dal "MANIFESTO"
di MARIO SAI
Comunque vada, il destino della Fiat e di Torino come polo industriale sarà deciso, prima che dalla collocazione della sede legale del gruppo, dalla qualità del lavoro richiesto. La Toyota, che produce 7 milioni di vetture l'anno soprattutto all'estero, mantiene nella sede storica di Nagoya 10 mila ingegneri nella ricerca, sviluppo e sperimentazione. Gli operai lavorano su due turni giornalieri con salari superiori a quelli italiani. Di tutto il piano «Fabbrica Italia» l'unica cosa certa è che l'organizzazione del lavoro (odl) sarà World Class Manufacturing (Wcm). È importante che ne conoscano storia, punti di forza e di debolezza, e che ne discuta non solo la Fiom, ma la politica e la cultura di sinistra. Chiuso il ciclo di lotte che avevano avuto l'odl al centro (alla Fiat l'ultimo accordo importante a tutela degli operai di linea risale a molto tempo fa), questo terreno è stato fatto proprio dalle imprese secondo un nuovo modello di governo del lavoro: il Toyota Production System. È un modo di «pensare all'inverso» rispetto al taylorismo: non più lo sforzo fisico al centro di una rete di gerarchie e procedure, ma l'apprendimento continuo, il lavoro di squadra, la valorizzazione dell'autonomia e responsabilità dei lavoratori. Quando il lavoratore è in difficoltà suona un allarme, tira una corda sospesa e si ferma la linea. Interviene il «team-leader» per risolvere il problema e si riparte. Perché funzioni i lavoratori devono fare propria l'idea che la fabbrica è una comunità di cui si condividono i fini e da cui è espulso il conflitto. Il sindacato deve essere aziendale e collaborativo. In Europa il Wcm ha dovuto fare i conti con una storia operaia e un'organizzazione sindacale diversa, quella del sindacato «generale» caratterizzato dai contratti nazionali di categoria, dagli accordi confederali e da una legislazione di sostegno. Anche per questo il Wcm ha spostato l'attenzione dalla partecipazione al miglioramento (zero difetti, zero guasti, zero sprechi, zero magazzino) e ha imposto una metrica di origine tayloristica per la definizione delle prestazioni di lavoro: l'Ergo-Uas, primo punto del Mirafiori Plant. È un modello organizzativo che per funzionare ha bisogno di un cambio di ruolo dei sindacati: in azienda entrano solo quelli disponibili a condividere le finalità d'impresa per non interferire con la partecipazione in via gerarchica dei lavoratori. Essa è presidiata dalla «clausola di responsabilità» e dalla limitazione del diritto di sciopero, perché nei sistemi di produzione integrati imposti dal just in time la lotta di un numero piccolo di lavoratori può provocare gravi blocchi produttivi. I sindacati dissenzienti sono esclusi, come è negata ogni forma di rappresentanza democratica. Si passa dalla negoziazione sindacale alla fedeltà aziendale. Che a presentare le motivazioni per il si al referendum contro i delegati Fiom ci fossero soprattutto gli impiegati di officina, i supervisori ed i team-leader è stata la conferma di questo nuovo paradigma (non avendo i firmatari alcun ruolo nell'attuazione del contratto). Alla decisiva battaglia sui diritti contro questa deriva si deve affiancare una ripresa di azione rivendicativa. Va richiesta una «contrattazione di anticipo» sull'Ergo-Uas. È vero che è un sistema internazionale di misurazione dei tempi e dei metodi di lavoro, ma non ovunque si applica come vuole il contratto di Mirafiori: da un lato tempi standard imposti sulla base di una ricostruzione delle mansioni e dei movimenti definita dai tecnici aziendali e dall'altro una procedura lunga e burocratica sui reclami. Ecco perché vanno promosse un'iniziativa sindacale e un'estesa mobilitazione di competenze e saperi basati sulle esperienze dei lavoratori, a cominciare dai 1300 a «ridotte capacità lavorative» per farli protagonisti nel definire gli aspetti organizzativi ed ergonomici del sistema. Il secondo terreno è quello della classificazione professionale. Al lavoratore è richiesto di impegnare la sua intelligenza nel processo produttivo, coniugando funzioni esecutive con prestazioni di controllo e progettazione, ma questo non si traduce in salario e progressione di carriera: quasi sempre rimane al terzo livello. È qui che il sindacato ha perso la sua battaglia salariale, subendo la divaricazione tra professionalità e salario, mentre si sfiancava nella rincorsa all'inflazione o alla produttività. Questa frattura va ricomposta, raccogliendo la sfida di Sergio Marchionne, che ha rimesso in discussione l'inquadramento unico. Questi sono i terreni sui quali si può ricostruire l'unità (la sola oggi possibile e necessaria) tra i lavoratori, quelli del «no» come quelli del «si».