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martedì 31 agosto 2010

FIOM INFORMA

Nell’incontro avutosi nella giornata di ieri Martedì 31 Agosto 2010 tra FIAT CNH ITALIA e la RSU di FIM-FIOM-UILM l’Azienda ha comunicato quanto segue:

- la conferma dei giorni di CIGO delle giornate del 2-3-10 Settembre, a cui si aggiunge, causa il perdurare di una situazione negativa di mercato, il ricorso ad ulteriore CIGO per i giorni 23-24-30 Settembre ed 1 Ottobre.

- L’Azienda ha inoltre dichiarato che le giornate di CIGO previste per la fine dell’anno restano quelle indicate negli incontri precedenti: tra le 50 e le 58. A metà ottobre in Associazione Industriali sarà poi possibile avere una visione più chiara della situazione produttiva relativa al primo trimestre del 2011.

- Le giornate del 2 e del 3 Settembre vedranno impegnate in attività di normale produzione la linea TK del reparto Trasmissioni – su 2 turni - e la linea Pianali del reparto Cabine – sul primo turno - .

- Nelle stesse giornate è previsto il Cambio Cartelle nei seguenti tratti. Linea Trasmissioni; la produzione passa da 48 a 45, le postazioni da 17 a 16; linea C2 reparto Cabine: la produzione passa da 43 a 48, le postazioni da 26 a 28; linea B2 officina 2: la produzione passa da 69 a 71, le postazioni da 31 a 32.

- Nella prossima settimana è previsto un incontro sulle problematiche emerse in riferimento alle modifiche dell’organizzazione del lavoro che l’Azienda ha effettuato all’area collaudo funzionale – revisione - delibera nel corso delle ferie.

- In ultimo, ma non in ordine di importanza, l’Azienda ha presentato alla RSU due Ipotesi d’Accordo rispettivamente sull’uso delle videocamere in fabbrica in materia di Ergonomia, e all’utilizzo di Fondimpresa per un corso formativo rivolto agli Impiegati dello stabilimento.

La RSU della FIOM-CGIL si è riservata di valutare la possibilità di un eventuale accordo con FIAT.

Jesi, 1 Settembre 2010                                                la RSU della FIOM-CGIL

DEROGHE AL CONTRATTO,MARCHIONNE DETTA LEGGE, FEDERMECCANICA TREMA di Loris Campetti

Nel suo partito l'amministratore delegato Fiat può iscrivere i ragazzi e le ragazze plaudenti di Comunione e liberazione, e magari anche i suoi compagni di barbecue, gli operai Usa della Chrysler sopravvissuti alla cura Marchionne (e agli hamburger aziendali). Più, naturalmente, l'immarcescibile ministro Sacconi. Il fatto che dovrebbe preoccuparlo, però, è che nel partito avverso, o comunque dei critici della sua filosofiat post-lotta di classe, le fila degli adepti si stanno pericolosamente allungando. Passi la Fiom, passino i partiti extraparlamentari e qualche minoranza Pd, passino il giudice di Melfi e il presidente Napolitano, ma che a gufare ci si metta anche il vescovo Bagnasco con la sua vecchia dottrina sociale, è troppo. Persino Cesare Romiti, predecessore di Marchionne, lancia strali; Corrado Passera (Intesa San Paolo, banca di riferimento Fiat) storce il naso e commentatori ieri amici prendono le distanze. Il massimo sarebbe che persino i sodali di Confindustria e Federmeccanica si mettessero a mugugnare.

Effettivamente Marchionne chiede molto alle associazioni padronali, usando come fa con gli operai il ricatto «prendere o lasciare». Se agli operai e ai sindacati chiede di scegliere tra i diritti e il lavoro, a Confindustria e Federmeccanica fa sapere che la Fiat è pronta a dare forfait perché non è più disposta a sopportare il peso del contratto dei metalmeccanici, meglio uno del settore auto, cioè un contratto speciale per la sola Fiat che dell'auto è monopolista. A meno che Federmeccanica non faccia sue tutte le pretese Fiat e di deroga in deroga svuoti il contratto dei meccanici, in combutta con Fim e Uilm. Una richiesta esosa per gli stessi padroni, che si troverebbero ad affrontare in tutte le fabbriche l'opposizione dura del sindacato più rappresentativo: la Fiom di Landini che sta facendo vedere i sorci verdi al Lingotto.

Una richiesta esosa per la natura e il peso specifico delle deroghe. Il primo passo che Federmeccanica si è detta disposta a compiere è la disdetta dell'ultimo contratto unitario, quello del 2008, per assumere quello separato sigliato un anno dopo da Fim e Uilm, ma non dalla Fiom. Contratto tutt'ora in vigore perché mai disdettato. Ma a Marchionne non basta, perché lui quel contratto lo aveva già rottamato unilateralmente. E qui arriva la parola magica: deroga. Per consentire la permanenza della newco di Pomigliano in Confindustria, di deroghe al contratto (quello separato) ne servono moltissime. Analizziano le otto principali.

1) Le ore annue di straordinario non concordate con le Rsu dovrebbero passare da 40 a 120 (cioè da 5 a 15 giorni, magari di sabato).

2) Ora, se le linee si fermano per cause di forza maggiore (temporali, alluvioni, incendi...) l'azienda può chiedere agli operai di recuperare un'ora. La Fiat vorrebbe inserire tra le cause di blocco anche il ritardo (magari per sciopero) di componenti da parte dei fornitori e pretende di disporre di un giorno di recupero ogni sei mesi da pescare tra i riposi o di computare come straordinari.

3) Nuova normativa sulla malattia al fine di non pagare i primi tre giorni di assenza.

4) Regolamentazione del diritto di sciopero, per fare come negli Usa in cui lo sciopero è vietato fino al 2014, e come nell'«accordo» separato di Pomigliano imposto con un referendum militarizzato.

5) Ora i dipendenti hanno diritto ad almeno 11 ore di riposo al momento del cambio turno, per esempio dal pomeridiano al notturno. La richiesta è di ridurlo, in modo che chi smonta alle 22 possa riattaccare alle 6 del mattino successivo. Magari dormendo in automobile, visto che molti dipendenti sono costretti a ore di viaggio per il trasferimento casa-lavoro e viceversa.

