Pagine

martedì 29 giugno 2010

Pomigliano non vola Alitalia


di Giorgio Cremaschi.

Dopo il fallimento del plebiscito la diplomazia dei pasticci si è messa in moto. La Fiat in questo momento manda messaggi contraddittori e ambigui, ma è chiaro che non può certo annunciare di aver cambiato idea e di mantenere le produzioni in Polonia. Si sta quindi cercando di costruire un’operazione che, senza cambiare nulla dell’accordo respinto dalla Fiom e che ha raccolto un così vasto dissenso tra i lavoratori, salvi la faccia. A chi? Alla Fiat, prima di tutto che, attraverso un protocollo aggiuntivo, che confonderebbe quello che è così chiaro purtroppo, nel testo, e cioè che si superano leggi, Contratti e Costituzione, dovrebbe permetterebbe anche l’adesione della Cgil. (...)

Così questa operazione viene presentata non come una via d’uscita dal tunnel dell’arroganza di Marchionne, ma come una gentilezza e un’apertura verso la Cgil, che in questo modo riuscirebbe a liberarsi dell’estremismo della Fiom. Tutto questo modo di procedere è solo il segno della crisi del sistema delle relazioni sindacali in Italia che, non a caso, accompagna la crisi industriale. Questi mezzucci vengono utilizzati dopo che si è detto a mari e monti che l’accordo di Pomigliano era un precedente che, finalmente, metteva in discussione la rigidità del Contratto nazionale e dello Statuto dei lavoratori. Il ministro Sacconi prima ha parlato di svolta storica, come per il referendum sulla scala mobile, e poi adesso minimizza dicendo che Pomigliano è un caso eccezionale. Più o meno lo stesso fa il suo partner Bonanni.

Il 1° luglio a Pomigliano si riuniranno delegati della Fiom della Fiat, del Mezzogiorno, dei grandi gruppi, per dare una prima risposta politica meditata a quanto sta avvenendo. E’ chiaro che l’enormità dell’attacco al Contratto e ai diritti, che si vuol far passare, attraverso il ricatto occupazionale su Pomigliano, ha in qualche modo frenato l’operazione e ne ha rivelato la brutalità. Ora bisogna reggere. E’ necessario estendere il movimento di difesa del Contratto e dei diritti e, grazie alla dignità mostrata dai lavoratori di Pomigliano, dire in tutte le sedi, con il massimo della chiarezza, che al ricatto occupazione-diritti, si risponde e si risponderà sempre di no. Pomigliano non vola Alitalia.


Roma, 28 giugno 2010

lunedì 28 giugno 2010

FIAT FABBRICA ITALIA

domenica 27 giugno 2010

LA LORO MORALE E LA NOSTRA di Marco Revelli





Quella di Pomigliano è stata davvero una grande lezione. Una lezione politica, sociale, e anche – lo so che il termine oggi appare desueto, e lo si pronuncia con un certo pudore come con le parole sconvenienti – morale.
L’accordo imposto dalla Fiat era, in modo fin troppo esplicito, una proposta indecente. I suoi contenuti prefiguravano una condizione di lavoro servile, nel senso tecnico del termine, pre-moderna, comunque estranea alla stessa «modernità industriale» e incompatibile con il nostro quadro costituzionale: un lavoro senza diritti né soggettività, esposto al nudo potere materiale e discrezionale dell’impresa, in una condizione di extra-territorialità giuridica che fa della fabbrica un luogo separato com’erano nel medioevo le pertinenze ecclesiastiche. E tuttavia era tremendamente difficile dire di no. Difficile per il sindacato, posto di fronte al dilemma mortale tra rifiutare, riaffermando il proprio ruolo ma rischiando di perdere il contesto in cui esercitarlo, o subire, e cancellare così il senso stesso del proprio esistere come sindacato. E ancor più difficile per gli operai, da mesi col salario falcidiato dalla Cassa integrazione e posti di fronte alla prospettiva del nulla in un’area come quella napoletana già afflitta da un livello di povertà endemica. Eppure il plebiscito non c’è stato. E il messaggio che viene da quella fabbrica che in tanti avevano disprezzato – considerandone i lavoratori come una massa di pezzenti alla disperazione, pronti a tutto pur di conservare il misero salario, o un’accolita di lazzaroni turco-napoletani, assenteisti e furbacchioni – è una sintesi di realismo, d’intelligenza e dignità.
Quel rapporto non previsto da (quasi) tutti, di 60 a 40; quell’equilibrio inatteso tra i «sì» della paura e i «no» dell’orgoglio, dice che quella fabbrica, che gli «operai di Pomigliano» – tutti, presi nel loro insieme di «comunità operaia» – subiscono il ricatto di Marchionne, ma non vi aderiscono «anima e corpo». Lo subiscono col corpo, che «pesa», appunto, e fa piegare la bilancia verso il sì (con realismo, potremmo dire). Ma non gli cedono anche l’anima. Non concedono allo strapotere del più forte la soddisfazione impietosa di un consenso servile che li umilierebbe e li priverebbe di ogni autonoma volontà. Si piegano, perché il rapporto di forza non consente alternative, ma mantenendo il rispetto di sé (con dignità, appunto).
Forse non ci siamo interrogati abbastanza su quei 1673 NO. Su quanto deve essere stato difficile – e drammatico – per ognuno di quegli operai e operaie, decidere, contro se stessi e, apparentemente, contro tutti. Mettere in gioco le proprie esistenze, il proprio futuro, il proprio reddito, le proprie famiglie. Uscire dalla particolarità del proprio calcolo individuale, che avrebbe suggerito l’eterno primum vivere, e porsi da un punto di vista «generale». Rappresentarsi come comunità di lavoro, in un mondo in cui tutto sembra disfarsi, ogni aggregato slegarsi, ogni identità collettiva dissolversi. Senza più rappresentanza politica alle spalle. Né appartenenza ideologica. Né cultura condivisa. In fondo che cos’è un articolo della nostra Costituzione di fronte al rischio di miseria per la propria famiglia? Che vale la difesa del contratto nazionale di fronte alla minaccia concreta della scomparsa della propria fabbrica e del proprio salario? E che cosa costa, d’altra parte, un piccolo compromesso con se stessi? Un minuscolo gesto di sottomissione – il segno su una scheda – se serve per garantirsi un sia pur stentato futuro di lavoro (e magari la possibilità di rimettere tutto in discussione, una volta «passata ‘a nuttata»)? Il nudo calcolo di utilità (individuale) non avrebbe lasciato margini d’incertezza.
E infatti per la stragrande maggioranza degli «attori pubblici» – politici, opinion leader, imprenditori e intrattenitori – quel voto e quel comportamento è risultato del tutto incomprensibile. Per (quasi) tutti quelli che stanno «in alto» (e anche per molti che stanno «in mezzo» e persino per qualcuno che dovrebbe esser vicino a chi sta «sotto») gli operai di Pomigliano sono apparsi dei pazzi. Pericolosi incoscienti. Nella migliore delle ipotesi degli irresponsabili verso sé e verso gli altri. Per l’Italia che conta, l’«agire orientato a valori» – per usare un’espressione weberiana – sta fuori dal mondo: «Ancora una volta constatiamo che c’è un sindacato e anche una parte dei lavoratori, che non comprendono le sfide che hanno davanti», ha dichiarato Emma Marcegaglia. E ha rivelato così l’immenso vuoto morale che caratterizza il mondo imprenditoriale italiano. L’assoluta incomprensione dell’importanza del fattore etico in politica e in economia, destinata a produrre catastrofiche cadute politiche (una borghesia che accetta un Brancher fatto ministro solo per sfuggire ai giudici è una borghesia che vale davvero poco). E anche clamorosi errori imprenditoriali, come quello di chi consiglia o si propone di «lavorare» a Pomigliano solo con gli autori del «sì» considerandoli più affidabili e non accorgendosi che di un uomo disposto a difendere la propria dignità a costo di sacrifici, di uno capace di tenere «la testa alta», ci si può fidare ben di più, dal punto di vista professionale, che di chi finge di condividere un ricatto (come ha magistralmente scritto Ermanno Rea).
È questo, lo si vede bene oggi, il grande deficit culturale dell’imprenditoria contemporanea: questa sottovalutazione del senso morale nell’agire individuale e soprattutto collettivo, per ridurre tutto a «calcolo di utilità» personale. Questo disprezzo cinico e sistematico di ciò che offre un punto di vista condiviso al di là del puro «utile personale». E che produce, per questo, visione del bene comune e appartenenza. Rispetto di sé come condizione del rispetto degli altri (le basi, insomma, di quella «modernità industriale» che a Pomigliano si vorrebbe cancellare). Non è fenomeno solo italiano. È la verità del capitalismo contemporaneo nell’epoca della globalizzazione, ridotto al suo nudo hard core materiale del conto profitti e perdite. Privo dell’orizzonte valoriale che aveva animato, in qualche misura, la fase aurorale della borghesia: di quell’Etica del capitalismo di cui scrisse Max Weber, e che permise ai suoi protagonisti di aspirare a una qualche egemonia nell’orizzonte della modernità. Un capitalismo, ormai, risolto senza residui nella quotidiana struggle for life, senza promesse di emancipazione e senza virtù per nessuno. Semplice ostentazione di un rapporto di forza che si misura sul successo effimero e quotidiano e valuta gli uomini col peso falso delle cose. Un capitalismo da ère du vide di cui la crisi fa emergere la «verità», nei suoi aut aut tanto assoluti quanto inerti: nell’imperiosità di quel suo «prendere o lasciare», quando ciò che si prende o si lascia è solo la traccia di una nuova servitù… Il nichilismo compiuto della «società del fare».
È toccato al povero Marchionne, nonostante i suoi maglioncini casual e le sue scarpe da tennis, la sua aria da nomade cosmopolitico e il suo linguaggio da liberal anglosassone, diventare l’emblema di questo capitalismo del crepuscolo, non più animato dall’etica dell’imprenditore «produttore» (in qualche misura simile all’«etica del lavoro» del suo antagonista sociale simmetrico, l’operaio-produttore), ma segnato dal vuoto dell’anima dell’epoca del consumo e dell’ipercompetitività transnazionale, dove gli uomini e il tempo perdono di spessore, e finiscono per essere «consumati» essi stessi da un’impresa fattasi fine a se stessa.
Quelli di Pomigliano no. In un paese in cui abbondano «i mezzi uomini e i quaqquaraquà» (per dirla con Sciascia) hanno dimostrato che esistono ancora degli uomini. Che tra servi e padroni – tra la moltitudine dei servi che occupa il nostro paese e il castelletto dei padroni/predoni che lo depreda – ci sono ancora delle «persone». E hanno aperto una breccia simbolica incalcolabile. Immaginiamo che cosa sarebbe oggi l’Italia se una fabbrica-simbolo come Pomigliano avesse sancito plebiscitariamente la resa senza condizione a quella logica servile. Se non ci fosse stato quel segno di dignità che, coriaceo, resiste. E parla a tutti. D’altra parte, non fu proprio Giambattista Vico – da cui lo stabilimento di Pomigliano, con involontario paradosso, prende il nome – a celebrare «l’origine della nobiltà vera, che naturalmente nasce dall’esercizio delle morali virtù; e l’origine del vero eroismo, ch’è domar superbi e soccorrere a’ pericolanti»…?

