Il repellente servilismo filopadronale di Raffaele Bonanni
La decisione con la quale il giudice del lavoro di Melfi ha reintegrato i tre lavoratori che la Fiat aveva cacciato per avere organizzato uno sciopero è un atto di giustizia di grande rilevanza per almeno due ragioni. In primo luogo perché spazza via l’equazione infamante in base alla quale Marchionne - col sostegno attivo di Emma Marcegaglia e Maurizio Sacconi, vale a dire della Confindustria e del Governo - ha cercato di assimilare una lotta sindacale ad un atto di sabotaggio. Non sarà sfuggito il sincronismo con cui la Fiat - che non fa mai nulla a caso - aveva assunto analoghi provvedimenti a carico di lavoratori di Termoli e di Mirafiori, nell’intento di scoraggiare sul nascere qualsiasi manifestazione di dissenso in qualsivoglia forma espressa. C’è ora da augurarsi che anche gli altri ricorsi presentati dalla Fiom siano premiati da analogo successo e che la martellante azione antisindacale scatenata dall’azienda di corso Marconi continui a trovare un contrasto efficace, almeno nelle sentenze che la magistratura pronuncia nel nome del popolo italiano, visto che non è concesso riporre speranze in un’opposizione parlamentare sino a ieri sedotta dai giochi di prestigio dell’amministratore delegato della Fiat.
Il secondo motivo di soddisfazione riguarda il fatto che lo statuto dei lavoratori, la più importante delle leggi sul lavoro, una delle poche sopravvissute alla devastante controriforma politica di questi anni, continua a produrre la sua efficacia e corrobora gli sforzi impegnati dai lavoratori per impedirne la manomissione ed estenderne il campo d’applicazione.
Chi invece mastica amaro per l’esito giudiziario di questa vicenda è Raffaele Bonanni, il quale va spiegando ai quattro venti che sì, la Fiat ha forse sbagliato, ma soltanto perché ha voluto replicare con eccesso di zelo all’estremismo conflittuale della Fiom, vera responsabile del clima che sta avvelenando i rapporti sociali in Italia. Dunque, secondo questo sedicente sindacalista, i lavoratori che a Melfi scioperarono - si badi, unitariamente - per contrastare l’intensificazione unilaterale dei ritmi di lavoro imposta dall’azienda mentre altri lavoratori della medesima erano collocati in cassa integrazione, stavano compiendo un gesto estremistico, causa vera e sostanziale della reazione un po’ esagerata, ma in fondo comprensibile, del padrone. Ecco una manifestazione di repellente servilismo che i lavoratori, anche quelli iscritti alla Cisl, sapranno ben valutare.
Il secondo motivo di soddisfazione riguarda il fatto che lo statuto dei lavoratori, la più importante delle leggi sul lavoro, una delle poche sopravvissute alla devastante controriforma politica di questi anni, continua a produrre la sua efficacia e corrobora gli sforzi impegnati dai lavoratori per impedirne la manomissione ed estenderne il campo d’applicazione.
Chi invece mastica amaro per l’esito giudiziario di questa vicenda è Raffaele Bonanni, il quale va spiegando ai quattro venti che sì, la Fiat ha forse sbagliato, ma soltanto perché ha voluto replicare con eccesso di zelo all’estremismo conflittuale della Fiom, vera responsabile del clima che sta avvelenando i rapporti sociali in Italia. Dunque, secondo questo sedicente sindacalista, i lavoratori che a Melfi scioperarono - si badi, unitariamente - per contrastare l’intensificazione unilaterale dei ritmi di lavoro imposta dall’azienda mentre altri lavoratori della medesima erano collocati in cassa integrazione, stavano compiendo un gesto estremistico, causa vera e sostanziale della reazione un po’ esagerata, ma in fondo comprensibile, del padrone. Ecco una manifestazione di repellente servilismo che i lavoratori, anche quelli iscritti alla Cisl, sapranno ben valutare.
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