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mercoledì 28 marzo 2012

La bacheca alla Magneti Marelli di Crevalcore. Oggi.


MAGNETI MARELLI (GRUPPO FIAT)
CONDANNATA A RICONOSCERE
I DIRITTI SINDACALI ALLA FIOM CGIL


Il Tribunale di Bologna ha dichiarato antisindacale il comportamento di Magneti Marelli
(Gruppo FIAT) per aver rifiutato di riconoscere i rappresentanti sindacali della FIOM CGIL,
intimando alla Società di accettare le nomine delle RSA e di riconoscere alla FIOM CGIL
tutti i diritti all’attività sindacale previsti dallo Statuto dei Lavoratori.

Nonostante le “furbizie“ della FIAT, e il prematuro compiacimento di altre
organizzazioni sindacali, il diritto democratico delle lavoratrici e dei
lavoratori a scegliersi liberamente il proprio sindacato viene riconosciuto!

La FIOM CGIL ha depositato ricorsi nei vari Tribunali italiani contro tutte le società del
Gruppo FIAT che pretendono di escludere dalla rappresentanza il primo sindacato in 
FIAT e tra i metalmeccanici.

Questa prima sentenza conferma che non può essere l’azienda a scegliersi i sindacati 
a cui assegnare l’esclusiva della rappresentanza e che, anche negli stabilimenti 
FIAT, valgono le leggi e la Costituzione democratica.

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 28 Marzo 2012                                                                              FIOM CGIL



martedì 27 marzo 2012


Magneti Marelli, vincono gli operai
Fiat condannata per condotta antisindacale
Il tribunale di Bologna dà ragione alla Fiom: il metalmeccanici rappresentati dalla Cgil hanno diritto ad avere i propri rappresentanti in fabbrica. A febbraio le Rsu, oltre a non essere più riconosciute dall'azienda, erano state costrette a sgomberare le stanze sindacali degli stabilimenti bolognesi
La Fiom rientrerà in Magneti Marelli. A deciderlo è il Tribunale di Bologna che ha dichiaratoantisindacale la condotta dell’azienda del gruppoFiat, che aveva rifiutato di riconoscere le rsu del sindacato di Landini dopo l’entrata in vigore dell’accordo separato firmato solo da Cisl, Uil e Ugl.

La sentenza è arrivata questa mattina e nella sostanza ha accolto in pieno la tesi dei legali della Fiom. “La decisione del giudice – ha spiegato l’avvocato Franco Focareta – è importantissima perché mette in discussione la strategia di Marchionne che a livello nazionale ha portato all’esclusione del sindacato di Landini dalle fabbriche”.

Motivo dello scontro l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori: “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nella unità produttiva”. Per la Fiat la lettura era chiara: se non si ha firmato un accordo con l’azienda non si può avere l’agibilità sindacale in fabbrica. La Fiom ha invece contestato una interpretazione considerata “formalistica” e contraria ai dettami costituzionali.

Oggi il  pronunciamento del giudice, che nelle 6 pagine di decreto depositate questa mattina ha dato ragione alle tute blu. “Il dato formale della materialità della sottoscrizione di un contratto di qualsiasi livello – recita il decreto – non appare indispensabile essendo, al contrario, molto più probante l’effettiva partecipazione al processo di formazione del contratto anche in senso critico”. E ancora: “Apporre la firma su un contratto dopo aver espresso contrarietà allo stesso per il solo fatto di non perdere gli spazi di diritti sindacali appare atteggiamento sicuramente molto più limitativo della libertà sindacale”. Il rischio, conclude il giudice, è che “l’azienda si scelga i propri interlocutori”.

Quello della Fiom bolognese è il primo di una trentina di ricorsi presentati in tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat in Italia. L’azienda ora avrà 15 giorni per decidere se opporsi – e all’agenzia Radiocor ha già annunciato di voler procedere in tal senso – ma nel frattempo dovrà aprire immediatamente i propri cancelli alle rsu escluse,pena l'arresto, fino a tre mesi.Dal 28 di marzo i rappresentanti possono rientrare in fabbrica. “Si tratta di un ricorso, e se la Fiat non adempierà subito alle richieste del giudice commetterà reato”, ricorda l’avvocato Focareta. Una vittoria, quella delle tute blu, che prima che legale è politica. A prendere parola anche Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil: “E’ la dimostrazione che il nuovo contratto imposto dalla Fiat ha l’obiettivo di escludere il sindacato più rappresentativo del settore e di limitare le libertà sindacali delle singole persone. Ora l’azienda dimostri responsabilità e applichi lo Statuto dei Lavoratori, le leggi e i principi costituzionali”.