venerdì 25 giugno 2010

IL DOVERE DI SCIOPERO di Galapagos

Governo e stampa amica hanno definito quello di oggi uno sciopero «politico» o anche «ideologico»; nel migliore dei casi «inutile». Certo lo sciopero è politico, con l'obiettivo di riuscire a modificare la politica economica; ideologico, ma contro l'ideologia dominante che affossa i diritti, piegando anche la Costituzione. In ballo c'è anche Pomigliano: i diritti non sono ideologia, condizionano la vita delle persone: è in gioco la civiltà del lavoro (e le conquiste frutto di oltre un secolo di lotte) che si vuole ricondurre alle regole dei paesi sottosviluppati, nei quali, appunto, non ci sono diritti. In queste condizioni scioperare non è solo un diritto ma un dovere. Ma l'accusa più falsa è che sia inutile
I nuovi dati macroeconomici diffusi ieri dalla Confindustria, dall'Istat e dalle Corte dei conti lo dimostrano. Siamo fuori dalla recessione, testimonia il Centro studi Confindustria. Ma che ripresa è? In due anni il Pil è diminuito di circa il 6,5%. L'Italia ha fatto un balzo indietro - per quanto riguarda la ricchezza prodotta e distribuita, siamo tornati all'inizio del 2000, dice Bankitalia. La Confindustria sostiene che quest'anno il Pil crescerà dell'1,2% e nel 2011 dell'1,6%. Il totale dà come risultato un 3% scarso, meno della metà della ricchezza distrutta nel 2008/2009. La stessa Confindustria ci fa sapere che questa è una ripresa senza occupazione: negli ultimi due anni sono stati distrutti 528 mila posti di lavoro e altri saranno cancellati. Insomma, la disoccupazione sta aumentando e i senza lavoro, ha calcolato l'Istat per il primo trimestre dell'anno, sono quasi 2,3 milioni con un tasso di disoccupazione del 9,1%. E, come al solito, a perdere posti seguita a essere il Mezzogiorno.
La Corte dei conti teme che la manovra correttiva possa condurre a una minore crescita, a un Pil più esile. E, quindi, a minori entrate fiscali, costringendo il governo a nuove manovre correttive per tentare di non perdere la bussola dei conti pubblici. Se questi dati non bastassero per definire utile la protesta di oggi, ne aggungiamo un altro della Confindustria: l'evasione fiscale è pari a 124 miliardi di euro, una cifra che risulta cinque volte superiore alla manovra imposta da Tremonti e almeno il triplo dell'evasione in altri paesi sviluppati.
In Italia ci sono due questioni nazionali: l'evasione fiscale (dalla quale deriva anche un problema di equità nella distribuzione dei redditi, visto che c'è chi può evadere e chi no, cioè i lavortatori dipendenti) e il Mezzogiorno. Due problemi enormi che vanno risolti, ma dei quali non c'è traccia nella manovra di Tremonti. Che anzi sottrae risorse (i fondi Fas) alle aree che necessitirebbero di vedere accesciuto l'impegno finanziario per far decollare uno sviluppo che trainerebbe anche la crescita delle regioni ricche. L'anima della manovra tremontiana è tutta nel blocco delle retribuzioni del pubblico impiego, nel taglio dei fondi ai comuni e alle regioni (complessivamente quasi 13 miliardi di euro) e nel rinvio del pensionamento, per la chiusura delle finestre, che frutterà altri 6,5 miliardi. Ma che manovra è?



giovedì 24 giugno 2010

Il testo della conferenza stampa del segretario generale della Fiom Maurizio Landini del 23 giugno

CREMASCHI:FALLITO IL PLEBISCITO FIAT A POMIGLIANO

A Pomigliano il plebiscito e' fallito. Più del 40% degli operai, quelli che devono faticare in turni crescenti e pause calanti, ha detto no. Nonostante il clima di intimidazione ed il ricatto. E' un fatto clamoroso che conferma il valore della scelta della Fiom di non firmare. Ora è più forte la difesa del Contratto nazionale, dei diritti e della Costituzione. Il coraggio dei tanti operai che hanno rifiutato il ricatto Fiat si trasmette a noi e a tutto il mondo del lavoro per continuare.
Il diritto al lavoro e i diritti del lavoro non possono, non devono essere posti in alternativa tra loro.

mercoledì 23 giugno 2010

Fiom. Giovedì 1° luglio Assemblea nazionale per il lavoro, i diritti e la democrazia a Pomigliano d’Arco

La Fiom-Cgil ha convocato a Pomigliano d’Arco un’Assemblea nazionale per il lavoro, per i diritti, per la democrazia. All’Assemblea, che si terrà giovedì 1° luglio 2010, parteciperanno le delegate e i delegati del gruppo Fiat, dei grandi gruppi industriali metalmeccanici e delle aziende metalmeccaniche del Mezzogiorno.

23 giugno 2010: Conferenza stampa Fiom su Fiat Pomigliano

martedì 22 giugno 2010

LA CATASTROFE DEL LAVORO di Adriano Sofri


Se esistesse oggi un'Internazionale dei lavoratori, dovrebbe ammettere una catastrofe simile a quella che travolse la Seconda Internazionale nel 1914, quando le sue sezioni nazionali aderirono al patriottismo bellico, e i solenni principii andarono a farsi benedire. L'Internazionale non esiste e la crisi finanziaria ed economica non è (per ora) una guerra armata. La Seconda Internazionale era stata largamente partecipe dei pregiudizi e delle convenienze colonialiste: differenza minore, dal momento che lavoratori e sindacati dei paesi ricchi si sono guardati finora dall'affrontare il colossale divario con la condizione del proletariato dei paesi poveri. 

La crisi, restituendo agli Stati un più forte intervento economico - senza per questo ridurre la sovranità delle grandi multinazionali - sospinge il lavoro salariato verso un rinnovato "sacro egoismo". Pomigliano ha reso clamorosa questa condizione. La Cina è vicina, e gli scioperi della Honda o della taiwanese Foxconn (e i suicidi operai) mettono in vetrina l'andamento da vasi comunicanti che Scalfari ha qui illustrato: gli operai cinesi rivendicano salari meno infimi e condizioni di lavoro meno infami e gli operai occidentali diventano più cinesi. Il punto però è che la nuova Panda ha messo in concorrenza diretta lavoratori italiani e lavoratori polacchi, cioè di due paesi dell'Unione Europea. E anche se una rilocalizzazione italiana dall'est europeo è inedita, come vanta Marchionne, è vero però che da anni la minaccia di trasferire la produzione in Ungheria o in Romania è valsa a far accettare nell'industria occidentale sacrifici di lavoro e salario non molto dissimili da quelli che si impongono a Pomigliano.

