LA CGIL PRONTA ALLO SCIOPERO GENERALE
di Beatrice Borromeo
Sta diventando il disegno di legge dei record: non solo perché il testo di riforma del mercato del lavoro di cui è relatore Maurizio Castro, Pdl, presto tornerà alla Camera per la settima volta, ma anche perché continua a scatenare polemiche nonostante in pochi abbiano davvero chiaro il suo contenuto (il testo sarà consultabile online soltanto da oggi). È stato il primo “no” del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che lo ha rimandato alle Camere il 31 marzo perché era viziato da “estrema eterogeneità” e in alcuni punti a rischio di incostituzionalità. “Se l’orientamento del governo non si modificasse in vista della discussione parlamentare, dovremmo arrivare ad azioni di lotta, senza escludere lo sciopero generale”, afferma la segretaria confederale della Cgil, Susanna Camusso (probabile nuovo segretario nazionale a settembre). Anche perché, dice l’Italia dei Valori, con questa riforma “si torna all’epoca degli schiavi”.
SEI LICENZIATO. Uno dei punti più criticati del disegno di legge ora in discussione al Senato in commissione Lavoro è la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il dipendente precario oralmente. In teoria vengono rafforzate le tutele: il ddl allunga i tempi per impugnare il licenziamento da 60 a 90 giorni. In realtà dall’allungamento dei termini d’impugnazione potrebbero derivare solo problemi per i precari. Una legge italiana del 1966, come ha chiarito ieri in una nota il ministero del Lavoro, vieta di licenziare a voce i dipendenti. L’emendamento di Castro non contraddice la legge, cioè non introduce i licenziamenti orali, si limita a considerarli una consuetudine diffusa, consolidatasi prima dell’introduzione dello Statuto dei lavoratori e che, oggi, rientra nel campo dei “licenziamenti inefficaci”. Il fatto di allungare i termini per fare ricorso, dicono i critici, diventa una legittimazione di fatto dei licenziamenti a voce.
“L’emendamento è stato presentato male, non è stato spiegato correttamente”, ammette al Fatto Quotidiano Giuliano Cazzola, Pdl, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera già relatore del provvedimento in una fase precedente. E spiega: “Dare 90 giorni per impugnare il licenziamento orale secondo me va nell’interesse del lavoratore. Però è vero che rischia di legittimare il licenziamento orale, io l’avrei formulato diversamente”. Riguardo alla possibilità che il datore di lavoro menta sulla data del licenziamento (che, essendo fatto a voce, non è provabile) Cazzola sostiene che “il dipendente può sempre e comunque chiedere di avere un documento scritto con data, motivazione del licenziamento e firma del datore di lavoro”.
L’ARBITRATO. Non sono questi gli unici punti critici del disegno di legge. C’è sempre la questione di quando e come ricorrere agli arbitri (nominati dalle parti) invece che al giudice del lavoro. Nella prima versione del ddl, quella bocciata da Napolitano (nonostante fosse meno dubbia, secondo molti costituzionalisti, di altre leggi promulgate dal Colle come il legittimo impedimento), il lavoratore poteva essere costretto a firmare al momento dell’assunzione una clausola compromissoria per accettare che, in caso di controversie sulla risoluzione del rapporto di lavoro, queste sarebbero state affrontate dinanzi a un arbitro e non a un giudice. “Così s’introduce l’arbitrato secondo equità, che non è quello normale, e che assegna all’arbitro compiti anche in deroga alle leggi esistenti che proteggono il lavoro. Si crea un eccesso di potere nelle mani dell’arbitro”, sostiene l’ex ministro del Lavoro e deputato Pd Cesare Damiano. Nella nuova versione alcuni particolari sono cambiati: la clausola compromissoria dovrà essere firmata non all’ingresso in azienda ma dopo la fine del periodo di prova del dipendente: “Omeopatia – sostiene Damiano – anzi peggio, hanno messo le mani solo su dettagli micro. Con questo passo indietro plateale e protervo il governo, che dal momento del suo insediamento non fa che diminuire le tutele dei lavoratori, si allontana dai rilievi di Napolitano”.
SEI LICENZIATO. Uno dei punti più criticati del disegno di legge ora in discussione al Senato in commissione Lavoro è la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il dipendente precario oralmente. In teoria vengono rafforzate le tutele: il ddl allunga i tempi per impugnare il licenziamento da 60 a 90 giorni. In realtà dall’allungamento dei termini d’impugnazione potrebbero derivare solo problemi per i precari. Una legge italiana del 1966, come ha chiarito ieri in una nota il ministero del Lavoro, vieta di licenziare a voce i dipendenti. L’emendamento di Castro non contraddice la legge, cioè non introduce i licenziamenti orali, si limita a considerarli una consuetudine diffusa, consolidatasi prima dell’introduzione dello Statuto dei lavoratori e che, oggi, rientra nel campo dei “licenziamenti inefficaci”. Il fatto di allungare i termini per fare ricorso, dicono i critici, diventa una legittimazione di fatto dei licenziamenti a voce.
“L’emendamento è stato presentato male, non è stato spiegato correttamente”, ammette al Fatto Quotidiano Giuliano Cazzola, Pdl, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera già relatore del provvedimento in una fase precedente. E spiega: “Dare 90 giorni per impugnare il licenziamento orale secondo me va nell’interesse del lavoratore. Però è vero che rischia di legittimare il licenziamento orale, io l’avrei formulato diversamente”. Riguardo alla possibilità che il datore di lavoro menta sulla data del licenziamento (che, essendo fatto a voce, non è provabile) Cazzola sostiene che “il dipendente può sempre e comunque chiedere di avere un documento scritto con data, motivazione del licenziamento e firma del datore di lavoro”.
L’ARBITRATO. Non sono questi gli unici punti critici del disegno di legge. C’è sempre la questione di quando e come ricorrere agli arbitri (nominati dalle parti) invece che al giudice del lavoro. Nella prima versione del ddl, quella bocciata da Napolitano (nonostante fosse meno dubbia, secondo molti costituzionalisti, di altre leggi promulgate dal Colle come il legittimo impedimento), il lavoratore poteva essere costretto a firmare al momento dell’assunzione una clausola compromissoria per accettare che, in caso di controversie sulla risoluzione del rapporto di lavoro, queste sarebbero state affrontate dinanzi a un arbitro e non a un giudice. “Così s’introduce l’arbitrato secondo equità, che non è quello normale, e che assegna all’arbitro compiti anche in deroga alle leggi esistenti che proteggono il lavoro. Si crea un eccesso di potere nelle mani dell’arbitro”, sostiene l’ex ministro del Lavoro e deputato Pd Cesare Damiano. Nella nuova versione alcuni particolari sono cambiati: la clausola compromissoria dovrà essere firmata non all’ingresso in azienda ma dopo la fine del periodo di prova del dipendente: “Omeopatia – sostiene Damiano – anzi peggio, hanno messo le mani solo su dettagli micro. Con questo passo indietro plateale e protervo il governo, che dal momento del suo insediamento non fa che diminuire le tutele dei lavoratori, si allontana dai rilievi di Napolitano”.