Nei prossimi giorni arriveranno mano a mano le decisioni sugli altri ricorsi presentati sempre dalla Fiom, e non è detto – nonostante tutti i ricorsi siano identici – che un giudice non possa dare ragione alla Fiat piuttosto che sollevare eccezione di costituzionalità. Proprio per questo la Fiom nelle scorse settimane ha più volte chiesto al Parlamento e al Governo di approvare al più presto una nuova legge sulla rappresentanza sindacale.

La sentenza del giudice apre anche un’altra partita. In questi giorni negli stabilimenti del gruppo Fiat i sindacati firmatari dell’accordo separato hanno avviato le procedure per le elezioni delle nuove Rsa (ex rsu). Ovviamente senza la Fiom, che ora però chiede di fermare tutto, a partire proprio da Bologna. “Cisl e Uil ci pensino bene – spiega il segretario della Fiom di Bologna Bruno Papignani – perché potrebbero ritrovarsi con elezioni irregolari e rappresentanti sindacali senza titolo”.

sabato 24 marzo 2012

La bufala del licenziamento della Fiat di Melfi


24/03/2012 

Nessun macchinario fermato. I tre operai che furono cacciati perché sindacalisti. E quindi devono essere reintegrati. La Fiat di Melfi ha sbagliato a licenziare i tre iscritti alla Fiom: lo dice il giudice, che nella sentenza motiva con parole di fuoco la decisione di dar torto al Lingotto. 


I licenziamenti dei tre operai della Fiat di Melfi iscritti alla Fiom furono «nulla più che misure adottate per liberarsi di sindacalisti che avevano assunto posizioni di forte antagonismo». Un licenziamento politico dunque, «con conseguente e immediato pregiudizio per l’azione e la libertà sindacale». Nelle ore in cui si fa più aspro lo scontro sulla libertà di licenziamento in Italia con la battaglia sull’articolo 18, un esempio pratico viene dalle motivazioni della sentenza con cui la corte di Appello di Melfi ha condannato il Lingotto per attività antisindacale imponendo il reintegro sul posto di lavoro dei tre licenziati. Come si ricorderà il 23 febbraio scorso, quando era stato reso noto il dispositivo della sentenza, la Fiat aveva reagito annunciando con un telegramma che «non intende avvalersi della prestazione lavorativa» dei tre licenziati.
Che, pare di capire, rimarranno comunque a casa anche se la sentenza di appello venisse confermata in Cassazione:
Le motivazioni, pubblicate ieri sera, confermano che, a parere della Corte, nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2010, i tre licenziati non effettuarono alcun sabotaggio della produzione, come invece sostenne all’epoca il Lingotto, perché le linee erano già state fermate prima del loro intervento. E inoltre i tre erano insieme ad altri lavoratori «ai quali la Fiat non ha contestato nulla». Nell’occasione piuttosto il caporeparto avrebbe assunto «un atteggiamento provocatorio » nei confronti del tre iscritti alla Fiom, confermato, fanno osservare i giudici, «in un documento unitario sottoscritto da tutti i delegati nell’immediatezza dei fatti».
Dunque il licenziamento è illegittimo, deciso solo per liberarsi di tre sindacalisti scomodi: 

''Le sentenze vanno rispettate e le motivazioni della Corte d'Appello di Potenza non lasciano spazio ad interpretazioni: la Fiat deve disporre subito il reintegro dei tre operai di Melfi ingiustamente licenziati''. ''E' ormai evidente  la condotta antisindacale dall'azienda, cosi' come e' indiscutibile che negli stabilimenti del Lingotto vengono calpestati i diritti dei lavoratori''.
''Il Governo  non puo' rendersi complice di Marchionne, che si atteggia a padrone delle ferriere invece di rispettare i propri impegni sul piano occupazionale e industriale. Barozzino, Lamorte e Pignatelli devono tornare a lavorare, perche' gli iscritti Fiom non siano oggetto di discriminazioni e vessazioni che servono solo a nascondere le difficolta' dell'azienda causate da gestioni manageriali sconsiderate''


giovedì 22 marzo 2012

art.18 Ricordatevi sempre di questa foto..






Ordine del giorno conclusivo del Comitato Direttivo CGIL nazionale del 21 marzo 2012

Il Comitato Direttivo nazionale della CGIL valuta grave e inaccettabile, per ragioni di metodo e di merito, il modo con il quale il Governo ha inteso concludere il negoziato sulle modifiche legislative del mercato del lavoro.  Mentre il Paese precipita nella recessione, anche per le scelte compiute dallo stesso Governo, si è deciso di guardare ai mercati finanziari e di garantire le scelte sbagliate di politica economica europea non dando alcun valore alla coesione sociale nella prossima fase del Paese, in assenza di politiche di crescita che diano risposte all’occupazione e al Sud.