6) La mezz'ora di pausa mensa (per di più a fine turno) può essere abolita e trasformata in mezz'ora di lavoro straordinario.

7) Sanzioni a chi non rispetta le suddette deroghe, per esempio sul divieto di sciopero, e taglio dei permessi sindacali ai sindacati dissidenti.

8) Disdettate le ore di permesso sindacale aggiuntive, conquistate negli anni Settanta, ai sindacati non firmatari del nuovo contratto capestro.

La parola passa a Federmeccanica che il 7 settembre dovrà decidere se perdere la Fiat o piegarvisi, e prepararsi a una stagione di dura lotta di classe, quella che Marchionne vorrebbe abolire per decreto. I padroni sono divisi, e del resto persino nello stato maggiore del Lingotto non tutti condividono la crociata del capo.


Federazione Impiegati Operai Metallurgici nazionale
corso Trieste, 36 - 00198 Roma - tel. +39 06 85262312-320-321 - fax +39 06 85303079
www.fiom.cgil.it - e-mail: sindacale@fiom.cgil.it

Ufficio Sindacale
Protocollo: BP/eg/2010/3039
Roma, 31 agosto 2010
A tutte le Fiom regionali e territoriali
Alla Segreteria e Apparato nazionale

Oggetto: Risoluzione Agenzia delle Entrate su detassazione lavoro notturno e straordinario entro il 30 settembre 2010 è possibile richiedere le agevolazioni erroneamente non applicate negli anni 2008 e 2009

Care compagne e cari compagni,

la Risoluzione n. 83/E della Agenzia delle Entrate del 17/08/ 2010, che vi alleghiamo, rispondendo ad un quesito proposto da un’azienda privata su come applicare la detassazione (aliquota del 10%) al lavoro notturno, chiarisce in via definitiva quanto dalla Fiom più volte asserito ovvero che “ sono oggetto dello speciale regime di tassazione non soltanto le indennità o le maggiorazioni erogate per prestazioni di lavoro notturno, ma anche il compenso ordinario corrisposto per quella stessa prestazione lavorativa”.
Come già precisato nei chiarimenti forniti dalla circolare congiunta dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali n. 59/E del 22 ottobre2008 il lavoratore/ce turnista può usufruire dello speciale regime di tassazione in relazione alle sole indennità o maggiorazioni di turno, qualora il turno di lavoro ricada durante l’orario diurno,invece usufruirà dello speciale regime di tassazione in relazione all’intero compenso percepito (ossia compenso ordinario più maggiorazione) qualora presti lavoro notturno, così come definito dalla contrattazione collettiva. La medesima Risoluzione precisa che lo stesso speciale regime di tassazione (riferito cioè sia al compenso ordinario che alla maggiorazione) si deve applicare, per coerenza logico sistematica, “anche a quei lavoratori non turnisti che prestano il loro lavoro giornaliero normale nel periodo notturno e a coloro che, occasionalmente, si trovino a rendere prestazioni che rientrano nella nozione di lavoro notturno, così come definito dalla contrattazione collettiva.” Lo stesso deve intendersi per le somme erogate a fronte di lavoro straordinario prestato nel 2008 per cui viene specificato che sono soggette all’imposta sostitutiva le “.. somme complessivamente erogate a questo titolo (es. l’intera ora di lavoro straordinario comprensivo di retribuzione ordinaria e maggiorazione)”. L’agevolazione si applica, naturalmente, nel rispetto dei requisiti e dei massimali previsti dalla normativa di riferimento per i diversi anni e, pertanto, per un importo massimo di 3.000,00 euro per l’anno 2008 e di 6.000,00 euro per gli anni 2009 e 2010 in favore di titolari di un reddito di lavoro dipendente che non abbia superato nell’anno precedente un determinato importo (non superiore ad euro 30.000,00 lordi per il 2007, euro 35.000,00 lordi nell’anno 2008 e per il 2009.
Invece in molti casi i datori di lavoro hanno dato una interpretazione diversa, sottoponendo a tassazione sostitutiva, in riferimento al lavoro notturno, e allo straordinario (limitatamente al 2008, infatti nella finanziaria 2009 la detassazione degli straordinari è stata abolita) solo l’indennità o la maggiorazione e quindi assoggettando ad imposta ordinaria la parte ordinaria della retribuzione oraria. La Risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 17 agosto 2010 sancisce la retroattività del diritto, precisando che per quanto riguarda le retribuzioni in oggetto che siano state erroneamente sottoposte per gli anni passati alla tassazione ordinaria, anziché all’imposta sostitutiva del 10%, i lavoratori dipendenti potranno far valere la tassazione più favorevole in sede di dichiarazione dei redditi, presentando una dichiarazione integrativa per gli anni passati o avvalendosi dell’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 38 del DPR n. 602 del 1973. A tal fine, il datore di lavoro è tenuto a certificare l’importo delle somme erogate sulle quali non ha applicato la tassazione sostitutiva.

Ricordandovi che per tutti i casi in contenzioso è comunque utile avvalersi della collaborazione dei nostri uffici vertenze e dei CAF-CGIL vi indichiamo, a titolo esemplificativo le principali casistiche possibili:

· SOMME PERCEPITE NEL 2008 E LAVORATORE CHE NEL 2009 HA PRESENTATO LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI (730 O UNICO): 
  • è possibile presentare dichiarazione integrativa con modello UNICO entro il 30 settembre 2010 e far valere il maggior credito nella dichiarazione del prossimo anno. Oltre il 30 settembre sarà possibile presentare istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 DPR n. 602/1973, all’ufficio periferico dell’Agenzia competente per territorio di residenza del lavoratore.

· SOMME PERCEPITE NEL 2008 E LAVORATORE CHE NEL 2009 NON HA PRESENTATO LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI :
  •  è possibile presentare istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 DPR n.602/1973, all’ufficio periferico dell’Agenzia competente per territorio di residenza dellavoratore.

