Cremaschi: Sì, quello di Marchionne è fascismo aziendale
Ma davvero bisogna abbassare i toni e non usare la parola fascismo per definire quanto sta avvenendo a Mirafiori, a Pomigliano, in Fiat? In tanti hanno considerato una forzatura l’uso di questa parola. Ma che scherziamo? Questa sarebbe la dimostrazione che chi si oppone all’accordo di Mirafiori è fuori dal tempo e dalla storia.
Vediamo allora in concreto cosa succederà a Mirafiori se si applica l’accordo. Oltre a danni drammatici alla condizione di lavoro e a tutti i loro diritti, i lavoratori perderanno le libertà sindacali. Gli unici sindacati ufficialmente ammessi in azienda saranno quelli firmatari dell’accordo, i quali avranno diritto a una rappresentanza sindacale da essi nominata. Quindi la Fiom e tutti coloro che si oppongono all’accordo saranno esclusi dalla rappresentanza sindacale che però, a sua volta, non sarà più elettiva ma di nomina dall’alto.
Ha suscitato scandalo anche l’accostamento che abbiamo fatto con l’accordo del 2 ottobre 1925 a Palazzo Vidoni. Allora il presidente del Consiglio, Mussolini, la Confindustria, i sindacati nazionalisti fascisti e corporativi sottoscrissero la fine delle commissioni interne aziendali elette dai lavoratori e il passaggio al regime dei “fiduciari” nominati dai sindacati firmatari dell’accordo. La si può girare come si vuole, ma questo è il solo precedente a cui far riferimento per l’accordo di Mirafiori che tanti definiscono storico.
Si elimina l’opposizione e si inibisce ogni reale libertà di scelta sindacale. Non solo non ci saranno più le elezioni ma i lavoratori non potranno più iscriversi alla Fiom e ai sindacati che non hanno firmato l’accordo, né potranno più tenersi libere assemblee. Come chiamare questo? Se un presidente del Consiglio decidesse che per far quadrare i conti del bilancio pubblico bisogna cancellare il parlamento elettivo e mettere fuorilegge l’opposizione, come definiremmo tutto questo? Ma si sa, la fabbrica è considerata un mondo a parte, le regole della democrazia che sono scontate quando si sta fuori dai cancelli diventano tutte opinabili quando li si varca. Così può acquisire anche una patina di democraticità un referendum che dovrebbe sanzionare la fine delle libertà a Mirafiori.
Dove trovare i precedenti storici rispetto a una consultazione che si presenta come l’ultima? Se dovesse passare il sì e l’accordo fosse davvero applicato i lavoratori voterebbero per l’ultima volta, anzi, rinuncerebbero per sempre a votare sulle proprie rappresentanze sindacali, sugli accordi, sulle condizioni di lavoro. Come definire un voto di rinuncia ai diritti democratici fondato sul ricatto della perdita del posto di lavoro? Non ricorda i plebisciti autoritari con cui tante dittature hanno messo fine alla democrazia?
E, infine, visto che questo a Marchionne non basta ancora, come giudicare il fatto che se passa il sì poi i lavoratori di Mirafiori, uno per uno, saranno licenziati dalla Fiat e riassunti nella nuova società di produzione solo se sottoscriveranno l’accettazione piena di tutte le condizioni di lavoro imposte e la rinuncia a qualsiasi rivalsa e tutela, pena il licenziamento? Che questo sia un moderno fascismo aziendale non c’è alcun dubbio. La domanda che si può porre è se l’Italia possa restare una democrazia se questo regime si diffonde in tutti i luoghi di lavoro.
Si sostiene che questo è semplicemente il modello americano. L’America è una grande democrazia, che resta tale anche se nelle fabbriche c’è il fascismo. E’ bene però ricordare che negli anni Trenta il presidente democratico Roosvelt considerava una forma di fascismo e una minaccia per la democrazia americana il governo autoritario della fabbrica di Henry Ford. Si può comunque pensare che la minaccia di Marchionne sia stemperata nella dimensione dei conflitti e dei problemi degli Usa. In Italia però non è così. Siamo un paese nel quale da quindici anni il berlusconismo destruttura la democrazia. L’assalto alle libertà sindacali di Marchionne potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso verso un sistema autoritario.
Questa è la posta in gioco in Fiat, ed è per questo che in tanti, esterni al mondo metalmeccanico e anche, per fortuna, esterni al palazzo che a destra e a sinistra si è inchinato di fronte a Marchionne, oggi sostengono la resistenza della Fiom.