Infatti il Governo non ha mai inteso modificare in alcun modo le proprie proposte sull’art. 18 con l’obiettivo di rendere più facili i licenziamenti ingiustificati. Mentre sono state accolte buona parte delle richieste di Confindustria e delle piccole imprese il Governo  si è mosso in continuità con le sue precedenti scelte. Con la modifica del sistema pensionistico, con le liberalizzazioni per quanto riguarda i lavoratori del trasporto pubblico e del commercio, con le iniziative fiscali reintroducendo l’Imu sulla prima casa, aumentando  le aliquote Irpef regionali e comunali, aumentando l’Iva e le accise sulla benzina,  si è voluto scaricare sul lavoro e sui pensionati l’emergenza finanziaria frutto anche del fallimento del Governo precedente.

Il giudizio di merito che si può dare sull’insieme del negoziato è il seguente:

- c’è un’evoluzione, che per noi certo non basta, delle forme di precarietà in ingresso, dovuta
alle richieste del Sindacato, ed in particolare della CGIL, durante il negoziato;

- è sempre grazie al nostro lavoro che è dovuto il miglioramento per durata e quantità dell’ASPI (il nuovo assegno di disoccupazione) rispetto all’attuale IDO anche se non è ancora garantita l’universalità degli ammortizzatori sociali in particolare modo per gli attuali precari e per i lavoratori delle piccole imprese mentre si sono pesantemente indebolite le tutele dei lavoratori più anziani e si restringono quelle oggi operanti nel Mezzogiorno (anche se siamo riusciti a spostare il tutto al 2017)

- si è demolito l’effetto di deterrenza dell’art. 18 quale diritto ad una tutela per far valere l’insieme dei diritti, aprendo all’unilateralità del potere aziendale nella vita concreta nei luoghi di lavoro.

Si apre oggi una grande battaglia e una grande sfida nel Paese e nella comunicazione, nei territori e nei luoghi di lavoro. L’obiettivo di questa battaglia deve essere quello di radicali proposte di modifica ai provvedimenti del Governo da presentare all’insieme del Parlamento.

Tali modifiche dovranno innanzitutto riguardare la conferma e il miglioramento dei risultati ottenuti sulla precarietà garantendo prospettive di qualità per il lavoro dei giovani, l’universalità del sistema degli ammortizzatori verso i precari e le piccole imprese e il reinserimento della mobilità per i lavoratori over 50.

Sui licenziamenti le modifiche dovranno riguardare la ricostruzione dell’effetto di deterrenza dell’art. 18 a partire dalla riconquista della reintegra come diritto essenziale per la tutela dei lavoratori coinvolti nel licenziamento.

Il Comitato Direttivo della Cgil proclama 16 ore di sciopero per tutti i settori, parte delle quali verranno concentrate in un’unica giornata con manifestazioni territoriali in una data a breve decisa dalla Segreteria nazionale sulla base dei calendari parlamentari.

Il Comitato Direttivo della CGIL chiama tutta l’Organizzazione a gestire le ore di sciopero per una fase di mobilitazione assolutamente straordinaria attraverso una campagna massiccia di assemblee, anche con ore di sciopero, una raccolta di firme che demistifichi la campagna che i provvedimenti vanno a favore dei giovani e dei precari, iniziative verso le singole imprese perché manifestino dissenso per le scelte del Governo sui licenziamenti, manifestazioni davanti al Ministero del Lavoro dei lavoratori in accordi di mobilità, in esodo o licenziati, oltre a tutti quelli che oggi sono rimasti coinvolti o imprigionati dalla modifica delle pensioni in lunghi periodi senza nessuna tutela del reddito, manifestazioni davanti al Ministero della Funzione Pubblica e della Pubblica Istruzione per i contratti pubblici e per la riduzione della precarietà nel pubblico impiego, articolazioni di scioperi aziendali, territoriali e categoriali con l’obiettivo di rendere diffusa ed evidente la mobilitazione nel Paese con un forte coordinamento confederale nazionale.

A conclusione di questo percorso il Direttivo nazionale della CGIL si riconvocherà per valutare la fase e le ulteriori iniziative che verranno ritenute necessarie.