In Germania, la difesa dell'occupazione è costata, ben prima della crisi finanziaria, un forte allungamento dell'orario di lavoro a parità di salario - alla Opel da 38 a 47 ore! A Bochum, nel 2004, si trattò proprio di sventare il trasferimento in Polonia. In Francia le 35 ore erano legge, e sono un ricordo imbarazzato. Oggi, alla Opel, saturati i tempi, gli operai cedono - agli investimenti aziendali, a fondo perduto - una metà di tredicesima e quattordicesima, un mese di salario. Il ritorno a un protezionismo "nazionale" fu vistoso con il prestito offerto dalla Merkel alla Magna in cambio della salvaguardia dell'occupazione tedesca, violando le regole europee sulla concorrenza. Ma si tratta di una tendenza generale, di cui gli incentivi governativi alla Fiat furono un capitolo ingente. Sarebbe interessante sapere in quante fabbriche italiane (Fiat inclusa) condizioni di lavoro largamente simili a quelle imposte a Pomigliano sono già in vigore.

Se dunque non c'è una capacità, e neanche una vera volontà - a parte la lettera "di bandiera" di un gruppo di operai di Tichy - di animare una solidarietà europea, tanto meno ci si attenterà a immaginare una simpatia e un legame fra gli operai di Pomigliano e di Tichy e gli scioperanti e i suicidi di Shenzhen, i quali per giunta fabbricano (sono 400 mila solo alla Foxconn) componenti elettroniche per il mondo intero, e non un prodotto esausto come l'auto, sia pure la nuova Panda. Nel momento in cui accentua la sua internazionalizzazione, la Fiat "nazionalizza" gli operai di Pomigliano, con un ultimatum prepotente perfino nel tono. A sua volta, in un gioco delle parti di cui non è affatto detto che sia voluto - che Sacconi e Marchionne siano in combutta: anzi - il governo prende la sfida della Fiat a pretesto per l'abolizione dei contratti nazionali, la liquidazione simbolica della Costituzione, la sostituzione dei "lavori" ai lavoratori, delle cose alle persone. (L'autocertificazione per cui oggi si pretende di rifare la Costituzione, veniva garantita dal Capezzone quondam radicale in un progettino dal titolo "Sette giorni per aprire un'impresa"). 

La famigerata "anomalia" di Pomigliano è perciò largamente pretestuosa: serve a far passare per una cruna il cammello del conflitto sociale e dei diritti sindacali. Un precedente prossimo c'è, ed è l'Alitalia: anche lì era facile trovare le anomalie, e fare piazza pulita delle norme. Pomigliano è "anomala" dalla fondazione, come ha raccontato Alberto Statera, con la sua combinazione fra una maggioranza di operai venuti dalla campagna e da assunzioni clientelari, e una minoranza di reduci da altre fabbriche e lotte. Si raccontava, il primo giorno dell'Alfasud, che fossero entrati in fabbrica 3 mila operai, e ne fossero usciti 2.980, perché venti erano evasi durante l'orario di lavoro, avendone già abbastanza. Ma l'industria cinese, quella che fabbrica gli iPad, è fatta largamente di contadini scappati dai villaggi.

Un dirigente mandato da Torino al passaggio dall'Iri alla Fiat, nel 1986, avrebbe poi raccontato agli intimi Pomigliano in termini più coloriti del dialogo fra Chevalley e il principe nel Gattopardo. A Pasqua, si aspettavano una gratifica e un agnello. Il manager, magari anche per l'assonanza col nome della dinastia, provò a monetizzare gli agnelli. Uno sciopero lo costrinse a cedere in extremis. Al rientro dopo la festa lo sciopero riprese, e il dirigente costernato si sentì dire che l'agnello avrebbe dovuto essere vivo, e non macellato. Bisognava che prima ci giocassero i bambini. Sarà una leggenda. Anche sull'assenteismo e sulla camorra a Pomigliano corrono storie vere e leggende, utilizzabili a piacere. 
Sarà vero che al direttivo provinciale di Cisl e Uil partecipano seicento dipendenti di Pomigliano? Marchionne deve saperlo, e non da oggi. Deve averci pensato almeno da quando ribattezzò la fabbrica col nome di Giambattista Vico, per riparazione: il più grande intellettuale della Magna Grecia. Non bastava un'intitolazione a passare dall'assenteismo alla scienza nuova, e nemmeno la deportazione dei cattivi a Nola. Ma appunto, il colore locale fa comodo a tutti, e anche a rovesciarlo in un ipertaylorismo - parola buffa, perché il taylorismo è iperbolico per definizione, e caso mai bisogna ridere amaro delle chiacchiere sulla fine del lavoro manuale e della fatica. I 10 minuti in meno di pausa - su 40 - la mezz'ora di mensa spostata a fine turno, e sopprimibile, lo straordinario triplicato - da 40 a 120 ore - e una turnazione che impedisce di programmare la vita, sono già un costo carissimo. Aggiungervi le limitazioni allo sciopero e il ricatto sui primi tre giorni di malattia è una provocazione o un errore, di chi vuole usare Polonia e Cina per insediare un dispotismo asiatico in fabbrica qui, quando la speranza è che l'anelito alla dignità e alla libertà in fabbrica faccia saltare il dispotismo in Cina.

Non c'è l'Internazionale, viene fomentata la guerra fra poveri, si fa la guerra ai poveri, questa sì dappertutto. Perché l'altra lezione venuta in piena luce grazie a Pomigliano è che la storia degli operai "garantiti" opposti ai "precari" era del tutto effimera, e i nodi sono al pettine, per operai e pensionati. Termini Imerese chiude, Pomigliano chissà, Mirafiori... Chi garantisce chi? Dei due modelli presunti - lavorare di meno o consumare di più - è destinato a prevalere, da noi ricchi, il terzo: lavorare di più e consumare di meno. Il "movimento epocale" di redistribuzione del reddito, invocato da Scalfari, va insieme a un cambiamento radicale dei modi di vivere e consumare (si chiamano, chissà perché, "stili": come se ci fosse stile in una coda di autostrada). Erano provvisori i "garantiti", siamo provvisori "noi ricchi" del mondo.

Questione di tempo, e l'economia va più svelta della stessa demografia. Prediche al mondo vorace che esce dalla povertà a spallate, perché non si ingozzi di automobili e telefonini come noi, non ne possiamo fare. Abbiamo dato l'esempio dell'ubriachezza consumista, possiamo solo provare a darne uno pentito, di sobrietà. Sbrigandoci.

lunedì 21 giugno 2010

Fiat Pomigliano: Masini (Fiom), referendum illegittimo





“L’esistenza di un 'piano C' dimostra che l’intesa è in contrasto con il contratto nazionale, le leggi e la Costituzione”


“Domani le lavoratrici e i lavoratori della Fiat di Pomigliano saranno costretti a recarsi a votare per un referendum illegittimo, in una fabbrica riaperta per l’occasione grazie a una Fiat finalmente ‘generosa’ con il pagamento della giornata”. Così in una nota Enzo Masini, coordinatore nazionale auto della Fiom Cgil. “I lavoratori, infatti - spiega il sindacalista - sono chiamati a votare sotto il ricatto della chiusura dello stabilimento e della perdita del posto di lavoro e su deroghe al contratto nazionale, alle leggi, alla Carta dei diritti europea e alla stessa Costituzione”

“Di fronte a un referendum illegittimo e perciò non vincolante - prosegue Masini - la Fiom non dà alcuna indicazione di voto ma consiglia i lavoratori ad andare a votare per evitare possibili ritorsioni da parte dell’azienda. La notizia apparsa oggi su Repubblica di un ‘piano C’ cui starebbe lavorando la Fiat - la chiusura dello stabilimento di Pomigliano, la costituzione di una nuova società e la riassunzione dei lavoratori con un nuovo contratto aziendale - corrisponde a quanto ventilato e poi ritirato dall’azienda stessa nell’incontro sindacale del 15 giugno”.

“L’idea di mettere in atto un ‘piano C’ - osserva quindi Masini - dimostra che la stessa Fiat è consapevole delle gravi forzature che, con l’imposizione di questo accordo a Pomigliano, introdurrebbe nella legislazione italiana del lavoro e che, nelle parti denunciate dalla Fiom, vi sono evidenti violazioni costituzionali e di legge”.

La Fiom, conclude la nota, “conferma la propria disponibilità a trovare un’intesa per il lavoro, il rilancio di Pomigliano e lo sviluppo del territorio. L’intesa è possibile applicando correttamente le leggi e il contratto nazionale in tutte le sue parti, ma la Fiat deve accettare finalmente la trattativa e smetterla di pensare che esistono altre strade che, come quella seguita finora o il ‘piano C’, non farebbero che aggravare la situazione”.

