutela del territorio, per un modello produttivo sostenibile tanto da un punto di vista sociale quanto da un punto di vista ambientale.
L’idea di fare la manifestazione il 16 ottobre nasce il 1° luglio a Pomigliano: per noi è partito tutto da lì. Ma non abbiamo mai considerato Pomigliano un caso a sé: fin dall’inizio abbiamo capito che lì si giocava una partita più generale. Ciò che veniva messo in discussione era il diritto stesso delle persone di poter contrattare collettivamente la propria condizione in fabbrica. Si cercava in quel modo di far definitivamente saltare il sistema sociale, il sistema di relazioni industriali che bene o male in questi anni ha garantito una certa mediazione fra i diversi interessi. Per questo Pomigliano si portava dietro questo enorme carico di novità che è stato subito compreso nella sua importanza.
Ora però dobbiamo porci delle domande sul dopo 16 ottobre. Come andare avanti? Come dare seguito a un percorso che è stato in grado di mobilitare così grandi energie? Qui io farei una riflessione su due livelli.
Il primo è quello sindacale. Noi dobbiamo dare risposte a tutte quelle persone che sono scese in piazza e che hanno posto con forza la questione della condizione del lavoro in Italia. Dobbiamo difendere il contratto nazionale e cercare di ricostituire una riunificazione del lavoro che oggi è diviso, separato, frammentato. Allo stesso tempo dobbiamo affrontare la questione della democrazia sindacale, del diritto dei lavoratori a poter votare come condizione imprescindibile per ridefinire anche un’azione sindacale unitaria. Poi c’è un problema che riguarda la politica industriale, cioè il come debbono essere riorganizzate le imprese in questo paese. Sono tutte questioni tipicamente sindacali che richiederanno un impegno enorme da parte nostra.
La manifestazione del 16 ottobre ha però posto anche delle domande di natura più propriamente «politica». Io credo che moltissime persone che hanno partecipato a quel corteo si aspettino dalla politica una diversa attenzione verso il mondo del lavoro, un diverso approccio anche nel fare opposizione al governo Berlusconi: è ora di finirla di dire solo che «Berlusconi è cattivo». Occorre essere in grado di contrapporgli un diverso modello di produzione e un diverso modello di società.
Noi, come Fiom, dobbiamo sviluppare la nostra azione con quella autonomia che ci caratterizza e che è necessaria oggi per fare il sindacato. Ma non dobbiamo rinunciare a stimolare e sollecitare le forze politiche su questi temi, affinché anche il mondo della politica faccia la sua parte e torni a dare al lavoro la centralità che merita.