16 maggio 2010 - Fabio Sebastiani.
Il governo italiano, come tutta Europa si appresta a fare una manovra durissima che grava esclusivamente sui redditi da lavoro e da pensione. Come risponde il sindacato? Prima di rispondere a questa domanda una notizia che dà un po' di respiro. All'Ilva di Taranto, lo sciopero contro il salario totalmente variabile, per aumenti salariali veri ha avuto una adesione dell'80%. Un segnale che può essere di disponibilità di ripresa al conflitto sociale sulle questioni di fondo. Quando la richiesta di flessibilità arriva a un punto limite poi si ritorce contro. E questo ci porta nel disastro del congresso della Cgil. (...)
Si è concluso con l'opposto di quello che ci hanno insegnato i nostri nonni. Invece di resistere un minuto di più, il gruppo dirigente della Cgil ha lanciato il segnale di resistere un minuto di meno. Proprio la fine dell'illusione della ripresa facile che da sola risolve i problemi apre la via alla riapertura del conflitto sociale e mostra tutta l'inutilità del sistema di accordi e di relazioni concordate tra Governo, Confindustria Cisl e Uil. Entriamo nel merito della manovra. Se è vero che una delle misure di cui sta discutendo il Governo in queste ore è quella di eliminare le agevolazioni fiscali per il salario variabile, questo vuol dire che la crisi smaschera l'idea di Cisl e Uil Confindustria e Governo, basata su flessibilità, e più salario legato alla produttività. L'accordo separato del 22 gennaio parte dall'idea che ci sarà una ripresa automatica e il sindacato deve adattare la forza lavoro ad essa. Peccato che questa idea si sta rivelando falsa. Il mondo non va così. E quindi Cisl, Uil, Governo e Confindustria sono, con le loro ricette, totalmente fuori mercato. Viene la rabbia però che proprio ora la maggioranza della Cgil aderisca a quelle ricette. In un'altra epoca una manovra così avrebbe provocato la proclamazione dello sciopero generale. La Grecia parla a tutti noi. Solo la stupidità poteva far pensare che le misure infami restassero confinate in quel paese. E' chiaro che la Grecia è una prova generale di cose che si vogliono fare in tutta Europa, a partire da Spagna e Italia. Per cui o a quelle misure ci si oppone sul serio oppure sarà la catastrofe sociale dell'Europa. Per essere chiari, io penso che di fronte alla manovra annunciata dal Governo, la Cgil dovrebbe proclamare immediatamente lo sciopero generale. E se non lo dovesse fare? Sarebbe una responsabilità gravissima di Epifani e della sua maggioranza. Sarebbe la scelta di subire in Italia la pura difesa dello status quo a favore delle classi dirigenti che ci hanno portato alla rovina. La crisi economica che è riesplosa dimostra che non ci sono alternative, né per il sindacato né per la sinistra, né per il movimento operaio, a una scelta chiara tra cambiamento e adattamento. Cambiare significa mettere in discussione le politiche di questi anni perché non portano da nessuna parte. Ripeto, qui c'è la rabbia per il congresso della Cgil,dove si è delineato un cedimento culturale e politico proprio quando vedi che quelli che hai contro non sanno più cosa fare. Insomma, non si è sbagliato più di tanto a parlare di mutazione della Cgil. Riparto dal punto iniziale. Dopo venti anni di sacrifici da parte dei lavoratori la crisi economica impone ancora più sacrifici. O il sindacato si oppone a questo e propone un cambiamento al cui primo punto c'è "paghino solo gli altri", oppure il sindacato confederale in Italia così come l'abbiamo concepito ha esaurito la sua funzione. In questo senso diventa semplicemente una appendice delle imprese e dei poteri più ricchi e forti. Ma il congresso della Cgil non si è misurato su questo. Il congresso della Cgil rappresenta purtroppo la conclusione negativa di un percorso. In qualche modo è una svolta come quella che portò allo scioglimento del Pci. Almeno Occhetto fece due congressi per decidere lo scioglimento del Pci, mentre il congresso della Cgil è stato fatto tacendo sulle questioni di fondo, polemizzando sullo Spi o sulle oligarchie, dicendo che non si capiva perché c'erano due mozioni. E poi, a Rimini, nelle conclusioni Epifani ha detto la verità, cioè che la divisione era nel rapporto con la Confindustria, con Cisl e Uil sulla democrazia sindacale e sul giudizio sull'accordo separato. Cioè sulle questioni di fondo. Credo che resterà sempre come macchia politica e morale della maggioranza della Cgil avere negato diversità profonde che poi sono state rivendicate quando si erano già presi i voti dei lavoratori. Ritornare alla ricetta della concertazione non è comunque un passo indietro? E' evidente che dentro la Cgil si è affermato un principio di autodifesa della burocrazia sindacale, che si sente messa in discussione nella crisi e che per questo pensa di salvarsi comunque. Il sindacato degli enti bilaterali, dei servizi, della concertazione a tutti i costi che Cisl e Uil praticano, è vissuto oggi anche in Cgil come una via di salvezza per gli apparati. A me ha colpito profondamente che l'applauso più forte che ha ricevuto Epifani nelle conclusioni è stato quando, in evidente polemica con la Fiom, ha parlato dei conflitti troppo lunghi che non portano da nessuna parte. Sì, c'è stato uno smottamento a destra del corpo della Cgil dovuto alla paura e alla rassegnazione, in un momento in cui le controparti dicono: "se vi arrendete vi salvate". L'opposizione interna cosa fa? Quella parte della Cgil che ha deciso di votare no ha una responsabilità enorme. Deve decidere se si piega oppure resiste e si oppone. E' chiaro che io penso a questa seconda scelta. Cioè, al fatto che la minoranza si metta di traverso esplicitamente, pubblicamente, con iniziative anche di massa per fermare la deriva moderata della Cgil. Se riusciremo a farlo, i lavoratori ce ne renderanno merito perché di fronte alla crisi e al fallimento delle politiche concertative e liberiste ritroveranno uno strumento di lotta. Altrimenti da noi sarà peggio che in Grecia. Sì, va bene, ma tu hai evocato la svolta della Bolognina, che poi portò a una scissione... Credo che dovremmo provare a scrivere un'altra storia. Anche perché non è in gioco solo l'identità della Cgil ma la concretezza del conflitto sociale. Sinceramente, penso che oggi la maggioranza della Cgil sia fondata su basi fragilissime e che una minoranza decisa può fare emergere tutte le contraddizioni e far ritrovare alla Cgil la giusta via. Per questo bisogna organizzare il dissenso e la disubbidienza. Questo è il compito e anche il dovere che io sento di presentare al gruppo dirigente della mozione alternativa. I prossimi giorni saranno decisivi. Tutti siamo chiamati a responsabilità senza precedenti. Occorre convocare rapidamente una assemblea di massa della mozione che decida i contenuti principali e le modalità della battaglia politica in Cgil.
[intervista pubblicata su "Liberazione" del 16/05/2010]
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