COMUNICATO FIOM

NELLA GIORNATA DI VENERDI’ DELLA SCORSA SETTIMANA, VISTA L’INIZIALE INDISPONIBILITA’ DA PARTE DELLA RSU DELLA FIM-CISL E DELLA UILM-UIL AD INDIRE ASSEMBLEE RETRIBUITE UNITARIE NELLA SETTIMANA CORRENTE SULLA VERTENZA CHE RIGUARDA I LAVORATORI DEL GRUPPO FIAT DI POMIGLIANO D’ARCO, LA RSU DELLA FIOM-CGIL AVEVA PROVVEDUTO A METTERE IN CAMPO UNA RACCOLTA DI FIRME DEI LAVORATORI DELLO STABILIMENTO CNH DI JESI NELLA QUALE SI ESPLICITAVA PER ISCRITTO LA RICHIESTA DELL’ASSEMBLEA RETRIBUITA ALL’AZIENDA, RACCOLTA CHE NELLA SOLA GIORNATA DI VENERDI’ RACCOGLIEVA IN POCO TEMPO IL CONSENSO DI CIRCA 500 LAVORATORI.

RICORDIAMO CHE COME GIA’ RISCONTRATO IN PASSATO, PER LA RICHIESTA DELL’ASSEMBLEA RETRIBUITA ALL’INTERNO DEL CONSIGLIO DI FABBRICA – 6 RSU FIOM, 3 RSU FIM E 3 DELLA UILM - E’ NECESSARIA LA META’ PIU’ UNO DEI COMPONENTI.

NEL TARDO POMERIGGIO DELLO STESSO GIORNO I SEGRETARI PROVINCIALI DI FIM E UILM HANNO CONCORDATO ASSIEME AL SEGRETARIO DELLA FIOM GIUSEPPE CIARROCCHI DI UTILIZZARE UN’ORA CIASCUNO DEL MONTE ORE ASSEMBLEARE RENDENDO COSI’ ESIGIBILE LO SVOLGIMENTO DELL’ASSEMBLEA, VISTO IL DELICATO MOMENTO CHE INVESTE LO STABILIMENTO DI POMIGLIANO D’ARCO E L’INTERO GRUPPO FIAT: A TAL FINE SI E’ COSI’ DECISO CHE UN’ORA SARA’ UTILIZZATA DALLA FIOM IN QUESTA SETTIMANA, E L’ALTRA DA FIM E UILM IN DATA DA DESTINARSI.

JESI, LUNEDI’ 21 GIUGNO 2010 LA RSU DELLA FIOM-CGIL

domenica 20 giugno 2010

CONFRONTO LANDINI (FIOM) SACCONI

FIAT VOLUNTAS TUA ?


di Antonio Di Stasi (Università Politecnica delle Marche)


Cogliere il senso dell’operazione, che la Fiat vuole imporre ai lavoratori di Pomigliano d’Arco con la richiesta ai sindacati di firmare un “inedito” contratto aziendale, significa rappresentarsi l’applicazione delle regole “sulla proprietà” alla “persona” del lavoratore, che diverrebbe un “oggetto” completamente subordinato agli interessi e voleri dell’impresa, attraverso, innanzitutto, la negazione di una propria autonoma gestione del tempo fuori dal lavoro.


La precarizzazione del tempo di vita e del tempo di lavoro


Il primo tratto, della proposta di accordo sindacale, consiste nella circostanza che i tempi di lavoro li si vorrebbero scanditi unilateralmente a prescindere dalle elementari esigenze di organizzazione di vita personale e familiare.

La riduzione degli spazi di libertà, in particolare, avverrebbe attraverso la previsione della “turnazione articolata a 18 turni settimanali”, il che significa, ovviamente, che la conquista del sabato libero sarebbe di fatto persa e che diverrebbe precario anche il riposo domenicale pieno.

La storica conquista del lavoro su 5 giorni sembrerebbe compensata dall’affascinante possibilità di lavorare, a settimane alterne, su quattro giorni, così da poter disporre di week-end più lunghi. Senonché, solo per tre volte ogni due mesi i giorni di riposo aggiuntivi alla domenica potrebbero essere goduti di venerdì e sabato o di lunedì e martedì. Ma quel che rende completamente precario l’impianto, e fa presagire ben altre prospettive, tanto da determinare l’espropriazione al lavoratore anche della gestione del tempo liberato dal lavoro, è la possibilità per l’azienda di imporre il lavoro straordinario per 80 ore annue pro capite che, aggiunte alle 40 previste dal CCNL, portano ad un monte di 120 ore. Considerato che esse sono “da effettuarsi a turni interi”, risulterebbe di molto ridotta la possibilità di usufruire di 3 week-end ogni due mesi, potendo la Fiat chiedere ogni anno altri 15 giorni di lavoro a turno intero “senza preventivo accordo sindacale”. Se a ciò si aggiunge la previsione sui “recuperi di produttività” esigibili anche “nei giorni di riposo individuale, in deroga a quanto previsto dal CCNL”, si capisce il senso vero dell’operazione aziendale.

L’introduzione della articolazione su 18 turni non comporterebbe, infine, solamente un massiccio svolgimento di prestazioni notturne, ma anche la deroga alla legge n. 66 del 2003.

A queste condizioni, che renderebbero la vita liberata (sempre meno) dal lavoro non programmabile da parte del lavoratore e della sua famiglia, va aggiunta l’ulteriore previsione di una riduzione della pausa. Con l’applicazione del sistema “Ergo VAS” il lavoratore subirebbe una decurtazione netta del tempo di pausa in quanto anziché usufruire di due riposi da venti minuti,usufruirebbe di tre riposi da dieci minuti; il che, unito al vincolo della “fruizione collettiva”, impedirebbe di fatto al lavoratore di allontanarsi dalla postazione ed avere così la pur minima possibilità di rifocillarsi in locali diversi da quelli ove è posta la linea o postazione di lavoro.


La precarizzazione della professionalità


Oltre alla precarizzazione del tempo di vita – nei desiderata Fiat – si avrebbe la precarizzazione della dignità lavorativa, sotto il profilo sancito dallo Statuto dei diritti dei lavoratori del mantenimento della professionalità acquisita, con ampliamento extra legem, della possibilità di modificarla in senso peggiorativo.

L’operazione va sotto il nome di “rapporto diretti-indiretti” e prevede la riassegnazione della mansione a prescindere dalle professionalità maturate ex art. 4 comma 11 l. 223/91.

Di più, non ritenendosi tale spazio discrezionale sufficiente, è anche prevista l’ulteriore incipiente possibilità di “successiva assegnazione ad altre postazioni di lavoro”.


La diminuizione dei diritti economici e normativi


Se i livelli economici, a prima vista, sembrano essere poco toccati – e non è questo infatti il cuore dell’operazione – a ben vedere la riduzione dei livelli retributivi è presente sotto varie forme, andando a colpire, tra l’altro, i soggetti più deboli.

Innanzitutto, per i neo assunti sono aboliti i compensi collegati a “paghe di posto”, le “indennità disagio linea”, il “premio mansione” e i “premi speciali” (per i lavoratori attualmente in forza le suddette voci verrebbero sterilizzate in un c.d. superminimo, cosicché risulterebbe persa la possibilità di garantirne nel tempo il valore reale, peraltro già perso se si considera il peso sulla retribuzione complessiva), secondariamente i lavoratori in CIGS, e quindi con un reddito già defalcato, sarebbero obbligati a svolgere formazione in azienda senza aver riconosciuta “alcuna integrazione o sostegno al reddito, sotto qualsiasi forma diretta o indiretta”, trovandosi così non solo a percepire un minor reddito, ma anche accollato l’obbligo di sobbarcarsi una serie di spese non più coperte dalla Fiat (trasporto, mensa, ecc.).

Minori tutele economiche sono prospettate anche nel caso di lavoratori malati, allorquando il numero di assenti “sia significativamente superiore alla media”, liberandosi l’azienda dall’obbligo del pagamento della quota di malattia a proprio carico, così da lasciare scoperti, ad esempio, tutti quei lavoratori che vengano contagiati dal virus influenzale nel picco di diffusione della malattia.


La pericolosa deriva delle “clausole di esigibilità”


Vi è, infine, una inquietante ultima parte, che svela come l’operazione predisposta dalla Fiat, non sia dettata da esigenze organizzative, ma miri a possedere oltre al “corpo” del lavoratore anche la sua “anima”, aumentando la sua totale subordinazione ai voleri aziendali.

Ci si riferisce, soprattutto, al pacchetto di sanzioni, disciplinari, economiche e normative contenute sotto la voce “clausole di responsabilità”.

