Maurizio Landini, segretario della Fiom, la Fiat certifica la rottamazione di Fabbrica Italia. Come ci si sente ad aver avuto ragione quasi da soli?
«Non siamo per nulla contenti, anzi. Siamo preoccupati. E deve essere chiaro che non siamo disponibili ad accettare chiusure di stabilimenti e ridimensionamenti della capacità produttiva, come non abbiamo accettato la chiusura degli stabilimenti della Cnh di Imola, dell’Irisbus e di Termini Imerese. Credo che oggi serva chiedere al governo di fare una discussione finalmente seria con la Fiat. Finora questa possibilità non c’è mai stata».
Il comunicato del Lingotto suona però come un mettere le mani avanti, prepara il terreno per l’annuncio del 30 ottobre...
«Il nostro Paese non si può permettere che Fiat lasci l’Italia. Purtroppo sono passati degli anni a dare credito alle promesse di Marchionne. In questi anni si sono perse quote di mercato e ora la situazione è più difficile. L’errore della Fiat è stato pensare di ritardare gli investimenti facendo affidamento sul fatto che nel frattempo qualche concorrente saltasse. Invece è successo esattamente il contrario: gli altri hanno investito, prodotto nuovi modelli e hanno guadagnato rispetto a Fiat. Se Marchionne non decide in fretta di cambiare strada esce dal mercato italiano e da quello europeo».
Non pensa invece che sia una scelta ponderata? Non crede che Marchionne non cambierà idea e che l’unica possibilità sia che la famiglia Agnelli lo sostituisca?
«Non mi sono mai messo a discutere su con chi debbo fare una trattativa, anche perché invece c’è successo il contrario e cioè che la Fiat abbia scelto di escluderci. La famiglia Agnelli, se ha ancora la forza, decide a chi affidare la sua azienda e io discuto con chi c’è. L’importante è che ci sia una trattativa. E finora non c’è stata».
Voi sareste disponibili a fare marcia indietro sulla cosiddetta via giudiziaria, le cause contro Fiat, in cambio di un mantenimento dei livelli occupazionali?
«La via giudiziaria l’abbiamo scelta per garantire i diritti delle persone, non per strategia: marce indietro da fare non ce sono. Noi però siamo disponibili, come abbiamo fatto in questi mesi con grandi gruppi come Electrolux, Indesit, Whirpool, a firmare accordi con processi di riorganizzazione anche imponenti. E rivendichiamo di essere un sindacato responsabile. Solo la Fiat non se n’è accorta».
Da un anno chiedete che intervenga il governo e l’unica volta che Monti ha parlato con Marchionne ha poi spiegato che «un’azienda globale può investire dove vuole». Passera ieri ha parlato di «richiesta di chiarimenti». È fiducioso?
«Mi auguro che finalmente il governo convochi al più presto l’azienda. Credo che se è vero che il Paese non può fare a meno della Fiat, il governo non può permettersi di fare a meno di un intero settore industriale. Chiudere stabilimenti significa, oltre a cancellare altri posti di lavoro, perdere competenze straordinarie nel saper costruire auto e nella componentistica. Oltre a chiedere conto alla Fiat, chiediamo al governo di discutere un piano della mobilità nazionale che rilanci tutto il settore dei trasporti, come fanno in tutti i Paesi avanzati. In più facciamo notare che nessun Paese avanzato (Francia, Germania, Giappone) ha un solo produttore: bisogna cercarne altri».
Noi de l’Unità abbiamo scritto che Volkswagen ha visitato ed è interessata a produrre a Pomigliano e non fa mistero di essere interessata al marchio Alfa Romeo. Non crede che il governo dovrebbe convocare anche i tedeschi?
«Questo non dipende da noi, ma di sicuro il governo ha il dovere di ricercare tutte le possibili soluzioni per impedire le chiusure e deve creare le condizioni perché in Italia entrino altri produttori».
Intanto Fim Cisl e Uilm iniziano a scricchiolare: chiedono interventi del governo e parlano di aprire le porte a nuove aziende...
«Negli accordi che hanno subìto e hanno accettato di firmare non c’era una riga di certezze sugli investimenti, mentre c’era la sostanziale cancellazione del contratto nazionale. Queste organizzazioni dovrebbero riflettere sul fatto che subire ricatti non significa fare sindacato. Per questo noi abbiamo rivolto a loro e a Fermeccanica l’invito a confrontarsi su un Accordo per il lavoro che per tutto il 2013 eviti un nuovo contratto separato e punti alla riduzione di orario per mantenere i livelli occupazionali e una detassazione di una parte del salario. Finora non abbiamo avuto risposte».
Ma intanto Monti attacca lo Statuto dei lavoratori...
«Non è una novità. Ma assume significato perché è un tentativo di condizionare il prossimo governo per continuare nel suo solco. Dimostra che Monti non è un tecnico. Anche perché anche modificando l’articolo 18 in modo per cui abbiamo avuto 7 licenziamenti di cui sei iscritti Fiom, non mi pare che la mossa abbia portato orde di investitori stranieri come c’era stato promesso. Una ragione in più per firmare il referendum per cancellare l’articolo 8 chiesto da Marchionne a Berlusconi e la modifica all’articolo 18 che fa licenziare i lavoratori sgraditi alle aziende».