IL SALARIO PIU' BASSO D'EUROPA


“La mia sfida per la nuova Fiat, salari tedeschi e azioni agli operai” 
 Sergio Marchionne a “Repubblica” il 16 Gennaio 2011 

Dal noto giornale “Il Sole 24 Ore” apprendiamo che la Wolkswagen a tutti e 90.000 i dipendenti tedeschi corrisponderà quest'anno un Premio Produzione pari a 7.500 euro ognuno. Il marchio Audi ha già annunciato per i suoi lavoratori un Premio pari a 8.251 euro. La Porsche elargirà ad ogni dipendente un bonus di 7600 euro. La Daimler (Smart e Mercedes) pagherà un Premio di Produzione pari a 4.100 euro.

E a chi lavora in Fiat? 600 euro per buona condotta contro le donne e chi si ammala

In Fiat i soldi vanno agli azionisti e ai capi. Per gli operai c'è la Cassa Integrazione e da due anni un Premio pari a zero euro. Poi grazie alla Fim e alla Uilm – quelli del Pomigliano è un'eccezione! con un accordo scellerato cancellano il contratto nazionale, la democrazia e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.

Alla Fiat, Fim Uilm e Governo hanno dato tutto! ma con quali risultati? se non quelli della perdita di quote di mercato, della Cigo e dei salari più bassi d'Europa! Non sarebbe meglio se al posto dei nostri diritti, Fiat assieme a Fim e Uilm si occupassero di come fare bene auto, camion e trattori?