Il livello di attacco va in una triplice direzione: verso le organizzazioni sindacali, verso la RSU e soprattutto verso i semplici lavoratori con l’esplicita finalità di blindare “l’esercizio dei poteri riconosciuti all’azienda dall’Accordo”.

Si vorrebbe rendere il singolo lavoratore più debole esponendolo maggiormente dal punto di vista disciplinare e terrorizzandolo con l’ampliamento delle causali di licenziamento, oltre ad indebolirlo sul profilo della tutela sindacale (prevedendo tagli o azzeramenti ai diritti per l’esercizio dell’attività sindacale).

In particolare, contro i lavoratori si stabilirebbe la possibilità di introdurre ulteriori fattispecie sanzionabili disciplinarmente prevedendo esplicitamente che la violazione delle regole introdotte con l’Accordo, anche solo di una di esse, comporta il “licenziamento per mancanze”.

Tale ultima parte, di cui risultano evidenti, anche a chi non è un esperto giurista i profili di nullità ed illegittimità, sotto un profilo più complessivo è di una gravità inaudita perché vuole legare, meglio sarebbe dire negare, ogni possibilità futura di intervenire su aspetti che incidono sulla vita e dignità dei lavoratori, sui tempi di lavoro come sulla professionalità, come su voci normative, economiche e retributive.

L’accordo spingerebbe, inoltre, in maniera fortissima verso la divisione dei lavoratori con negazione di qualsiasi spazio collettivo per modificare o migliorare le condizioni di lavoro e la individualizzazione spinta delle relazioni che renderebbe il lavoratore più debole e precario.

La gravità della richiesta fa il paio con la grossolanità delle ipotesi giuridiche prospettate in quanto semplifica questioni ineludibili come quelle sull’efficacia del contratto aziendale verso tutti i lavoratori, anche dissenzienti rispetto a condizioni peggiorative; sul rapporto tra contratti collettivi di diverso livello, vieppiù se non sottoscritti da tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL; sulla possibilità dell’autonomia collettiva di introdurre deroghe in peius a diritti previsti dalle legge; sulla negazione di forme di opposizione o di lotta, sottintendendo pure la riduzione del diritto di sciopero, anche se indette per modificare le condizioni contenute nell’accordo stesso.


10 giugno 2010

 CNH-FIAT DI MODENA CHIEDE I DANNI AI SINDACATI PER UNO SCIOPERO

 da l'Unita' del 19 giugno 2010

 La direzione aziendale della Cnh Fiat di Modena ha citato in tribunale i segretari provinciali di Fim, Fiom, Uilm e i delegati della Rsu chiedendo un risarcimento danni per gli scioperi avvenuti nello stabilimento nei quattro sabati di straordinario comandato di marzo-aprile. Lo ha reso noto Cesare Pizzolla della segreteria della Fiom modenese,che si opporrà alla denuncia per supposto «illecito contrattuale». Nel 2009 i sindacati «avevano condiviso con l’azienda un numero di sabati di lavoro superiore a quello previsto dal contratto nazionale a fronte della stabilizzazione di 75 precari».Ma,mentre «i sabati di straordinario sono stati tutti lavorati, ma solo 41 lavoratori sono stati stabilizzati».Perciò, prima di altri straordinari, i sindacati avevano proposto di completare la stabilizzazione con l’assunzione dei 34 precari lasciati a casa.

sabato 19 giugno 2010

Da sfruttato a sfruttato


Segnalo la lettera di un gruppo di lavoratori della fabbrica di Tychy, in Polonia, ai colleghi di Pomigliano che stanno per votare se accettare o meno le condizioni della FIAT per riportare la produzione della Panda in Italia.

"La FIAT gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d'Europa e non sono ammesse rimostranze all'amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend) A un certo punto verso la fine dell'anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L'anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione. Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo "Giorno di Protesta" dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l'anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere? Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre. In questi giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione. E' chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente. Per noi non c'è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l'azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso. Lavoratori, è ora di cambiare”.

Intervista con l'ex segretario Cisl Pierre Carniti

LA COSTITUZIONE SECONDO POMIGLIANO


di Gianni Ferrara su il manifesto – 19 giugno 2010

Era del tutto evidente che il capitalismo globalizzato, il liberismo assoluto, il revisionismo storico, etico-politico ed istituzionale mirassero allo stesso obiettivo. Non era però scontato un impatto così sconvolgente, recessivo, distruttivo. Sconvolgente il tessuto sociale, recessivo della civiltà politica, distruttivo di un intero ordine giuridico: quello immediatamente connesso alla struttura della società, il diritto del lavoro. Ma il grado di recessione varia da nazione a nazione, a determinarlo in Italia è la barbarie del berlusconismo. Si è aggiunto, per rivelarne l’essenza più intima. Ha assunto un nome che resterà. Lo hanno detto ministri e opionion makers: Pomigliano. Non sono soltanto i metalmeccanici che vi lavorano ad esserne colpiti. Ne sono le prime vittime, i primi degli esseri umani che saranno asserviti all’irrazionalità ed all’immoralità del capitalismo del XXI secolo, in Italia, in Europa. La tecnica dell’asservimento ha un nome, world class manifactoring. È scritto al punto 5 dell’accordo (?) che la Fiat impone a Pomigliano.
A cosa miri lo ha spiegato lucidamente Luciano Gallino: assicurare che nulla, proprio nulla del tempo di lavoro retribuito possa essere perduto dal padrone. Il che comporta il massimo di rendimento di ogni operazione, di ogni gesto, di ogni minuto, di ogni secondo. Quindi il massimo di assorbimento da parte del capitale del tempo di lavoro. Tante ore, tanti minuti, tanti secondi di sfruttamento. Comporta la riduzione di ciascun lavoratore, ciascuna lavoratrice a robot. Poiché il robot non ce la fa a sostituire l’essere umano, si deve ridurre l’essere umano a robot.
E non basta. Dal momento che il robot si permetterà, al termine di ogni turno, di ridiventare essere umano e potrebbe aspirare ad esercitare i diritti che due secoli di lotte del movimento operaio hanno conquistato per civilizzare la condizione umana, si vuole imporre all’essere umano di non esercitare questi diritti, a cominciare da quello di sciopero.
Gli si chiede di impegnarsi contrattualmente a rinunziarci. Nel mentre ci si appresta a sopprimere le fonti di tali diritti. A sostituire sia il contratto collettivo con tanti contratti individuali di adesione (alla volontà del datore di lavoro) sia le leggi, come lo statuto dei lavoratori con la farsa derisoria dello “statuto dei lavori”. A modificare l’articolo 41 della Costituzione in modo da distorcerne il significato e la portata e sfumarne l’efficacia. A quanto si sa, immunizzando, a priori e come tale, l’iniziativa economica privata denominandola “responsabilità”, chiunque la svolga e qualsiasi possa essere il campo di esercizio (se non finanziario).
Impedendo, quindi, che se ne possa precludere il carattere antisociale, ed anche prevenire quello criminale, visto che «gli interventi regolatori dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali» si dovrebbero limitare «al controllo ex post». Post mortem bianca, ad incidente sul lavoro avvenuto, a danni già prodotti alla salute, alla sicurezza, all’ambiente? Così appare. Si vuole evidentemente sancire in via assoluta la signoria dell’impresa capitalistica su ogni altra istituzione e sulla società intera.
Si motiva questa controriforma costituzionale adducendo la necessità prioritaria ed inderogabile della competitività. Della quale competitività è pur tempo di denunziare, senza esitazione, il significato reale ed occultato. Che è quello della compressione dei salari dei lavoratori di tutto il mondo fino a ridurli alla soglia minimale del salario percepito nel più depresso dei Paesi del mondo.
A Pomigliano è il lavoro umano, è la condizione umana, è la dignità umana, sono i diritti umani che subiscono un attacco senza precedenti. La loro difesa è quella stessa della civiltà umana, ovunque sia aggredita.

giovedì 17 giugno 2010

ORDINE DEL GIORNO del Comitato Direttivo FIOM Ancona


Il Comitato Direttivo FIOM Provinciale di Ancona esprime il pieno sostegno alla RSU FIOM dello stabilimento FIATdi Pomigliano d’Arco; le minacce che hanno ricevuto da parte di alcuni vigliacchi non sono da sottovalutare e devono essere messe in atto tutte le azioni tese a garantire la sicurezza personale per permettergli di svolgere a pieno il loro fondamentale ruolo nei confronti dei lavoratori.

