Contro il governo Monti Marchionne |
In uno dei suoi ultimi sgangherati interventi contro la Fiom, sempre più uguali a quelli di Berlusconi contro i comunisti, Sergio Marchionne ha anche esaltato le scelte che prepara il governo Monti. Dal suo punto di vista ha perfettamente ragione. L’impostazione economica del governo, almeno secondo tutto quello che appare dalle indiscrezioni che lo stesso governo volutamente fa uscire, corrisponde nella società italiana a quello che Marchionne fa in Fiat.
Vediamo qualche dato. E’ uscito su Il Sole-24 Ore un articolo che paragona la condizione degli operai dello stabilimento Volkswagen di Wolsfburg con quella degli operai Fiat di Pomigliano, dopo l’accordo che l’azienda vuole estendere a tutti i lavoratori del Gruppo. Un operaio tedesco guadagna 2.100 euro al mese contro i 1.200 di quello Fiat. L’orario di lavoro settimanale massimo è di 35 ore, quello successivo è pagato straordinario e deve essere concordato, non comandato dall’azienda. L’orario effettivo della prestazione è di 420 minuti al giorno per l’operaio Fiat mentre è di 392 minuti per quello Volkswagen. Oltre questo ci sono migliori regolamenti sulla malattia, sui diritti e naturalmente la piena libertà di eleggere il proprio consiglio di fabbrica, tutto a vantaggio degli operai tedeschi. Ciò nonostante l’amministratore delegato della Fiat sostiene che in Italia non si può produrre perché non siamo competitivi e abolisce le libertà sindacali.
Il governo Monti si trova di fronte a una situazione sociale del paese che paragonata con quella dei paesi del Nord Europa è simile al confronto fra Fiat e Volkswagen. Nel nostro paese la ricchezza è concentrata nel 10% della popolazione, che detiene la metà del patrimonio globale degli italiani. Mancano indennità di disoccupazione, la scuola pubblica è a catafascio, i servizi ferroviari regionali secondo l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato si fermeranno a febbraio. Tutti i servizi sociali sono in crisi o sotto finanziati, mentre i pochi soldi rimasti si investono nelle grandi opere invece che nella salvaguardia del suolo, del territorio, del patrimonio culturale e dei beni comuni.
I salari sono tra i più bassi dell’Ocse e oggi calano pesantemente rispetto all’inflazione, mentre la stragrande maggioranza dei pensionati vive con meno di 800 euro al mese. Anche le pensioni di anzianità, scandaloso privilegio secondo alcuni, non ci mettono in condizioni migliori del resto dell’Europa. L’età effettiva del pensionamento in Italia è uguale a quella della Germania e superiore a quella della Francia. Siamo in recessione mentre c’è la disoccupazione giovanile e femminile tra le più alte del continente e mentre intere aree del Mezzogiorno precipitano nel disastro sociale. Su tutto questo trionfano l’evasione fiscale e la corruzione. Insomma in poche cose siamo come gli altri paesi, ma in quasi tutti gli aspetti della vita civile e sociale, stiamo peggio del resto dell’Europa.
Ciononostante, per il governo Monti come per Marchionne bisogna fare ancora sacrifici. Milioni di famiglie italiane rischiano il default della propria vita per la caduta dei redditi, ma tutto deve essere sacrificato sull’altare del debito.
Così si annunciano misure contro le pensioni che avranno un effetto devastante sia sui redditi dei pensionati, sia sull’occupazione, sia sulle condizioni di lavoro. Si impone l’Ici sulla prima casa e si aumenta l’Iva con effetti terribili sui redditi più bassi. Si annuncia l’attacco all’articolo 18 che comincia dai giovani, ma si estenderà a tutti, così come ha fatto Marchionne, anche se c’è stato chi ha sostenuto che Pomigliano sarebbe stata un’eccezione. E infine si impone l’assurdità del pareggio di bilancio in Costituzione. Che comporterà costi sociali incalcolabili, visto che gli interessi che si pagano sul debito pubblico sono oggi dai 70 ai 100 miliardi all’anno e quindi l’obbligo del pareggio significa togliere ogni anno la stessa cifra ai servizi sociali, ai diritti, alla scuola, alla civiltà del nostro paese.
Naturalmente ci sono delle differenze tra l’operare di un capo di governo e di un capo d’azienda multinazionale, qualche mediazione linguistica e politica bisogna pure farla. Ma la sostanza del comune sentire che unisce Monti e Marchionne è che entrambi pensano che per curare il malato bisogna somministrargli dosi sempre più forti di quella stessa medicina che lo ha fatto ammalare. Sono entrambi liberisti ultrà che pensano che solo il mercato, la globalizzazione, la selezione sociale che ne deriva, possono salvare il paese o le fabbriche. E invece li affondano. Li affondano perché le misure del governo, oltreché ingiuste sono anche incapaci di affrontare la recessione, anzi l’aggraveranno. E perché l’antisindacalità di Marchionne copre solo lo smantellamento complessivo dell’investimento industriale Fiat in Italia.
Stessa è la logica che ispira Monti e Marchionne e stesso è il fastidio che a questo punto provocano quegli ipocriti distinguo che nel palazzo si fanno tra l’uno e l’altro e dall’uno e dall’altro.
In Italia c’è oggi un governo imposto dall’Europa delle banche che applica nel paese le regole e le logiche della finanza e delle grandi multinazionali. La discriminante di fondo è tra chi quelle scelte le avversa, per costruire un’alternativa, e chi invece le accetta o sostiene. Tutto il resto sono chiacchiere.
articolo di Giorgio Cremaschi
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