Le più grandi case manifatturiere europee vendono e fanno utili in Europa. Assumono, reditribuiscono salario ai lavoratori e investono in ricerca e sviluppo. Presentano piani industriali seri e non distruggono diritti e contrattazione. Grossomodo tutto quello che non fa la Fiat.
Hanno però tutte un grosso vantaggio. Non hanno né Marchionne, né la Fim, né la Uilm.
Jesi, 20 Marzo 2012                                                            La Rsu della Fiom Cgil 
Cremaschi, Fiom: "Questa riforma con l'abolizione dell'articolo 18 è un atto brutale contro i lavoratori"
La Cgil e la Fiom non ci stanno a rinunciare a un diritto fondamentale dei lavoratori come l’articolo 18 e non escludono “alcuna iniziativa” per contrastare il governo Monti. Del resto questa riforma "non riduce la precarietà, non estende gli ammortizzatori, ma introduce solo una conseguenza pratica: rendere più facili i licenziamenti”. Il più grande sindacato italiano si prepara a scendere in campo con uno sciopero generale ed altre manifestazioni nelle fabbriche e nel paese". Quella partorita dal grembo di questo esecutivo “è solo una controriforma brutale delle norme del mercato del lavoro”, tuona Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom-Cgil, per il quale la battaglia contro i licenziamenti facili è un passaggio fondamentale per il futuro dei lavoratori e del sindacato.
Cremaschi, il governo Monti ha definito “equilibrato” il proprio progetto di riforma, lei cosa ne pensa?
Quanto ipotizzato da questo governo è un atto brutale contro i lavoratori. Nel momento di maggior crisi del Paese si lascia alle imprese la facoltà di licenziare a piacimento. Il resto sono chiacchiere. L’esecutivo Monti rivende cose già viste sul lavoro precario, mentre sugli ammortizzatori sociali c’è solo un taglio e, quando la normativa entrerà completamente a regime, chi lavora adesso avrà molto meno mentre i giovani non avranno niente. In pratica siamo di fronte a una mera operazione di ristrutturazione selvaggia tesa a favorire gente come Marchionne, bramosa di fare quel che vuole nei confronti dei lavoratori. Quella in questione è l’operazione di un governo di destra, con una politica di destra, e bisogna combatterla in tutti i modi”.
Quali risposte sta preparando il vostro sindacato contro le scelte del governo?
“La Cgil ha deciso lo sciopero generale ed altri momenti di protesta, e io sono contento di essere tra i promotori della manifestazione del 31 marzo a Milano. Occuperemo Piazza Affari e sarà la prima protesta esplicita contro il governo Monti. Vogliamo metterlo in discussione perché rappresenta un governo reazionario, espressione delle banche e dei grandi affari che in tutta Europa stanno distruggendo i diritti del lavoro e quelli sociali”.
Il governo e il ministro Fornero ritengono però che l’eliminazione dell’articolo 18 determinerà più crescita e più posti di lavoro per i giovani.
“Tutte bufale. Basti pensare alla Fiat dove ci sono sempre meno diritti per i lavoratori ma si producono sempre meno automobili. Oppure a realtà del mondo dove l’equivalente dell’articolo 18 non c’è ma il lavoro manca lo stesso. E’ vero l’esatto contrario, in questi momenti di crisi tali forme di flessibilità selvaggia e di incertezza serviranno solo a far stare peggio la gente, a far consumare meno e a mandare ancora più giù l’economia. Solo questo riusciranno a produrre le tesi della grande finanza internazionale e di Marchionne, diventate, purtroppo, programma di governo”.
La Fornero e Monti fanno notare che con questa riforma l’articolo 18 si allargherà a tutti.
“Strano allargare a tutti un diritto svuotato della sua essenza. Cosa si allarga, il fatto che tutti potranno essere licenziati? E’ solo un imbroglio che serve a coprire la faccia a quel pezzo di opinione pubblica e di grande informazione come Corriere Repubblica, pronta a sostenere dieci anni fa (strumentalmente dico io a questo punto) la Cgil quando sullo stesso attacco al diritto dei lavoratori portò in piazza 3 milioni di persone durante il governo Berlusconi . Loro ed anche il Pd, in verità, ora farebbero fatica ad affermare che il Cavaliere aveva ragione. Diciamo inoltre che la decantata estensione è un imbroglio perché il licenziamento discriminatorio già oggi è vietato anche nelle aziende sotto i 15 dipendenti, non tanto in virtù dell’articolo 18 ma di tutte le leggi nazionali e internazionali. Del resto nessun padrone è mai tanto stupido da ricorrere al licenziamento discriminatorio. Nessuno manda via un dipendente dicendo che lo fa perché è nero di pelle, o comunista, o musulmano.  In verità è sempre stato usato il licenziamento disciplinare, ora liberalizzato, e ancor di più adesso verrà usato quello economico. Ovviamente i datori di lavoro, con questi strumenti a disposizione, potranno licenziare quelli che, per un motivo o per l'altro, sono loro invisi. Quindi l’articolo 18 viene di fatto abolito. La parvenza di cui si ammantano certuni è solo la dimostrazione della loro malafede e della loro ipocrisia”.
Visto che si andrà in pensione a 67 anni e si potrà licenziare facilmente, se uno perderà il lavoro dopo i 50 anni avrà di fronte la prospettiva dell’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego) per 12 mesi e poi, in un mercato del lavoro ridotto a deserto come quello attuale, sarà sulla strada e difficilmente troverà un'altra occupazione.
“Purtroppo c’è una razionalità in questo. Oggi si assumono i giovani precari per risparmiare sul costo del lavoro, e per averli più ricattabili, ma se domani si potrà assumere, pagandola due lire, una persona già preparata e con esperienza alla stregua di un precario, questo sarà tanto di guadagnato per il datore di lavoro. Si creerà quindi una competizione tra i giovani e gli ultracinquantenni, un altro utile strumento per chi vuole speculare sul lavoro e sulla pelle di chi lavora”.
Questa riforma dunque non fa altro che eliminare le garanzie solidaristiche conquistate dai lavoratori con decenni di lotte?
“Ripeto, per usare le parole giuste questa è niente di più che una terribile controriforma”.
Si aspetta di vedere se il governo si servirà di un decreto per varare questa normativa o se porterà il provvedimento in Parlamento. Se ciò avverrà i ripensamenti e le spaccature presenti nel Pd, oltre che nel sindacato, potrebbero condurre a una revisione delle norme in Parlamento?
“Dipende dalla mobilitazione che si riuscirà a mettere in campo. Nel 2002 ci siamo riusciti. Certo stavolta sarà più difficile ma ci proveremo lo stesso. Quanto ai fermenti del Pd ho qualche perplessità: mi sembra un partito in grande stato confusionale. In ogni caso io sono convinto della necessità di costruire un movimento di lotta come esiste in molte parti d’Europa, con il compito di mettere in discussione questo governo e le sue politiche”.
Da alcuni sondaggi emergerebbe però che questo governo gode di un buon sostegno 
da parte dei cittadini, oltre che degli schieramenti politici
“Questo governo viene sostenuto sulla base del presupposto che tutto ciò che fa è nell’interesse nazionale, tanto da aver dietro una alleanza bipartisan, e dunque gli italiani per questo lo sostengono.Io sono convinto tuttavia che ciò non sia vero. Questo è un governo di destra che sta realizzando con più furbizia e con più capacità di mistificazione lo stesso programma di Berlusconi. Solo spiegando chiaramente questo ai cittadini si potrà rompere il consenso di regime a questo esecutivo e si potrà aprire un confronto utile per i lavoratori”.
I rappresentanti di questo governo affermano di voler realizzare in Italia un modello di tipo tedesco.
“Queste persone dicono di pensare al modello tedesco ma in realtà ne mutuano solo le parti che convengono. Sono tutte intrise di cultura americana ed hanno in mente solo quel modello dove il sindacato non è previsto”.
Su questa partita il sindacato si sta giocando la sua essenza e il suo futuro? Ormai il governo, dicendo che intende rispondere solo al Parlamento,  ha decretato anche la fine della concertazione. 
“Sono sempre stato critico sulla concertazione che ha sostituito la concreta azione del sindacato. Ma questo governo sembra voler cancellare qualsiasi prerogativa sindacale, dalla concertazione alla contrattazione, al contratto nazionale (come ha già fatto Marchionne), annullando contestualmente i diritti dei lavoratori”.
Quale sarà l’effetto immediato dell’abolizione delle garanzie dell’articolo 18 nei luoghi di lavoro?
Si stabilirà un regime di terrore. Con l’abolizione dell’articolo 18 si realizzerà essenzialmente l’autoritarismo più brutale in azienda, peggio ancora di quanto non sia oggi. Questa riforma equivale a dare in mano ai datori di lavoro una pistola da utilizzare contro il lavoratore. E' vero, sulla lotta contro l’abolizione dell’articolo 18 si giocherà il futuro e l’esistenza stessa del sindacato”.