L’attacco avvenuto da parte di Governo, Confindustria, dirigenza FIAT con il sostegno di molti media nazionali e locali, nei confronti dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano d’Arco è INDEGNO E VA RESPINTO IN OGNI MODO; tanto più che si utilizza la crisi non per riadeguare l’organizzazione produttiva, ma per fare uscire la Costituzione dai cancelli della fabbrica, ridurre ancora di più il CCNL a strumento derogabile in peggio unilateralmente dalle imprese, cercare di rendere impotenti ed inefficaci le OO.SS. e le rappresentanze che non si rendano “complici”.
E’ chiaro a tutti che dopo Pomigliano d’Arco, la FIAT, Confindustria e Governo visto il risalto che hanno voluto dare a questa vertenza, imporranno il modello di riduzione dei diritti individuali e collettivi sancito nell’accordo separato del 22 gennaio su tutto il territorio Italiano, e per questo che il Comitato Direttivo Provinciale FIOM di Ancona si impegna ad attivarsi fin da subito con tutte le iniziative necessarie nel nostro territorio a sostenere la lotta dei lavoratori e della RSU FIAT di Pomigliano d’Arco, sostenendo anche tutte le iniziative che la FIOM e la CGIL si auspica realizzeranno a Napoli per impedire che il piano FIAT passi e/o possa venire attuato.
Il Comitato Direttivo Provinciale FIOM di Ancona si impegna ad arrivare allo sciopero di 8 ore del 25 giugno organizzando assemblee per informare tutti i lavoratori e l’opinione pubblica della vera partita in gioco su Pomigliano d’Arco, ad organizzare una manifestazione che confermando la centralità della nostra opposizione alla finanziaria, renda prioritario e visibile il nostro impegno contro questo progetto e per la difesa dei diritti dei lavoratori.


Ancona 16 giugno 2010

FIAT POMIGLIANO: LE PAGINE DELLA VERTENZA

Sciopero generale 25 Giugno. I metalmeccanici e le metalmeccaniche in lotta per il lavoro e i diritti

mercoledì 16 giugno 2010

La legge del più forte, di Marco Revelli

Operai Fiat 1904-1905

Se fossimo in una condizione di normalità, il dilemma che si trova di fronte oggi la Fiom a Pomigliano sarebbe risolto in partenza. Essa non può sottoscrivere l'accordo proposto da Marchionne per il semplice fatto che vi si chiede la liquidazione di diritti indisponibili. Diritti che nessun sindacato potrebbe «negoziare», per il semplice fatto che non gli appartengono. Diritti che nessuno, neppure i titolari diretti, può alienare, perché costitutivi di una civiltà giuridica che trascende le parti sociali e gli individui.

Alcuni di quei diritti - come il fondamentale «diritto di sciopero» - sono sanciti costituzionalmente. Altri - come il pagamento dei primi tre giorni di malattia - sono garantiti dalla legislazione ordinaria. Altri infine - come la difesa del proprio tempo di vita da una gestione del tempo di lavoro drammaticamente soffocante e totalitaria -, fanno parte di un livello contrattuale nazionale impegnativo per tutti i contraenti. L'accettazione di un accordo aziendale che ne sacrificasse anche solo parzialmente l'operatività, significherebbe una dichiarazione di messa in mora e di inefficacia di quei tre livelli basilari del nostro assetto gius-lavoristico. Una grave lesione al modello giuridico, politico e sociale della modernità industriale.

Ma non ci troviamo in una condizione di normalità. La «dura legge» che Marchionne ha evocato non è né la Norma Costituzionale né la Legge ordinaria. È la legge di mercato, nella sua dimensione ferina del «primum vivere». Dell'«arrendersi o perire». Della darwiniana «lotta per la sopravvivenza», applicata alle imprese, agli uomini e ai territori. A Pomigliano è la verità della «globalizzazione» a materializzarsi nella forma più estrema del «prendere o lasciare», che travolge ogni principio giuridico, ogni regolazione nazionale e ogni accordo sancito.

Per questo diciamo che a Pomigliano quello che muore non è solo un modo di fare sindacato, ma è la nostra stessa modernità industriale, fatta di conflitto, negoziazione, regole e normative, a rischiare di dissolversi. E quello che si profila è un nuovo «stato di natura», in cui a contare è ormai solo la legge del più forte, momento per momento, occasione per occasione. Un mondo che non è solo post-socialista e post-novecentesco, ma che vede travolgere le stesse basi del più antico «stato liberale»: quello del costituzionalismo, dell'impero della Legge, dello Stato di diritto.

Potrà apparire un caso, ma che nel medesimo tempo si allineino nel cielo del nostro paese - come in un'infausta congiunzione astrale - l'attacco di Berlusconi alla Costituzione, la legge-bavaglio dell'editoria e il «lodo Marchionne» (sbandierato da fior di ministri come «nuovo modello» di relazioni industriali), suona come un pessimo auspicio. E che a trainarci oltre quel confine sia uno come l'A.D. della Fiat, che non è un «fascista», che non veste l'orbace ma un maglioncino casual ed è stato a lungo un esempio di liberal progressista, non ci rassicura affatto. Anzi, ci spaventa di più.

Forse a Pomigliano, oggi, non c'è davvero altra alternativa che piegarsi al ricatto. Forse al voto gli operai presi dalla disperazione direbbero davvero sì a un accordo che li consegna a condizioni di lavoro servile, pur di mantenere un esile residuo di sopravvivenza produttiva. Forse, quello che incombe sulla Fiom è davvero un «dilemma mortale». Ma se almeno uno - uno! - tra i sindacati mantenesse pulite le proprie mani, e rifiutasse di sottoscrivere il pactum subiectionis che cancella tutti gli altri patti e ogni altra ragione, forse una testimonianza rimarrebbe, per tempi migliori, di un brandello di dignità e dunque di speranza.

La fabbrica che non spreca un minuto



Il taglio delle pause consentirà di produrre 25 auto in più al giorno. Si riducono al minimo i tempi morti, tutti i pezzi sono più vicini alla postazione, il lavoratore deve solo muovere il busto. A Pomigliano arriva la metrica del lavoro alla giapponese, con tanto di computer e tabelle cronometriche da far rispettare di PAOLO GRISERI
NELLA giornata della tuta blu di Pomigliano saranno 25.200. Non uno di meno, non uno di più. 25.200 secondi per lavorare, per ripetere 350 volte la stessa operazione che dunque non può durare meno di 72 secondi. Perché così dice la metrica. Anche le fabbriche, come le orchestre, ce l'hanno. Sono le regole che danno il ritmo alla linea e che dunque stabiliscono l'intensità di lavoro dei singoli operai. Tutti devono, inevitabilmente, muoversi allo stesso ritmo. Una danza faticosa. Da un secolo le regole di quella danza sono al centro della contrattazione sindacale. Hanno nomi astrusi: Tmc1, Tmc2, Ergo-Uas. Il primo a imporle fu, nel 1911, un ingegnere della Pennsylvania, Frederick Taylor, che spezzettò il lavoro degli operai in decine di micro movimenti stabilendo per ciascuno un tempo massimo di svolgimento. Dalla nascita del taylorismo ad oggi lo schema è rimasto sostanzialmente lo stesso. Perché in nessun luogo come sulle linee di montaggio il tempo è denaro. Uno degli ostacoli nella trattativa sindacale su Pomigliano è stato, per molte settimane, la riduzione delle pause da 40 a 30 minuti giornalieri. Un'inezia? Per molti sì, non per le tute blu. Facciamo un esempio: sulla linea della futura Panda la differenza di 10 minuti equivale a 8,3 operazioni in più per turno, quante se ne fanno in 600 secondi. Che diventano 25 automobili in più nell'arco della giornata. In un anno quei piccoli dieci minuti sono diventati 6.650 automobili.
OAS_RICH('Middle');
La metrica della linea cambia con il cambiare del prodotto ma anche con le modifiche all'organizzazione del lavoro. Un professore giapponese, Hajime Yamashina, ha adattato alla Fiat i dettami del World class manufacturing, il sistema di organizzazione del lavoro che riduce al minimo i tempi morti. Rino Mercurio, un manutentore di Mirafiori, spiega che "con il wcm tutti i pezzi sono più vicini alla postazione. Prima dovevi fare quattro passi per andare a prenderli, ora è sufficiente una torsione del busto". Passi in meno, secondi in più per lavorare sulla linea. Si chiama efficienza.Gli uomini che organizzano la danza, da Taylor in poi, sanno che tutto si basa sul lavoro dei cronometristi. Per tradizione i "cronu", come li chiamavano gli operai torinesi di inizio Novecento, non sono mai stati molto amati. Sono in genere ex operai che si sistemano di fianco a chi lavora con l'orologio in mano e misurano il tempo necessario a svolgere un'operazione. Un tempo la regola non scritta diceva che quando arriva il cronometrista è meglio rallentare. Ma questo lo sapeva anche il cronometrista e dopo aver misurato, tagliava i tempi in una lotta infinita con i suoi ex compagni di lavoro: "Oggi nell'epoca dei computer dice Rino - i cronometristi li vedi poco. Lavorano più con le tabelle che con l'orologio".La metrica di Pomigliano è già stata adottata a Mirafiori sulla linea della Mito. Si chiama Ergo-Uas e considera per la prima volta gli aspetti ergonomici, gli effetti dello sforzo fisico sui tempi di esecuzione: un'operazione più faticosa viene premiata con un maggior tempo di esecuzione. Si chiamano "fattori di maggiorazione": dall'1 per cento al 13 per cento a seconda della fatica richiesta: "Ma ormai - lamenta Ugo Bolognesi, operaio di linea - le operazioni sono quasi tutte all'1 per cento. Con il sistema precedente c'era una maggiorazione standard del 5 per cento e così, nel passaggio, ci abbiamo perso". Il sistema Ergo-Uas unito alla razionalizzazione dell'ambiente di lavoro introdotto con il wcm (quello che elimina i passi per andare a prendere i pezzi) è in grado, secondo la Fiat, di fare il miracolo: di produrre 280 mila auto all'anno con una sola linea. Quasi un'auto al minuto: "Un ritmo infernale" dicono i sindacalisti. A Melfi, dove si arriva a produrre oltre 300 mila Grande Punto all'anno, le linee sono due. Con una sola linea, tutto diventa più veloce e più vulnerabile: le richieste Fiat contro l'assenteismo e gli scioperi nascono, in sostanza, dall'esigenza di garantire quella velocità. Perché la danza delle tute blu non si interrompa.