· SOMME PERCEPITE NEL 2009 E LAVORATORE CHE NEL 2010 HA PRESENTATO LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI CON MODELLO 730:
  •  è possibile presentare un UNICO Correttivo nei termini entro il 30 settembre 2010, dopo tale data sarà possibile presentare un UNICO Integrativo fino al 30 settembre 2011.

· SOMME PERCEPITE NEL 2009 E LAVORATORE CHE NEL 2010 NON HA PRESENTATO LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI:
  •  è possibile presentare la dichiarazione con modello UNICO/2010 entro il 30 settembre 2010 e far valere il maggior credito nella dichiarazione del prossimo anno.

Oltre il 30 settembre e fino al 29 dicembre 2010 la presentazione della dichiarazione sarà possibile pagando la sanzione per tardiva presentazione. Oltre il 29 dicembre è possibile presentare istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 DPR n. 602/1973, all’ufficio periferico dell’Agenzia competente per territorio di residenza del lavoratore.

Un caro saluto.
 P. l’Ufficio sindacale Fiom
 Barbara Pettine

lunedì 30 agosto 2010




 Nessun dialogo con chi vuole imporre le regole



Giorgio Cremaschi

Ascoltando il discorso di Marchionne a Rimini mi è venuta in mente una celebre vignetta di Altan. Quella dove c’è un operaio che dice: “La lotta di classe è roba d’altri tempi, Cipputi”. E lui di rimando: “Sarà meglio avvisare l’ Agnelli, che non continui all’oscuro di tutto”. Agnelli non c’è più ma in Fiat le cose non sembrano cambiate.
Anzi, sono peggiorate. Il discorso di Marchionne è un discorso autenticamente reazionario. Il modello sociale che lui ha in mente nega al lavoro qualsiasi libertà e autonomia. Cosa dice Marchionne in sostanza? Che è il mercato a decidere qual è il livello di diritti e di dignità che l’impresa può accettare. E quindi che il lavoro, per esistere, deve stare nel mercato con l’impresa. Quindi viene negata la libertà sindacale alla sua radice. (...)
Non è solo Marchionne a pensarla così. Il suo intervento è stato a più riprese applaudito dalla platea di Rimini, a cui il giorno prima Tremonti aveva spiegato che «una certa qualità di diritti e di regole non possiamo più permettercele in uno scenario globale». Il ministro ha addirittura definito «un lusso» le norme a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Vorrebbero una Italia come la Cina. Nel nostro paese è in atto una offensiva reazionaria. La ministra Gelmini che sta distruggendo la scuola pubblica, Tremonti che sta distruggendo lo stato sociale, Marchionne che sta distruggendo i diritti dei lavoratori, Marcegaglia che sta distruggendo il contratto nazionale di lavoro sono insieme portatori di un disegno di distruzione della civiltà sociale italiana.
Come ci si può opporre a questo disegno?
La mia valutazione personale, di cui credo dovrà discutere il direttivo della Cgil, è che questi appelli al dialogo con la Fiat da parte di Epifani non servono assolutamente a niente. Perchè vengono presi dalla controparte solo come una dimostrazione di debolezza.
Con Marchionne e la Confindustria che accusano la Cgil di dire sempre di no, forse la preoccupazione di Epifani è quella di far vedere all’opinione pubblica che non è lui che rifiuta il dialogo.
Di tattiche si muore. La parola dialogo è malata, è servita per coprire le più brutali sconcezze a favore del potere. Il vero problema è affrontare di petto l’attacco che viene da Confindustria e dalla Fiat ai diritti fondamentali dei lavoratori italiani. Noi vogliamo le trattative sindacali, non il dialogo. Non c’è da dialogare, c’è da riconoscere, cosa che Marchionne non fa, che l’impresa è fatta di due interessi che hanno pari legittimità: quello dell’imprenditore e quello dei lavoratori. Epifani deve dire alla Fiat: «Per trattare con noi devi accettare la Costituzione, lo Statuto dei Lavoratori e il contratto nazionale. Se invece mantieni un atteggiamento eversivo, ti combatteremo». Questa è la cultura della Cgil. Marchionne fa una operazione autoritaria di stampo ottocentesco quando dice “non ci sono gli interessi del lavoro, ci sono solo quelli dell’impresa e i lavoratori devono stare con l’impresa”. Siamo alla riproposizione, dopo tremila anni, dell’apologo di Menenio Agrippa. E allora non c’è da dialogare. Il servo della gleba non deve dialogare con il feudatario, deve conquistare i diritti di cittadinanza. La Fiat non può voler imporre le sue regole a tutti i costi e poi chiedere agli altri di dialogare. Questo è un modo per pretendere subordinazione e passività.
In concreto, cosa proponi?
Bisogna costruire un grande movimento di lotta e avere fiducia nelle persone. In fondo Marchionne è andato in difficoltà di fronte a tre operai di Melfi che hanno affermato la loro dignità, che non si sono accontentati di avere il salario ma che hanno detto «noi vogliamo anche faticare». Dobbiamo essere capaci di far emergere che i problemi di competitività dell’Italia derivano unicamente dal sistema di potere delle imprese, dalle banche, dal sistema politico che non si rinnova e non da un mondo del lavoro che guarda al passato

venerdì 27 agosto 2010



FALCE E MARCHIONNE
«Un nuovo patto sociale»