domenica 18 marzo 2012


Viaggio nel cuore della Volkswagen, la fabbrica di auto che vende auto
Reportage da Wolfsburg, Germania del Nord, ultima factory town d'Europa. Diversamente dal modello autoritario Fiat, che precipita sui mercati e taglia i posti di lavoro, nel colosso tedesco i manager e gli operai decidono insieme e l’azienda vola
Ciminiere all’orizzonte: quattro, altissime. Le scorgi da lontano, chilometri prima di entrare in città. Comincia da lì il passato che non se ne vuole andare. Catena di montaggio, fabbrica, operai. Un esercito di tute blu: quasi 20 mila. Fine del turno del mattino, eccoli. Escono a migliaia dai cancelli dello stabilimento. Una scena ormai neppure immaginabile dalle nostre parti. Questa è Wolfsburg, Germania del Nord, l’ultima factory town d’Europa. Una città con il marchio Volkswagen, la multinazionale dell’auto più efficiente del mondo, un gigante che l’anno scorso ha macinato ricavi per 159 miliardi di euro, quasi tre volte Fiat-Chrysler, con profitti per 15, 8 miliardi, più che raddoppiati rispetto al 2010. Il cuore e il cervello di questa macchina da soldi, stanno nella cittadina di 120 mila abitanti in Bassa Sassonia dove Hitler nel 1938 decise di costruire il primo nucleo dell’industria automobilistica di Stato. Dalla immensa fabbrica di Wolfsburg escono 800 mila auto all’anno, circa 100 mila più di quanto produce in totale la Fiat nei suoi cinque impianti italiani.

E’ un successone la Volkswagen guidata dall’amministratore delegato
 Martin Winterkorn, premiato da uno stipendio, da record pure questo, di 17, 5 milioni. Un successo che è quasi un miracolo, perché negli anni scorsi il gruppo tedesco è riuscito a delocalizzare la produzione, dal Messico alla Cina via Slovacchia, senza tagliare un posto di lavoro in Germania. E i lavoratori, quelli dei sei stabilimenti Volkswagen, sono al centro di un sistema di welfare, dentro e fuori la fabbrica, che da noi, per molti aspetti, è ormai un lontano ricordo. Per non parlare degli stipendi. La paga base di un operaio si aggira, al netto di tasse e contributi, sui 2. 700 euro, ma con qualche ora di straordinario è facile arrivare a quota 3 mila. In altre parole, a Wolfsburg il lavoro alla catena di montaggio è pagato all’incirca il doppio rispetto a Mirafiori o nelle altre fabbriche Fiat. Qui in Sassonia, nell’impianto da 51 mila dipendenti compresi gli amministrativi e un esercito di ricercatori, tutto si muove esattamente nella direzione opposta a quella indicata da Sergio Marchionne alla Fiat. È il mondo alla rovescia rispetto al verbo della fabbrica normalizzata e obbediente predicato dal numero uno del Lingotto.

Qui il sindacato è forte, fortissimo. La IG Metall, a cui è iscritto il 95 per cento circa degli operai di Wolfsburg, partecipa a ogni singola scelta aziendale: dalle grandi strategie fino all’assunzione a tempo indeterminato di un giovane apprendista. C’è il consiglio di fabbrica: 65 delegati in rappresentanza di tutti i reparti. E poi, al vertice del gruppo, il sindacato nomina la metà dei 20 membri del consiglio di sorveglianza, l’organo di controllo sulla gestione. Regolazione minuziosa di ogni aspetto della vita aziendale contro deregulation. Condivisione invece di verticismo autoritario. Questa, in breve, è la ricetta della cogestione, la Mitbestimmung che ha fatto grande l’industria tedesca e continua, pur tra mille difficoltà, a produrre profitti e benessere. “Difficile fare confronti con l’Italia”, dice
 Franco Garippo, sindacalista a Wolfsburg da quasi 30 anni. “Ormai per noi la cogestione è diventato un modo di pensare, più che un modello organizzativo”.

