Gli ingredienti per fare dello sciopero generale del 6 maggio una giornata speciale, l'avvio di un cambio di marcia e di rotta dell'opposizione sociale al berlusconismo, ci sono tutti. La crisi continua a pesare sui lavoratori e i pensionati - i nuovi poveri che si sommano a sofferenze più antiche - e le risposte economiche e politiche per tentare di uscirne non fanno che accentuare le diseguaglianze. Dentro la crisi è diventata intollerabile la condizione dei giovani e dei lavoratori meno tutelati, i precari che il sistema industriale utilizza come forza lavoro di riserva per abbattere i diritti di tutti. Salvo poi espellerli in piena libertà, l'unica libertà riconosciuta che è quella d'impresa, grazie a un sistema di leggi infami di cui hanno responsabilità in tanti, e non solo Berlusconi che ha completato un percorso avviato dal centrosinistra.
In questo contesto, Cisl e Uil sono diventati sindacati complici delle imprese e del governo e accompagnano lo stravolgimento dei diritti sociali e sindacali con accordi separati senza e contro la Cgil. Non è solo la Fiom vittima di questa deregulation mirata a cancellare diritti, Statuto dei lavoratori, Costituzione e contratti nazionali: il nuovo sistema contrattuale è frutto anch'esso di un accordo separato, così come è avvenuto per i rinnovi delle principali categorie, meccanici, commercio, pubblico impiego, scuola...
Per tutte queste ragioni, nel vuoto di iniziativa dell'opposizione politica al governo Berlusconi e in pieno corteggiamento della Confindustria che ognuno tenta di tirare dalla sua parte, lo sciopero indetto della Cgil risponde a una domanda e una protesta sociale che negli ultimi mesi non si è risparmiata, dagli studenti ai precari, dagli operai metalmeccanici impegnati ad opporsi alla filosofia generale predicata da Marchionne, fino a chi si mobilita in difesa dei beni comuni, per l'acqua pubblica, contro il nucleare, per un diverso modello di sviluppo costruito sulla base dei più elementari (e rivoluzionari) vincoli sociali e ambientali - persino umani verrebbe da dire, se si dà un'occhiata a quel che avviene nel Mediterraneo.
Lo sciopero della Cgil può essere un collante sociale. Gli scioperi generali non sono più da tempo il grimaldello per rovesciare i governi, ma quello del 6 maggio può avere un ruolo di riunificazione delle lotte e delle energie in campo.
Eppure, l'impressione che si ha è che la Cgil non voglia premere sull'acceleratore. Il suo gruppo dirigente nazionale è stato sostanzialmente costretto dalle spinte delle categorie e dei territori a indire lo sciopero, sia pure di sole quattro ore che per quasi tutti sono diventate otto. Inoltre si sono aperti due conflitti all'interno del più forte sindacato italiano.
Il primo riguarda la conferma del 1° maggio unitario con Cisl e Uil, cioè con chi ogni giorno attacca e insulta la Cgil e il suo gruppo dirigente. Decisione peraltro disattesa da molte realtà, a partire dalla Cgil di Bologna, per impraticabilità. Il secondo elemento, più strutturale, di conflitto riguarda il documento preparatorio del direttivo del 10 maggio, in cui si apre la strada al «contratto leggero» per dar spazio alla contrattazione di secondo livello, quella che solo un numero ristrettissimo di lavoratori riesce a strappare. Rischierebbe così di saltare il fondamento sindacale della solidarietà generale. La bozza è un modo per riaprire la porta all'unità sindacale e al rapporto con il padronato nella stagione in cui la rottura è più radicale, come negli anni Cinquanta, se non peggio.
Si ha l'impressione, speriamo sbagliata, che la Cgil, lanciato il sasso dello sciopero generale, voglia nascondere la mano nell'illusione di riportare indietro nel tempo le lancette dell'orologio. Ma forse siamo noi a sbagliare, a mal interpretare le aperture di Susanna Camusso a chi le risponde a suon di schiaffoni. Ci rassicura comunque la convinzione che la Cgil sia un grande invaso democratico, un luogo in cui i lavoratori e i pensionati hanno un ruolo e un peso, e le categorie e i territori un'autonomia. La Cgil, persino a prescindere dalla volontà del suo gruppo dirigente, è un punto di riferimento per quella che con un po' di prosopopea viene definita «la parte sana del paese».