«Basta con il conflitto tra padroni e operai». Invitato di punta del meeting di Cl, Sergio Marchionne chiede un cambio a tutto tondo delle relazioni industriali, «perchè l'Italia è l'unico paese dove la Fiat è in perdita». E su Melfi parla di «boicottaggio» e di giudici «condizionati dalla campagna mediatica»
Arriva al Meeting di Rimini con mezz'ora in ritardo, accigliato, sudato nella sua polo nera marchiata Marchionne. Si scusa, aveva preparato un discorso che sarebbe volato alto sui cuori dei cinquemila di Comunione e liberazione, per lo più ragazzini affettuosi ed entusiasti un po' con tutti. Lui non ha paura di volare, giura l'amministratore delegato Fiat; e pure alto, come il jet che lo ha riportato da da Detroit, dove ha festeggiato con gli operai Chrysler e con Joe Biden, il vice di Obama, il primo anno di «rifondazione dell'auto americana»: pic nic a birra e salsicce, e lui a fare il cameriere, ma che simpatico questo Sergio, e quanto lo amano questi operai americani a cui ha tagliato a metà il salario e cancellato il diritto di sciopero fino al 2014. Però Sergio fa l'americano anche a Pomigliano, o meglio fa il serbo e un po' il polacco a Melfi e a Termini Imerese. E non si capacita che qui niente birra e salsicce, qui l'accoglienza è tutta un'altra: il presidente della Repubblica esprime «profonda comprensione» per gli operai accusati di sabotaggio (a Melfi), licenziati, reintegrati dal giudice e subito mobbizzati; i vescovi e mezzo Vaticano lo ammoniscono di rispettare la «dignità della persona e del lavoro». Sergio non ci sta, stiracchia Pavese, Hegel e Machiavelli per dire che non torna indietro di un millimetro: «La Fiat è sempre la stessa che la si guardi in Europa, Stati uniti o in Sudamerica. I nostri principi sono uguali dovunque nel mondo». Appunto, la Fiat vorrebbe essere la stessa, potesse, in Italia come in Cina. Poi, all'uscita, aggiusta: chiede di lasciare Napolitano fuori dalla mischia politica (il Colle apprezza), annuncia che è disponibile a incontrare Guglielmo Epifani, il segretario Cgil, il maggiore sindacato italiano: e mancherebbe dicesse il contrario. Insorgerebbero, ancor prima che gli operai, i suoi colleghi di Confindustria.
Davanti alla platea di Rimini - che gli tributa venti dicasi venti applausi - il manager italo-canadese dall'approccio globale, che è di Chieti ma parla inglese anche quando parla italiano, è costretto «a dirottare il discorso a livello locale»: chiude le ali e sale sul caterpillar. Intanto, come aveva fatto Emma Marcegaglia il giorno prima, dichiara che la lotta di classe è finita, basta con il vecchio conflitto «fra capitale e lavoro e fra padroni e operai». E snocciola la sua idea «nuovo patto sociale». Idea modernissima, assicura. Frutto di anni e anni di top management trascorsi fra l'America, la Francia, la Svizzera, mica in Italia, il paese della «conservazione, della paura di cambiare», insomma questo posto di trogloditi indietristi. Ma devono esser stati anni di insonnia e mostri, se questo suo nuovo patto sociale è una roba ottocentesca, cupa, popolata di spettri, ombre, incubi oscuri: fancazzisti, operai pronti a sabotare il padrone, a scioperare, a rubacchiare. Piombo nelle ali per l'ad che vuole volare, anche se non ce la fa. «L'Italia - avverte - è l'unico paese dove la Fiat è in perdita». Lui ringrazia pubblicamente la Cisl e la Uil per aver «accompagnato questo percorso di rifondazione dell'auto italiana», quello verso il nuovo sistema di relazioni industriali prefigurato il giorno dell'accordo separato di Pomigliano. Un sistema come lui lo vuole, dove è «indispensabile colmare il divario competitivo» con i paesi in cui il costo del lavoro è più basso (quindi in Italia va tagliato), dove «l'unica cosa che chiediamo è che gli accordi firmati vengano rispettati» (quindi va abolito il diritto di sciopero), dove anche il contratto nazionale avrebbe vita breve. Dove non è giusto usare «il diritto di tre contro il diritto di molti», come se i diritti di tutti non corrispondessero a quelli di ciascuno.
Quando il discorso arriva sui tre operai di Melfi, Marchionne perde il navigatore, rivendica la dignità dell'impresa contro la dignità dei suoi lavoratori, dice che la Fiat rispetta la legge, che i giudici che fin qui le hanno dato torto sono stati «condizionati dalla campagna mediatica», ripete quella parola «boicottaggio», che è un marchio d'infamia e ignora ben due sentenze. E qui l'ex «borghese buono», l'ex «manager socialdemocratico» (le definizioni, datate 2006, sono di leader della sinistra radicale e moderata) compie la trasformazione in falco e avverte: «Nel limite del possibile riteniamo sia nostro dovere privilegiare il Paese in cui la Fiat ha le proprie radici». Sorvolando sul fatto che l'Italia è anche il paese in cui la Fiat vende il 70 per cento delle sue auto in Europa; sorvolando che a Termini Imerese sono in ballo 3 mila persone; e che a Pomigliano la futura Newco è in contrasto con il diritto del lavoro e rischia di scatenare una valanga di ricorsi. Ma il messaggio è: o così o niente, o così o la Fiat molla. E non c'è politica («non ci faremo trascinare in teatrini»), non c'è democrazia, contratto o costituzione che tenga. Perché è in atto «la contrapposizione fra due modelli: uno che difende il passato e uno che guarda il futuro». Lui guarda il futuro: anche se a guardarlo bene, questo futuro è vecchio di almeno un secolo.