Per questo, conclude Garippo, è “inutile immaginare trapianti parziali o totali del sistema tedesco nella realtà italiana”. Resta un fatto, difficile da smentire. Il modello Volkswagen, quello basato sulla mediazione continua, ha dato fin qui ottimi risultati. Mentre
 Marchionne si rifiutava di condividere con il sindacato perfino le grandi linee del fantomatico piano di investimenti “Fabbrica Italia”, i vertici del gruppo di Wolfsburg hanno negoziato con la IG Metall una serie di importanti novità contrattuali. Sintetizzando al massimo, si può dire che la scelta dei dipendenti è stata quella di concedere maggiore flessibilità, per esempio su orari e salario, in cambio della tutela assoluta del posto di lavoro.

Una garanzia su tutte: fino al 2014 l’organico dei stabilimenti tedeschi non potrà diminuire. In cambio, ormai da otto anni tutti i nuovi assunti lavorano 35 ore settimanali invece delle 33 degli operai con maggiore anzianità. A Wolfsburg si è tornati a lavorare su tre turni nell’arco delle 24 ore, ma dall’anno scorso è stato introdotto una forma di premio di rendimento (80-100-120 euro al mese) che viene negoziato su base individuale dall’operaio con il suo capo squadra, ovviamente sotto la sorveglianza della consiglio di fabbrica. Dopo molte resistenze il sindacato ha dato via libera all’ingresso in fabbrica di lavoratori a tempo determinato, con salari del 20-30 per cento inferiori a quello dei colleghi assunti in pianta stabile. Questi dipendenti precari, che ormai a Wolfsburg ammontano ad alcune migliaia, sono però formalmente alle dipendenze di una società mista tra enti pubblici e Volkswagen. Funziona molto bene anche l’apprendistato.

Ogni anno 1. 250 giovani delle scuole superiori entrano nei sei stabilimenti tedeschi (600 solo a Wolfsburg) per un periodo di formazione di 36 mesi. Di solito quei contratti si trasformano in assunzioni a tempo indeterminato dopo il via libera di una commissione mista tra sindacati e ufficio del personale. Perché la regola resta sempre e comunque la stessa: tutto viene negoziato, compresi gli investimenti e gli eventuali straordinari. Il risultato è che dopo anni di grande moderazione salariale adesso tira aria di premi. I dipendenti dei sei stabilimenti tedeschi di Volkswagen si sono appena visti riconoscere un bonus di 7. 500 euro, calcolato sulla base dello straordinario aumento dei profitti del gruppo.

Proprio in questi giorni sta cominciando la trattativa per il nuovo contratto aziendale. A Wolfsburg, su una parete del quartier generale del sindacato lampeggia un numero, il 6, 5 per cento. Questo è l’aumento in busta paga chiesto dalla IG Metall. L’azienda corre a tutta velocità e i sindacati passano alla cassa. Anche perché non si sa fino a quando potrà durare questa nuova età dell’oro. A metà marzo, in occasione della presentazione del bilancio 2011, il numero uno Winterkorn ha già messo le mani avanti. Per quest’anno, ha detto il manager, non si prevede un nuovo aumento degli utili, che, comunque, restano elevatissimi. Nel 2011 i profitti operativi del gruppo, quelli legati all’attività industriale, hanno raggiunto il 7 per cento dei ricavi. La Fiat, grazie più che altro al traino della Chrysler, arriva a malapena al 4 per cento. Il gruppo tedesco naviga nell’oro e può permettersi di finanziare agevolmente investimenti per oltre il 5 per cento del fatturato. In altre parole il denaro guadagnato non viene accumulato in cassaforte sotto forma di liquidità, come fa Marchionne ormai da anni. Alla Volkswagen le risorse servono invece a finanziare impianti, macchinari e soprattutto lo sviluppo di nuovi modelli. Tanta abbondanza diventa una garanzia per il futuro di Wolfsburg e del suo modello di gestione. Tra meno di due anni, nel 2014, scade la garanzia assoluta per i posti di lavoro. Il sindacato verrà chiamato a una nuova sfida, forse la più dura dal 1993, quando per far fronte a una crisi eccezionale ed evitare il taglio di 30 mila dipendenti si decise di ridurre a 28 ore l’orario di lavoro settimanale. Questa volta la concorrenza arriva dal lavoro a basso costo e iperflessibile così abbondante nel mondo globale. Non solo in Cina o in Sudamerica. A pochi chilometri da Wolfsburg, nei territori che un tempo erano Germania Est, le fabbriche offrono anche meno di 10 euro l’ora. Meno della metà dello stipendio lordo dell’operaio Volkswagen.

venerdì 16 marzo 2012


Fiat-Volkswagen, paga e diritti: due operai a confronto

Intervista doppia a Franco Garippo, operaio del consiglio di fabbrica dello stabilimento Volkswagen di Wolfsburg, e a Nina Leone, operaia in cassa integrazione di Fiat-Mirafiori, Torino. 