«Non siamo per nulla contenti, anzi. Siamo preoccupati. E deve essere chiaro che non siamo disponibili ad accettare chiusure di stabilimenti e ridimensionamenti della capacità produttiva, come non abbiamo accettato la chiusura degli stabilimenti della Cnh di Imola, dell’Irisbus e di Termini Imerese. Credo che oggi serva chiedere al governo di fare una discussione finalmente seria con la Fiat. Finora questa possibilità non c’è mai stata».
Il comunicato del Lingotto suona però come un mettere le mani avanti, prepara il terreno per l’annuncio del 30 ottobre...
«Il nostro Paese non si può permettere che Fiat lasci l’Italia. Purtroppo sono passati degli anni a dare credito alle promesse di Marchionne. In questi anni si sono perse quote di mercato e ora la situazione è più difficile. L’errore della Fiat è stato pensare di ritardare gli investimenti facendo affidamento sul fatto che nel frattempo qualche concorrente saltasse. Invece è successo esattamente il contrario: gli altri hanno investito, prodotto nuovi modelli e hanno guadagnato rispetto a Fiat. Se Marchionne non decide in fretta di cambiare strada esce dal mercato italiano e da quello europeo».
Non pensa invece che sia una scelta ponderata? Non crede che Marchionne non cambierà idea e che l’unica possibilità sia che la famiglia Agnelli lo sostituisca?
«Non mi sono mai messo a discutere su con chi debbo fare una trattativa, anche perché invece c’è successo il contrario e cioè che la Fiat abbia scelto di escluderci. La famiglia Agnelli, se ha ancora la forza, decide a chi affidare la sua azienda e io discuto con chi c’è. L’importante è che ci sia una trattativa. E finora non c’è stata».
Voi sareste disponibili a fare marcia indietro sulla cosiddetta via giudiziaria, le cause contro Fiat, in cambio di un mantenimento dei livelli occupazionali?
«La via giudiziaria l’abbiamo scelta per garantire i diritti delle persone, non per strategia: marce indietro da fare non ce sono. Noi però siamo disponibili, come abbiamo fatto in questi mesi con grandi gruppi come Electrolux, Indesit, Whirpool, a firmare accordi con processi di riorganizzazione anche imponenti. E rivendichiamo di essere un sindacato responsabile. Solo la Fiat non se n’è accorta».
Da un anno chiedete che intervenga il governo e l’unica volta che Monti ha parlato con Marchionne ha poi spiegato che «un’azienda globale può investire dove vuole». Passera ieri ha parlato di «richiesta di chiarimenti». È fiducioso?
«Mi auguro che finalmente il governo convochi al più presto l’azienda. Credo che se è vero che il Paese non può fare a meno della Fiat, il governo non può permettersi di fare a meno di un intero settore industriale. Chiudere stabilimenti significa, oltre a cancellare altri posti di lavoro, perdere competenze straordinarie nel saper costruire auto e nella componentistica. Oltre a chiedere conto alla Fiat, chiediamo al governo di discutere un piano della mobilità nazionale che rilanci tutto il settore dei trasporti, come fanno in tutti i Paesi avanzati. In più facciamo notare che nessun Paese avanzato (Francia, Germania, Giappone) ha un solo produttore: bisogna cercarne altri».
Noi de l’Unità abbiamo scritto che Volkswagen ha visitato ed è interessata a produrre a Pomigliano e non fa mistero di essere interessata al marchio Alfa Romeo. Non crede che il governo dovrebbe convocare anche i tedeschi?
«Questo non dipende da noi, ma di sicuro il governo ha il dovere di ricercare tutte le possibili soluzioni per impedire le chiusure e deve creare le condizioni perché in Italia entrino altri produttori».
Intanto Fim Cisl e Uilm iniziano a scricchiolare: chiedono interventi del governo e parlano di aprire le porte a nuove aziende...
«Negli accordi che hanno subìto e hanno accettato di firmare non c’era una riga di certezze sugli investimenti, mentre c’era la sostanziale cancellazione del contratto nazionale. Queste organizzazioni dovrebbero riflettere sul fatto che subire ricatti non significa fare sindacato. Per questo noi abbiamo rivolto a loro e a Fermeccanica l’invito a confrontarsi su un Accordo per il lavoro che per tutto il 2013 eviti un nuovo contratto separato e punti alla riduzione di orario per mantenere i livelli occupazionali e una detassazione di una parte del salario. Finora non abbiamo avuto risposte».
Ma intanto Monti attacca lo Statuto dei lavoratori...
«Non è una novità. Ma assume significato perché è un tentativo di condizionare il prossimo governo per continuare nel suo solco. Dimostra che Monti non è un tecnico. Anche perché anche modificando l’articolo 18 in modo per cui abbiamo avuto 7 licenziamenti di cui sei iscritti Fiom, non mi pare che la mossa abbia portato orde di investitori stranieri come c’era stato promesso. Una ragione in più per firmare il referendum per cancellare l’articolo 8 chiesto da Marchionne a Berlusconi e la modifica all’articolo 18 che fa licenziare i lavoratori sgraditi alle aziende».