repubblica.it

martedì 15 giugno 2010

CIAO OLIVIERO

IERI MATTINA IN FABBRICA E' GIUNTA ALL'IMPROVVISO LA NOTIZIA DELLA SCOMPARSA PREMATURA DI OLIVIERO ROCCHEGGIANI, SCUOTENDO TUTTI COLORO CHE LO HANNO CONOSCIUTO.

VOGLIAMO RICORDARLO NELLE ASSEMBLEE, SEDUTO NELLE PRIME FILE, IN ATTESA, E POI A SALTARE FUORI PER INTERVENIRE QUANDO MENO TE LO ASPETTI, CONQUISTANDO I PRESENTI CON LE SUE BATTUTE FULMINEE, CON QUEL GUSTO PER IL CONFRONTO ASPRO NEI CONFRONTI DI QUALCHE DIRIGENTE DEL "SINDACAO".
EMERGEVA IL SUO DESIDERIO DI VOLER COMUNICARE AGLI ALTRI LA SUA VISIONE DEL MONDO, I DISAGI DELLA QUOTIDIANITA' IN FABBRICA, LA SUA CAPACITA' DI ESPRIMERE RAPPORTI GIOIOSI, DI UNA NON COMUNE IRONIA.
CONSAPEVOLE DI NON AVERE UNA VERITA' DEFINITIVA, MA DI AVVICINARSI AD ESSA PER APPROSSIMAZIONI SUCCESSIVE, IN UN MONDO DOVE TUTTO CAMBIA OLIVIERO ERA RIMASTO SE' STESSO ANCHE DOPO LA MALATTIA, CON QUELLA OSTINATA VOGLIA DI "SVEGLIARE I DORMIENTI".
CI MANCHERAI.

I COMPAGNI DI LAVORO

RITRATTI

In occasione dell'oramai consueto Audit sul WCM l'Azienda ha pensato che oltre alla straordinaria pulizia dei reparti e all'ordine sincronizzato ... si fa per dire... dell'organizzazione del lavoro del just in time jesino, fosse il caso di accogliere la calata dei Visitors (si presentano come dei veri e propri extraterrestri) con delle Gigantesche Fotografe di Operai e non, appese all'esterno e all'interno dello stabilimento.

I volti estremamente sorridenti (lo sono ancora...) erano incasellati al fianco di uno stuolo di mani levate al cielo, mani protese a slogan propagandistici i cui messaggi dicevano su per giù così:

Noi, I Lavoratori, Siamo I Veri Protagonisti Della Fabbrica

l'artifizio, doveva servire a creare agli occhi del “temuto valutatore” - questa volta senza gli occhi a mandorla - l'idea di un grande impegno collettivo verso quel traguardo moderno che porta il nome di WCM.

Insomma la fabbrica della letizia e della gioia. Fiat da vecchio padrone, diventa la “grande mamma” che dispensa felicità a tutti.

Dimenticando gli sforzi fatti da tutti i lavoratori del gruppo in questi anni per risollevare l'azienda - al fotografo sfugge il sudore della fatica, l'usura delle turnazioni, lo sfruttamento sempre maggiore sulle linee di montaggio, solo per citarne alcuni - La FIAT ha esplicitamente chiarito che nel 2010, causa la crisi, non intende aumentare il costo del lavoro, non riconoscendo di fatto ai lavoratori il Premio di Risultato, dopo averlo già dimezzato nel 2009.

Anzi, ai suoi Protagonisti riserva licenziamenti collettivi - come nel caso di Termini Imerese e Imola - o condizioni lavorative di fne Ottocento come quelle imposte a Pomigliano, scelte che molto probabilmente riguarderanno nel prossimo futuro l'intero Gruppo Fiat.

Magra consolazione, rimane la miopia di pensare di valorizzare i lavoratori solo attraverso le proposte di miglioramento, i buoni benzina e i Ritratti d'Autore, gran bella soddisfazione.

La vera felicità, a noi pare essere allora, esclusivamente a pannaggio dei consigli di amministrazione, degli azionisti o dei super dirigenti che da pesanti ritrutturazioni e chiusure di stabilimenti ricevono lauti compensi o la spartizione del dividendo azionario.

A noi, non rimane che la cartapesta delle fotografie appese ai muri dei reparti.


p.s. Per la cronaca l'Audit si è concluso con un guadagno di 2 punti ... da 50 a 52 ... forse è meglio cambiare fotografo...


jesi, 15 giugno 2010 la rsu della fiom-cgil

COMITATO CENTRALE FIOM-CGIL 14 giugno 2010, Documento conclusivo



Per i diritti e la democrazia sciopero generale di 8 ore il 25 giugno


La scelta della Fiat di imporre deroghe al contratto nazionale e la rinuncia a diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione ai lavoratori di Pomigliano, fa parte di un disegno complessivo che parte dal Governo e dalla Confindustria, di fronte all’aggravarsi della crisi.

Governo e Confindustria per mesi hanno colpevolmente minimizzato l’aggravarsi della crisi, parlando di ripresa, spandendo inutile ottimismo, rinunciando a misure vere a favore dell’occupazione. Ora che la crisi comincia a portare tutto il suo peso, esso viene totalmente scaricato sul mondo del lavoro, sui pensionati, sui disoccupati, sulle zone più deboli del paese a partire dal Mezzogiorno.

Le misure inique prese dal Governo fanno così parte di un progetto più vasto che vede l’attacco al Contratto nazionale, l’arbitrato, lo Statuto dei lavori, come strumenti fondamentali della destrutturazione dei diritti di tutto il mondo del lavoro. Si pensa di affrontare la crisi mettendo in discussione i princìpi di solidarietà fondamentali garantiti dalla Costituzione della Repubblica, che non a caso oggi viene messa esplicitamente in discussione come vecchia e inadeguata di fronte alla crisi.

L’attacco all’articolo 41 della Costituzione nel nome della piena libertà d’impresa muove assieme a quello allo Statuto dei lavoratori e al Contratto nazionale. Pur di avere un posto, le lavoratrici e i lavoratori dovrebbero rinunciare ai loro diritti fondamentali. Questo è il regime economico e sociale che si vuole imporre.

Il blocco della retribuzione dei lavoratori pubblici annuncia così l’attacco al salario dei lavoratori privati, mentre per tutti c’è il taglio dello Stato sociale in tutti i suoi aspetti e forme. Per tutte e tutti si allunga ulteriormente l’età pensionabile, ma in particolare sono le donne oggi a essere brutalmente colpite nella loro condizione di vita. L’occupazione, in particolare quella giovanile, pagherà il prezzo per queste scelte.Di fronte a tutte queste misure non un solo centesimo viene preso dalla grande ricchezza accumulata in questi anni di crisi.

La Fiom è consapevole che quanto sta avvenendo nel mondo del lavoro è parte di un disegno più generale, dove interessi antichi e forti puntano a colpire tutti gli equilibri sociali e anche gli assetti democratici del nostro paese. Non è un caso che, mentre si aggredisce il Contratto nazionale e lo Statuto dei lavoratori, si mette in discussione la libertà di stampa e l’autonomia della magistratura. È un modello autoritario e regressivo di gestione della crisi che si vuole imporre a tutti i livelli e in tutte le sedi del nostro paese.

Per queste ragioni la Fiom chiama tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori metalmeccanici a una lunga e difficile fase di mobilitazione per la difesa dei diritti e per conquistare una via di uscita dalla crisi fondata sulla giustizia, sulla democrazia, su un diverso modello di sviluppo rispetto a quella che si sta praticando.