giovedì 26 agosto 2010




di Giorgio Cremaschi

Dopo il pieno appoggio di una ministra dell’istruzione che usa contro la Fiom frasi da querela e che, nello stesso tempo, è impegnata a distruggere la scuola pubblica, Sergio Marchionne ha trovato il pieno appoggio dell’ala più berlusconiana di Comunione e Liberazione. Dimmi chi ti sostiene e ti dirò chi sei.
La sostanza del discorso che l’amministratore delegato della Fiat ha fatto all’assemblea dei ciellini, è di puro stampo reazionario. Come un padrone delle ferriere dell’Ottocento, Marchionne ha spiegato che non ci deve essere conflitto tra padroni e operai, cioè che comandano solo i padroni, e che nella globalizzazione i diritti e la dignità del lavoro sono quelli che vengono definiti dal mercato. Ha poi, naturalmente, rivendicato il suo sacrosanto diritto di non rispettare la sentenza del Tribunale che lo condanna per attività antisindacale e gli impone di far tornare al lavoro i licenziati di Melfi. Qui, naturalmente, fa il furbetto, perché anche i manager delle multinazionali hanno il loro quartierino dove fare gli azzeccagarbugli. Così Marchionne spiega che sta rispettando la legge nello stesso momento in cui la sta violando. Del resto egli è il solo interprete autorizzato della legalità della Fiat. (...)
Dopo la presa di posizione del Presidente della Repubblica e quella della Cei, c’era chi aveva pensato che la Fiat potesse fare un gesto di dialogo. Marchionne ha chiarito che per lui dialogare e comandare come gli pare sono sinonimi e quindi che i tre di Melfi restano fuori. A questo punto trovo inutili anche le dichiarazioni di Guglielmo Epifani a favore di una ripresa del dialogo con la Fiat. Il segretario della Cgil deve capire che non ha di fronte persone con i nervi alterati, che si tratta solo di ricondurre a un po’ più di tranquillità. La Fiat interpreta un disegno autoritario che colpisce il lavoro e attraverso questo tutta la Costituzione. Non a caso attorno ad essa si sta addensando la stessa cultura e lo stesso mondo politico ed economico che ha sostenuto e sostiene Berlusconi. Nei confronti di questo disegno autoritario non ci deve essere dialogo ma conflitto, anche perché tutte le volte che si danno segnali di disponibilità, dall’altra parte si risponde con arroganza e insulti. Chi vuole distruggere i contratti nazionali e i diritti, chiamando questo patto sociale e nuove relazioni industriali, considera la parola dialogo solo uno strumento per accertare la debolezza di chi ha di fronte.
Per questo la sola risposta a questo attacco senza precedenti ai diritti del lavoro e alla stessa etica, come ha scritto la Cei, è il conflitto. Tutto il resto è ipocrisia.
 

mercoledì 25 agosto 2010

FIAT: Epifani, ringraziamento e apprezzamento per parole Napolitano
“Il presidente della Repubblica mostra ancora una volta grande sensibilità nei confronti del mondo del lavoro” ha dichiarato il Segretario Generale CGIL riferendosi alla puntuale risposta di Napolitano ai tre operai dello stabilimento FIAT di Melfi reintegrati sul posto di lavoro, ma non ammessi dalla azienda alla produzione


Ringraziamento ed apprezzamento, è stato espresso dal Segretario Generale della CGIL Guglielmo Epifani per le parole spese dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in relazione alla vicenda dei tre operai licenziati dalla FIAT Sata di Melfi e poi reintegrati dal giudice sul posto di lavoro che si sono visti negare dall'azienda l'accesso alle 'linee di produzione'. “Il presidente - ha dichiarato Epifani - mostra ancora una volta la sua grande sensibilità nei confronti del mondo del lavoro”.
“Signor presidente, le chiediamo di farci sentire lavoratori, uomini e padri”, a queste parole contenute nella lettera inviata al Quirinale dai tre lavoratori Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, è arrivata puntuale la risposta del presidente della Repubblica: “comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità percepire la retribuzione senza lavorare”. “Il mio vivissimo auspicio, che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - ha sottolineato il presidente della Repubblica - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale”.
Intanto la CGIL continua a ribadire che la sentenza è esecutiva e il Lingotto deve rispettarla, “non c'è nessuno che possa esimersi dal rispettare una sentenza della magistratura con nessuna motivazione e quelle peraltro fornite in questa occasione dalla FIAT sono del tutto pretestuose” ha affermato la Vice Segretaria Generale della CGIL, Susanna Camusso. Per il Segretario Generale della FIOM CGIL, Maurizio Landini la FIAT “con la sua azione vuole sancire una cosa grave, e cioè‚ che nei suoi stabilimenti la legge, lo Statuto dei lavoratori, non si deve più applicare, chiede quasi una extraterritorialità dei suoi stabilimenti”.


di Luciano Gallino
Dinanzi al peggioramento generale delle condizioni di lavoro provocato dalla crisi, (...)
veniva da chiedersi come mai il conflitto di classe non mostrasse segni di ripresa. La spiegazione che si soleva dare era che mancava un soggetto capace di trasformare il malcontento dei lavoratori in appropriate iniziative, diffuse e unitarie, sul fronte politico e sindacale. Da ieri sappiamo che quel soggetto esiste e si dà da fare. Non è una nuova formazione politica: è la Fiat. L´invito a starsene a casa, seppur pagati, trasmesso ai tre lavoratori di Melfi nonostante un giudice ne abbia ordinato il reintegro dopo il licenziamento in tronco con l´accusa di sabotare la produzione, nelle intenzioni dell´azienda voleva essere evidentemente una prova di forza. In gioco ci sono i futuri sviluppi del piano "fabbrica Italia" a Pomigliano e a Mirafiori, non meno che a Melfi. Si tratta invece di una prova di debolezza e di un grave errore.
E´ una prova di debolezza perché una volta presentato il ricorso contro l´ordinanza del giudice, sorretto da una poderosa documentazione, un´azienda che si sentisse forte delle proprie ragioni avrebbe potuto aspettare tranquillamente l´esame in tribunale, invece di accanirsi ancora sugli interessati. Il bisogno di dare subito un´altra lezione all´insieme dei dipendenti, tradisce una disposizione a prendere decisioni precipitose che fa pensare ad un´azienda che non si sta affatto muovendo su un terreno solido. Da parte dell´azienda è anche un errore destinato a diffondere a macchia d´olio le preoccupazioni per il futuro che il piano Fiat pare chiaramente anticipare. Abbandono del contratto nazionale, intensificazione massima delle prestazioni, sindacati nell´angolo, e fuori dalla fabbrica il primo che apre bocca o muove un dito. Piaccia o non piaccia ai giudici del lavoro. Finora i lavoratori hanno sopportato. Senza l´aiuto dei sindacati, bisogna dire, tranne la Fiom . Quando hanno potuto esprimersi liberamente, come nel referendum di Pomigliano, un terzo di loro ha fatto sapere che quel futuro non è accettabile. Grazie ad iniziative tipo lo schiaffo ai reintegrati, quel terzo di dissidenti potrebbe anche diventare la metà o magari i tre quarti. E ovviamente non soltanto negli stabilimenti Fiat.
Il ritorno ad un conflitto di classe che si esprima con gli strumenti della democrazia e però mandi in soffitta l´idea reazionaria che per avere e mantenere un lavoro bisogna sottostare a qualsiasi condizione un´azienda si sogna di imporre perché il mondo è cambiato, la globalizzazione lo esige, la competitività ce lo impone ecc., tutto sommato sarebbe una novità interessante nel deserto della politica italiana. Sarebbe paradossale se un efficace contributo al suo ritorno venisse proprio dall´azienda, la Fiat, che negli ultimi mesi ha fatto di tutto per presentarlo come un residuo arcaico della rivoluzione industriale.