Di Mario Caprara,Radio Capital 

domenica 11 marzo 2012

GRAZIE

Roma 9 Marzo, sciopero generale dei metalmeccanici

giovedì 8 marzo 2012


ORDINE DEL GIORNO PRESENTATO DAL GRUPPO CONSILIARE P.R.C. A SOSTEGNO
DEI DIRITTI DEI LAVORATORI DELLE AZIENDE DEL GRUPPO FIAT

IL CONSIGLIO COMUNALE DI JESI PREMESSO CHE:

- da anni una grave crisi occupazionale investe tutto il paese e, in modo drammatico, la
Vallesina e, accade purtroppo che essa venga usata con grande spregiudicatezza per
riorganizzare le forme della produzione penalizzando le condizioni del lavoro, i diritti dei
lavoratori e moltiplicando le forme contrattuali a vantaggio di quelle più flessibili e precarie;
- in questi mesi le vicende del gruppo FIAT a partire da Pomigliano, per giungere al contratto
separato e all'esclusione della FIOM dalle rappresentanze aziendali, è esempio emblematico
del tentativo padronale di intaccare pesantemente le condizioni di vita, i diritti contrattuali,
le libertà costituzionalmente garantite dei lavoratori;
- tale strategia è drammaticamente confermata dal tentativo del governo Monti, spalleggiato
da Confindustria e dall'Amministratore delegato della Fiat Marchionne, di mettere in
discussione l'art. 18 dello statuto dei lavoratori;
- a Jesi è operativo uno stabilimento del gruppo FIAT Industrial che per numero di dipendenti
(circa 1.000) è il più grande non solo della Vallesina, ma probabilmente dell'intera Provincia
di Ancona;
- anche all'interno dello stabilimento jesino la FIAT, con l'accondiscendenza di alcuni
sindacati, ha dato attuazione all'accordo separato con la conseguenza, tra le altre, di
escludere il sindacato più rappresentativo all'interno di quella fabbrica, la FIOM, da ogni
possibilità di concreta azione sindacale;
- della situazione che ha comportato oltre ad oggettivo peggioramento delle condizioni e dei
tempi di lavoro, una drastica riduzione dei diritti e degli spazi di democrazia all'interno
dell'azienda, ha dato oggettiva testimonianza una affollata assemblea pubblica organizzata
dalla FIOM a Jesi meno di un mese fa;
CONSIDERATO CHE la vicenda FIAT è emblematica del ricatto padronale, sostenuto
oggettivamente dal governo Monti, tendente a far pagare esclusivamente ai lavoratori i costi
della crisi nazionale e internazionale, la città di Jesi, forte della sua storia, delle sue tradizioni
democratiche e le istituzioni che la rappresentano non possono che sostenere le legittime
rivendicazioni dei lavoratori del gruppo FIAT e della Fiom che, anche con le motivazioni
dellenegative evoluzioni delle vicende sindacali del Gruppo, ha dichiarato per venerdì 9 Marzo,
8 ore di sciopero generale con manifestazione a Roma;
ESPRIME
· il proprio disappunto e le proprie contrarietà per l'esclusione dalle agibilità sindacali
l'Organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa in Azienda;
· ferma contrarietà per l'atteggiamento discriminatorio e antidemocratico condotto da parte
del Gruppo FIAT ai danni non solo della Fiom, ma soprattutto a danno dei lavoratori iscritti
alla Fiom;
CHIEDE
· al Governo di farsi parte attiva nei confronti della FIAT per pretendere il rispetto integrale
degli impegni assunti in termini di investimenti e di nuovi modelli da produrre negli
stabilimenti italiani;
IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA COMUNALE
1. ad organizzare in tempi strettissimi un incontro con la RSU Aziendale, la FIOM e, se
ritenuto necessario, con la stessa azienda, per verificare l'effettiva situazione all'interno dello
stabilimento;
2. a dare comunicazione agli organi di stampa della decisione assunta.

Approvato all'unanimità con 22 voti favorevoli dal Consiglio Comunale di Jesi
nella seduta di lunedi' 5 marzo 2012.