La Fiom proclama 8 ore di sciopero il 25 giugno per tutta la categoria nell’ambito dello sciopero generale confederale. La Fiom convoca per il mese di giugno a Pomigliano un’assemblea nazionale di tutte le delegate e i delegati metalmeccanici del gruppo Fiat e del Mezzogiorno d’Italia per definire iniziative di solidarietà con i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano. Ulteriori iniziative saranno decise per garantire la continuità della mobilitazione.

In questi giorni si è riaperta la questione della democrazia sindacale. La Fiom ha sempre rivendicato la necessità di regole certe sulla rappresentanza e sul diritto al voto, per tutte le lavoratrici e i lavoratori e si prepara a consegnare alle Camere un progetto di legge che ha già ampiamente superato le 50.000 firme raccolte. È paradossale che dopo aver negato a tutti i lavoratori metalmeccanici il diritto a decidere sul Contratto nazionale e sul principio delle deroghe, ora si voglia imporre azienda per azienda l’accettazione di questo principio. La Fiom ribadisce che non sono sottoponibili a rinuncia, neppure con il voto, i diritti indisponibili delle lavoratrici e dei lavoratori, e che il distorto principio, così applicato, è lo stesso che fa votare in Parlamento leggi che negano princìpi costituzionali di fondo sulla stampa e sull’autonomia della magistratura.

La Fiom è dunque consapevole che l’attacco ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori è parte di questa più vasta aggressione alla Costituzione della Repubblica e per questo chiama i metalmeccanici alla mobilitazione in difesa della democrazia.

Per queste ragioni la Fiom aderisce alla giornata di lotta indetta per il 9 luglio dalla Federazione nazionale della Stampa.

COMITATO CENTRALE FIOM-CGIL 14 giugno 2010 Documento conclusivo

Il no della Fiom al documento Fiat, le proposte per riaprire la trattativa


Venerdì 11 giugno il Gruppo Fiat ha confermato, in un incontro al ministero dello Sviluppo economico, la scelta di cessare l’attività di Termini Imerese, trasferendo in Polonia la produzione della Ypsilon entro il 21 dicembre 2011 e, permanendo l’assenza di reali e concrete soluzioni industriali, ciò significa cancellare oltre 2.200 posti di lavoro e una delle più importanti attività industriali di tutta la Sicilia.

Nella stessa giornata, il Gruppo Fiat ha condizionato l’investimento 700 miliardi di euro per produrre nel 2012 la Panda a Pomigliano all’accettazione di una proposta ultimativa, non negoziabile, che nel delineare un nuovo sistema di utilizzo degli impianti e di organizzazione del lavoro deroga all’applicazione del Ccnl e di diverse norme di legge in materia di sicurezza e salute sul lavoro e nel lavoro a turni.

Ci riferiamo, ad esempio, al fatto che le condizioni della Fiat sanciscano che: lo straordinario obbligatorio passa da 40 a 120 ore annue con possibilità per l’azienda di

comandarlo come 18° turno, nella mezz’ora di pausa mensa, nei giorni di riposo, per recuperi

produttivi anche dovuti a non consegna delle forniture; le pause sui montaggi si riducono da 40 a 30 minuti giornalieri; si può derogare al riposo di almeno 11 ore previste dalla legge da un turno all’altro per il singolo

lavoratore; l’azienda può decidere di non pagare il trattamento di malattia contrattualmente previsto a suo

carico; l’azienda può modificare le mansioni del lavoratore senza rispettare il principio dell’equivalenza

delle mansioni; l’azienda ricorre per 2 anni alla Cigs per ristrutturazione senza rotazione, con l’obbligo del

lavoratore alla formazione senza alcuna integrazione al reddito.

1Inoltre, la proposta ultimativa della Fiat contiene un sistema sanzionatorio nei confronti delle organizzazioni sindacali, delle Rsu e delle singole lavoratrici e lavoratori che cancella il diritto alla contrattazione collettiva fino a violare le norme della nostra Costituzione in materia di diritto di sciopero e licenziabilità.

Mentre Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno aderito alla posizione della Fiat, la Fiom-Cgil ha dichiarato inaccettabili tali proposte e richiesto alla Fiat di non considerare concluso il negoziato.

Il Gruppo Fiat ha preso atto delle adesioni, ribadito che la proposta era conclusiva e non negoziabile e nel caso la non firma della Fiom avesse determinato l’inapplicabilità di tali contenuti si sarebbe riservata di valutare la conferma o meno dell’investimento a Pomigliano.

La scelta della Fiat segna un passaggio di fase radicale nel sistema delle relazioni industriali affermando il superamento dell’esistenza del Contratto nazionale e assume pertanto una valenza generale che coinvolge l’intera categoria.

Se si afferma il principio che per investire in Italia è necessario derogare dai Ccnl e dalle Leggi si apre una voragine che indica quale uscita dalla crisi la riduzione dei diritti, dei salari e una modifica di fatto della Costituzione sociale e materiale.

Il Comitato centrale della Fiom, a partire dal Piano industriale della Fiat presentato il 21 aprile 2010, considera necessario mettere in campo tutte le iniziative utili a realizzare la difesa, l’innovazione e lo sviluppo delle produzioni automobilistiche in Italia e dell’occupazione. Rivendichiamo la definizione, frutto di un confronto tra tutte le parti, di un piano di intervento pubblico sul terreno della mobilità sostenibile e dello sviluppo della tecnologia alternativa, compresa la mobilità elettrica, e di un reale coordinamento tra le varie istituzioni.

La Fiat, nello stabilimento di Pomigliano, ha dato disdetta degli accordi aziendali in materia di orari di lavoro e organizzazione della produzione e in sostituzione ha proposto un nuovo accordo i cui contenuti sono quelli prima richiamati condizionando gli investimenti all’accettazione da parte di tutte le organizzazioni sindacali.

Pertanto, in assenza di una soluzione aziendale condivisa tra tutte le parti stipulanti, l’unico strumento in vigore e condiviso in materia di orario e organizzazione del lavoro è il Contratto collettivo nazionale.

L’applicazione del Ccnl permette alla Fiat la definizione di un regime di orario articolato anche su 18 turni, previo esame congiunto con le Rsu e l’utilizzo di 40 ore pro capite di straordinario comandato.

2

Ciò permette alla Fiat di avere garantita una produzione annua di oltre 280.000 Panda con una produzione giornaliera su tre turni di 1.050 vetture che sono gli obiettivi dichiarati dal Gruppo per realizzare gli investimenti a Pomigliano.

Se la Fiat sceglie di applicare in tal modo il Ccnl e le leggi, la Fiom ne prende atto senza alcuna opposizione, disponibili ovviamente a una applicazione anche delle parti più rigorose e severe.

Non accedere a questa soluzione renderebbe evidente che per la Fiat l’obiettivo non è né quello della produzione né quello della flessibilità/compatibilità produttiva, ma come evidenziato dalle dichiarazioni dei ministri Sacconi e Tremonti l’obiettivo diventerebbe quello di voler affermare il superamento del Ccnl e aprire la strada al superamento dello Statuto dei diritti dei lavoratori.

Il Comitato centrale della Fiom ribadisce inoltre che deroghe al Ccnl e la messa in discussione di diritti indisponibili non sono materia a disposizione della contrattazione, sia nei singoli stabilimenti che a livello nazionale. Tanto meno, possono essere materia di ricatto verso le lavoratrici e i lavoratori che dovrebbero scegliere tra mantenere un posto di lavoro o rinunciare ai loro diritti individuali, compresi quelli sanciti dalla Costituzione in materia di sciopero e di contrattazione collettiva delle condizioni di lavoro, elementi che uniscono la libertà e la democrazia di un paese.

Per l’insieme di tali impegni il Comitato centrale condivide e sostiene la scelta di considerare non accettabile il documento conclusivo proposto dalla Fiat per lo stabilimento di Pomigliano e di conseguenza decide che la Fiom non può firmare un testo con contenuti che mettono in discussione diritti individuali, deroghe al Ccnl e con profili di illegittimità in materia di malattia e diritto allo sciopero.

Il Comitato centrale della Fiom ribadisce la piena disponibilità a garantire l’efficienza e la flessibilità produttiva dello stabilimento di Pomigliano attraverso un’intesa che garantisca il massimo utilizzo degli impianti, le flessibilità orarie utili a rispondere alla fluttuazione del mercato, un’organizzazione della produzione che garantisca qualità e produttività, salvaguardando le condizioni di lavoro. Tutto ciò è possibile realizzarlo nell’ambito del Ccnl e delle Leggi esistenti e su tali basi si riapra un vero tavolo di trattativa per giungere a un accordo.

Il Comitato centrale esprime profondo rispetto e massima solidarietà verso le lavoratrici e i lavoratori della Fiat. La Fiom nazionale concorderà con la Fiom di Napoli le modalità per dare continuità al proprio ruolo di rappresentanza e tutela degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.