Melfi, W NAPOLITANO W FIOM




         Risposta del Presidente Napolitano ai lavoratori della Fiat Sata di Melfi

C o m u n i c a t o

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha così risposto ai tre lavoratori della Fiat Sata di Melfi: "Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli,
ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi. Anche per quest'ultimo sviluppo della vicenda è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l'Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch'io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate.
Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità "percepire la retribuzione senza lavorare". Il mio vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell'attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell'evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale".
Roma, 24 Agosto 2010


 A CASA, SACCONI-BONANNI-ANGELETTI, LE VERGOGNE DI QUESTO PAESE


Che Marchionne stia allo statuto dei lavoratori come Berlusconi sta alla Costituzione è faccenda ormai acclarata: fine della cortina fumogena che ammantava il brevissimo “nuovo corso” della Fabbrica Italiana di Automobili Torino. E fine dell’illusione che aveva rapito gli estasiati neofiti della ex-sinistra moderata, convinti di avere trovato in Sergio Marchionne il moderno interprete del capitalismo democratico da loro agognato. La madre di tutte le imprese torna dunque ad essere la “zona franca” dove i lavoratori sono soltanto numeri, dove neppure la magistratura può ripristinare diritti violati perché la legge dell’azienda è la sola che conta, la sola davvero legittima. E se quella sancita nelle aule di giustizia vi si oppone vuol dire che si è di fronte ad un’incongruenza da sanare, perché per la Fiat il potere giudiziario dovrebbe aderire, come un guanto, a quello reale, quello che vive nei rapporti sociali dominati dal capitale. La Fiat ritiene di avere, obtorto collo, pagato il suo debito con i lavoratori ingiustamente licenziati corrispondendo loro il salario, ma non riammettendoli al lavoro: una operazione che unisce il mobbing all’attentato alla libertà sindacale. Silenzio tombale del governo complice.
Chi invece non smette di parlare è il capo della Cisl. L’ossessione fobica per la Fiom, vale a dire per un sindacato che non rinuncia a comportarsi come tale, possiede come un demone implacabile Raffaele Bonanni. Il quale ne è a tal punto divorato da non riuscire a pronunciare parole elementari, di solidarietà incondizionata, nei confronti dei lavoratori licenziati dalla Fiat per rappresaglia antisindacale, ma che Marchionne pretende di tenere fuori dai cancelli malgrado la sentenza con cui la magistratura li ha reintegrati nel posto di lavoro. Se un superficiale rimbrotto egli muove alla Fiat è quello di cadere nella trappola tesa dai metalmeccanici della Cgil. In sostanza, di fare di quell’organizzazione una vittima e dunque di rafforzarla.
Un paio di settimane fa avevamo definito il comportamento di Bonanni come un irrefrenabile impulso servile che si manifesta ormai sistematicamente, ora nei confronti del governo, ora di fronte al padrone, anche e proprio quando l’attacco ai lavoratori e ai loro diritti si fa più esplicito e liquidatorio. Un collateralismo tanto sbracato da risultare umoristico, se le conseguenze materiali di un così plateale disarmo non fossero tragiche per l’intero mondo del lavoro dipendente, colpito duramente dalla crisi, da una politica governativa incapace di pensare una benché minima risposta e da una aggressività padronale che non trova efficace contrasto, né politico né sociale. A meno che non ci si accontenti del profluvio di dichiarazioni, deboli anch’esse, che nutrono la stampa, senza lasciare alcun segno di sé. Anche Guglielmo Epifani, sia pure dopo avere condannato la protervia di corso Marconi, finisce per accodarsi al refrain di una Fiom chiusa a riccio e refrattaria a confrontarsi su orari, turni e organizzazione del lavoro. Cosa manifestamente non vera, come Maurizio Landini ha ampiamente spiegato, anche sulle colonne di questo giornale. Sempre che costituzione e contratto collettivo di lavoro non siano considerati merce barattabile.
Il fatto è che oggi la rappresentanza sindacale non è frutto di una competizione democratica, dove il voto dei lavoratori decida in modo trasparente il peso di ciascuna forza e ne legittimi il ruolo negoziale. La rappresentanza oggi è solo presunta. Peggio: essa è decisa dalla controparte che sceglie a suo gusto l’interlocutore più malleabile con cui trattare e concludere intese, scrupolosamente sottratte al giudizio vincolante degli interessati. Mai si è dato, in democrazia, un così plateale esproprio di sovranità. Oggi, la Cisl, la Uil, trasformatesi in sindacati di comodo, esercitano una rendita di posizione, una delega padronale al sottogoverno delle aziende in quel simulacro a cui è stato ridotto il confronto fra le parti sociali. Siamo tornati agli anni Cinquanta. Con una differenza. Che allora vi era sulla scena sociale una Cgil non prona ed una sinistra politica combattiva, dichiaratamente e fattivamente al fianco dei lavoratori, sicuramente affrancata da suggestioni interclassiste e non permeata dalla cultura liberista.
Con tutta evidenza, la crisi politica, in incubazione da tempo, precipiterà in autunno. Più per autocombustione della maggioranza che per il ruolo evanescente delle opposizioni che siedono in Parlamento. Sarà un bene se la sinistra che ne sta fuori troverà il modo di giocare un proprio ruolo autonomo, nella formazione degli schieramenti elettorali, nella proposta, nel progetto. E, ancor più importante, se la mobilitazione lanciata dalla Fiom per la metà di ottobre saprà raccogliere intorno a sé un arcipelago sociale da troppo tempo rattrappito e confuso. Per distribuire alla politica nuove carte, rispetto a quelle consunte con cui si celebrano i giochi dentro il palazzo.

martedì 24 agosto 2010

GRAZIE AI TRE OPERAI DI MELFI di Giorgio Cremaschi

Marchionne rifiuta di applicare l’ordinanza del giudice. 
Nell’Italia di Berlusconi questo non dovrebbe fare scandalo e invece, per fortuna, un po’ lo fa. Forse perché da un lato c’è l’assoluta arroganza della Fiat, che rivendica sfacciatamente l’extraterritorialità delle sue aziende, ma dall’altro ci sono tre operai che semplicemente chiedono di poter lavorare. Di non essere semplicemente pagati per stare a casa. La Fiat non riesce mai a capire il concetto di dignità. Non è la sola. 
Nell’Italia di oggi trova vasto consenso chi considera questa parola vecchia e inutile e sempre monetizzabile. Alla Fiat di Melfi, però, ci sono tre operai che, contro tutti i loro interessi immediati, decidono di sfidare la Fiat perché vogliono lavorare e non essere pagati gratis dall’azienda. E’ questo l’atto eversivo che sconvolge il regime dei padroni che la Fiat è riuscita a imporre in Italia. Naturalmente non durerà molto. (...)
Marchionne ritroverà rapidamente tutti gli amici che lo hanno criticato. Bonanni che, stando dalla parte dell’azienda, gli ha solo detto di non esagerare per non favorire il nemico comune, la Fiom. Il Ministro Sacconi, che neppure questa volta ha trovato il coraggio istituzionale di dire che la sentenza va rispettata, dimostrando una libidine di servitù verso l’azienda che non ha precedenti nel suo ministero. E naturalmente torneranno da Marchionne  i tanti commentatori, politici, economisti, e continueranno a spiegare che lui, sì, sarà anche magari un po’ duro, ma intanto ha salvato la Fiat e dà lavoro. E’ l’Italia di oggi, che precipita nella crisi senza essere in grado di riconoscere le vere responsabilità di essa, salvo nel confuso e indisponente teatrino della politica. E’ l’Italia di oggi dove, anche a sinistra, si può considerare una scelta intelligente il contratto dell’auto, quando oramai è chiaro a tutti che serve solo a stabilire che per lavoratori della Fiat oggi, per tutti gli altri domani, non sono più in vigore le leggi e la Costituzione della Repubblica. 
Nell’Italia che precipita verso la crisi, Marchionne che pratica gli slogan di Berlusconi contro la Magistratura e il diritto, può avere un certo successo. Ma intanto, in questi giorni, tre operai, forti della sola loro dignità, hanno svelato la vera faccia dell’amministratore delegato della Fiat. Per questo dobbiamo ringraziarli.

giovedì 12 agosto 2010


La RSU FIOM CNH 
  Augura BUONE FERIE a tutti i lavoratori dello stab. di Jesi

Le pubblicazioni riprenderanno il 23 agosto

Il repellente servilismo filopadronale di Raffaele Bonanni

 La decisione con la quale il giudice del lavoro di Melfi ha reintegrato i tre lavoratori che la Fiat aveva cacciato per avere organizzato uno sciopero è un atto di giustizia di grande rilevanza per almeno due ragioni. In primo luogo perché spazza via l’equazione infamante in base alla quale Marchionne - col sostegno attivo di Emma Marcegaglia e Maurizio Sacconi, vale a dire della Confindustria e del Governo - ha cercato di assimilare una lotta sindacale ad un atto di sabotaggio. Non sarà sfuggito il sincronismo con cui la Fiat - che non fa mai nulla a caso - aveva assunto analoghi provvedimenti a carico di lavoratori di Termoli e di Mirafiori, nell’intento di scoraggiare sul nascere qualsiasi manifestazione di dissenso in qualsivoglia forma espressa. C’è ora da augurarsi che anche gli altri ricorsi presentati dalla Fiom siano premiati da analogo successo e che la martellante azione antisindacale scatenata dall’azienda di corso Marconi continui a trovare un contrasto efficace, almeno nelle sentenze che la magistratura pronuncia nel nome del popolo italiano, visto che non è concesso riporre speranze in un’opposizione parlamentare sino a ieri sedotta dai giochi di prestigio dell’amministratore delegato della Fiat.
Il secondo motivo di soddisfazione riguarda il fatto che lo statuto dei lavoratori, la più importante delle leggi sul lavoro, una delle poche sopravvissute alla devastante controriforma politica di questi anni, continua a produrre la sua efficacia e corrobora gli sforzi impegnati dai lavoratori per impedirne la manomissione ed estenderne il campo d’applicazione.
Chi invece mastica amaro per l’esito giudiziario di questa vicenda è Raffaele Bonanni, il quale va spiegando ai quattro venti che sì, la Fiat ha forse sbagliato, ma soltanto perché ha voluto replicare con eccesso di zelo all’estremismo conflittuale della Fiom, vera responsabile del clima che sta avvelenando i rapporti sociali in Italia. Dunque, secondo questo sedicente sindacalista, i lavoratori che a Melfi scioperarono - si badi, unitariamente - per contrastare l’intensificazione unilaterale dei ritmi di lavoro imposta dall’azienda mentre altri lavoratori della medesima erano collocati in cassa integrazione, stavano compiendo un gesto estremistico, causa vera e sostanziale della reazione un po’ esagerata, ma in fondo comprensibile, del padrone. Ecco una manifestazione di repellente servilismo che i lavoratori, anche quelli iscritti alla Cisl, sapranno ben valutare.

UNA BOCCATA D'OSSIGENO

Loris Campetti
 Il comportamento della Fiat di Sergio Marchionne è antisindacale. A dirlo non è più soltanto la Fiom, con noi del manifesto e pochi altri nello scenario politico e, ahinoi, sindacale italiano, ottenebrato dalla subalternità a un'idea del progresso e del mercato che per farsi strada ha bisogno di cancellare leggi, diritti e Costituzione. Il giudice del lavoro di Potenza ha annullato i tre licenziamenti fatti dalla Fiat a Melfi, condannando l'azienda per il suo comportamento antisindacale nei confronti della Fiom e ordinando l'immediato reintegro di un operaio e due delegati. È una vittoria di straordinaria importanza per i lavoratori e per la Fiom che ha intentato causa, ma è anche una boccata d'ossigeno per la nostra sanguinante democrazia perché ribadisce che in Italia il diritto di sciopero è tutelato per legge, e condanna chi tenta di impedirlo con il ricatto e la repressione. È una sentenza tanto più importante in quanto alla prepotenza della Fiat, che pretende di dettare ordini a operai, sindacati e Confindustria, si affianca un'azione governativa tesa a demolire la Costituzione formale e quella materiale del paese.
I tre operai erano accusati dagli uomini di Marchionne di aver bloccato un carrello automatizzato nel corso di uno sciopero, impedendo così ad altri operai più «virtuosi» di lavorare. Sono volate parole grosse, fino all'accusa insensata di sabotaggio della produzione fatta propria da qualche solerte ministro, dalla cupola di Confindustria e persino da dirigenti sindacali di massimo livello. Ora costoro dovrebbero chiedere scusa agli operai reintegrati dal giudice.
O forse accuseranno quel giudice di essere un comunista, o un sabotatore? Siamo al paradosso che a essere considerati illegali non sono coloro che violano le leggi, ma chi ne pretende il rispetto. Chi non accetta lo scambio tra diritti e lavoro e per questo sciopera è vilipeso dai vertici della Fim e della Uilm, persino nel commento alla sentenza di ieri, di essere almeno corresponsabile della Fiat, in base alla teoria degli opposti estremismi. Infine c'è chi, persino nello schieramento democratico, condanna il ricorso alla magistratura per conflitti sul lavoro e teorizza, in sintonia con il governo, l'esclusività del confronto tra le parti senza impicci e terzi incomodi. Cioè senza leggi e giudici tra i piedi. Dovremmo chiederci cosa ne è, oggi, delle forze democratiche se l'unica tutela dei lavoratori dev'essere cercata in magistratura. Melfi oggi è in festa, per la seconda volta. La prima vittoria contro la prepotenza padronale gli operai lucani - e la solita Fiom «estremista» - l'avevano conquistata sul campo qualche anno fa con una lotta durata 21 giorni. La seconda è arrivata dalla legge e dalla Costituzione. Teniamoci cara l'una e l'altra, e teniamoci cari gli operai.

martedì 10 agosto 2010




 Melfi, reintegrati gli operai licenziati
Il giudice: "Provvedimento antisindacale"

 

Melfi, i 3 operai: «fine di un inferno, grazie Fiom»

Annullata la decisione dell'azienda nei confronti dei tre dipendenti "espulsi" perché, durante un corteo interno, bloccarono un carrello robotizzato. La Fiom: "La sentenza conferma che si voleva solo dare una lezione a chi protesta"



POTENZA - Erano stati sospesi l'8 luglio poi licenziati il 13 e il 14 dello stesso mese 1. Un giudice del lavoro ha deciso che possono tornare a lavoro. I tre operai dello stabilimento Fiat di Melfi, in provincia di Potenza (due dei quali delegato Fiom) hanno vinto la loro battaglia. Il giudice ha annullato il provvedimento ritenendolo "antisindacale" e ha ordinato il loro immediato reintegro nelle rispettive mansioni professionali.

Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino (entrambi delegati Fiom) e Marco Pignatelli furono licenziati perché durante un corteo interno bloccarono un carrello robotizzato che portava materiale a operai che invece lavoravano regolarmente. Ai licenziamenti seguirono scioperi, proteste e una manifestazione della Fiom: i tre occuparono per alcuni giorni il tetto della Porta Venosina, monumento nel centro storico di Melfi.

Secondo il segretario regionale Fiom Basilicata, Emanuele De Nicola, "la sentenza indica che ci fu da parte della Fiat la volontà di reprimere le lotte a Pomigliano d'Arco e a Melfi e di 'dare una lezione' alla Fiom". No comment dal Lingotto, che ha fatto sapere soltanto di attendere la notifica del provvedimento. Che, ancora secondo De Nicola, "dimostra che le lotte democratiche dei lavoratori non hanno nulla in comune con il sabotaggio, un teorema che è stato di nuovo smontato e ci aspettiamo le scuse di quanti vi hanno fatto riferimento, dalle personalità istituzionali ai rappresentanti degli imprenditori. Speriamo - conclude - che Fiat torni al tavolo per discutere di temi che stanno a cuore ai lavoratori, a cominciare dai diritti e dai carichi di lavoro".

Maurizio Landini, segretario generale Fiom parla di "grande vittoria" che dimostra come dall'azienda ci siano state solo "forzature" e come il tentativo di isolare le tute blu Cgil sia fallito. E sollecita il Lingotto a riaprire un "confronto alla pari" anche con la Fiom. La sentenza è motivo di soddisfazione "innanzi tutto per aver ripristinato la dignità dei tre lavoratori coinvolti che vedono il loro reintegro e la clamorosa smentita di tutte le accuse stupide di sabotaggio". E perché dimostra che "il tentativo di mettere in un angolo la Fiom anche con questi licenziamenti non solo è inutile ma anche dannoso in quanto per affrontare la pesantissima crisi che investe anche il settore dell'auto c'è bisogno del consenso di tutte le organizzazioni sindacali".

Per Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom Cgil, il provvedimento dimostra che Fiat "sta agendo in violazione delle leggi e dei contratti e a questo punto è chiaro che la linea deve cambiare visto che, per fortuna, l'ordinamento costituzionale italiano è ancora in vigore. A tutti coloro che hanno supinamente sposato le posizioni dell'azienda è rivolto l'invito a cambiare posizione". In particolare, secondo Cremaschi, "sarebbe un fatto di buon gusto se il ministro Sacconi, la presidente di Confindustria Marcegaglia e il segretario Cisl Bonanni chiedessero scusa per le dichiarazioni ai lavoratori licenziati che oggi vengono reintegrati".