Giovani e arrabbiati «È comprensibile»
18 Dicembre 2010
| Le indicazioni della piazza, i trucchi di Marchionne, lo sciopero generale.
Intervista al segretario della Fiom
Martedì scorso il segretario della Fiom Maurizio Landini era in piazza a Roma con gli studenti dietro lo striscione «Uniti contro la crisi» insieme a operai, precari, attivisti dei movimenti e, naturalmente, studenti. In questa intervista partiamo proprio da quella piazza e dalle indicazioni che se ne possono trarre.
Molti commenti si sono concentrati sulla violenza. Oltre l'ovvia condanna degli atti violenti che la Fiom non ha perso tempo a esprimere, non credi che la domanda dei giovani meriti qualche riflessione in più?
Mi ha colpito la straordinaria quantità di giovani in campo, determinati. Che siano arrabbiati è comprensibile: la loro è una generazione a cui viene sottratto il futuro, non ha di fronte a sé una prospettiva di lavoro e di vita sostenuta da tutele e diritti. Ai tempi miei, quando andavi a lavorare ti toccavano 12 giorni di prova e poi arrivava il contratto a tempo indeterminato. Oggi un giovane, se gli va bene, ha di fronte il precariato a vita. Questa generazione ci interroga, sono convinto che tanto la Cgil quanto la Fiom si debbano assumere delle responsabilità, prendendo l'iniziativa in un contesto di vuoto politico, con le mediazioni saltate. Questa è una delle molte ragioni per cui la Fiom chiede alla sua confederazione di organizzare uno sciopero generale. Gli studenti vengono davanti alle fabbriche e nello loro università occupate discutono di precarietà, sanno tutto sul collegato lavoro e sulle conseguenze che avrà su di loro. Così come gli operai sanno benissimo che la riforma Gelmini è classista e renderà ancora più difficile mandare i figli all'università. Porsi in un'ottica di ascolto e di assunzione di responsabilità non vuol dire giustificare le violenze di martedì. In piazza c'era anche chi puntava allo scontro, voleva fare casino, ma noi dobbiamo interrogarci sulle ragioni per cui tanti giovani hanno sostenuto, o non si sono opposti agli atti violenti. Qual è il loro stato d'animo, quale la loro distanza dalla politica, e da cosa dipende?
C'è chi ribatte che dentro una crisi strutturale lo sciopero non è l'arma migliore per difendere i più deboli. E poi, dicono gli scettici, il movimento non ha la forza necessaria, ci sono le divisioni...
Se per proclamare uno sciopero devi sapere prima con precisione come andrà, vuol dire che quello sciopero non lo farai più. Ci dobbiamo assumere dei rischi, verso i lavoratori. La crisi rende tutto più difficile e le ricette della politica dividono, frantumano sul lavoro come nella società. Ciò non vuol dire che devi accettare tutto, magari per non farti isolare e ridurre il danno. La Fiom ha un atteggiamento fermo in difesa dei diritti e della dignità, a Pomigliano come a Mirafiori e ovunque, a costo di trovarsi contro non solo i padroni e il governo ma anche gli altri sindacati. Ma come la mette chi critica lo sciopero generale con il fatto che in tutte le 250 aziende in cui si sono rinnovate le Rsu, la Fiom ha vinto o comunque è andata avanti, mentre le altre sigle sono state sfiduciate? La crisi è utilizzata per cancellare il sistema di diritti conquistati nei decenni scorsi. È il sindacato stesso che viene messo in discussione, nella sua autonomia e nel suo ruolo contrattuale, per riportare tutto il comando nelle mani dell'impresa. Serve più radicalità nelle analisi e nelle proposte, nella difesa dei diritti come nella costruzione di un'uscita diversa dalla crisi. Questo modello di sviluppo è al capolinea, di questo dobbiamo discutere.
Le forze d'opposizione dicono oggi di aver riscoperto il lavoro, però individuano l'avversario da battere solo in Berlusconi e rispolverano la parola d'ordine del patto sociale con la Confindustria.
La Confindustria è parte del problema, non la sua soluzione. Nei pochi casi in cui polemizza con il governo lo fa da destra, chiede più tagli, provvedimenti più antipopolari proprio perché vuole sfruttare la crisi per cancellare il sindacato. In questo Marchionne è l'apripista, ma non è che Bombassei o la Marcegaglia abbiano un orizzonte diverso. Le forze d'opposizione, invece, dovrebbero interrogarsi senza rimozioni sulle ragioni per cui il mondo del lavoro diserta le urne o vira a destra. Se nel 2008 Berlusconi ha nuovamente vinto, non sarà anche perché sul versante del lavoro e della precarietà il governo Prodi ha fatto ben poco?
Si diceva: Pomigliano è un'eccezione, poi sono arrivati i licenziamenti di Melfi e il nuovo ricatto di Marchionne sul futuro di Mirafiori, l'attacco al contratto nazionale, la pretesa di defiommizzare le fabbriche con lo strumento delle Newco. Il modello è sempre lo stesso, non rischia di scatenare nel padronato e nella società un effetto imitativo?
Tra i meccanici è già così e in Confindustria a comandare sono le aziende metalmeccaniche. Anche chi contesta il metodo Marchionne perché sa che è impraticabile cancellare la Fiom punta sul sistema delle deroghe che è un altro modo per svuotare il contratto nazionale. Altro che contratto dell'auto, l'ennesima frantumazione: dobbiamo percorrere la strada opposta puntando al contratto dell'industria. Io sono totalmente contrario alla defiscalizzazione del salario aziendale legato al secondo livello perché i lavoratori che ce l'hanno sono una minoranza e per gli altri l'unico strumento solidaristico è il contratto nazionale. Dentro la crisi e sotto i colpi delle ricette padronali e berlusconiane e degli accordi separati, la Fiom individua nella democrazia dei lavoratori e nella certificazione della rappresentanza la strada da seguire. In passato era la Uil di Benvenuto a battere sul tasto del referendum e noi eravamo contrari sostenendo che solo chi faceva le lotte ed era in assemblea aveva diritto di voto. Oggi dobbiamo assumere in toto la pratica della democrazia, con tutto quello che comporta, anche la nostra firma su posizioni che non condividiamo ma scelte dalla maggioranza dei lavoratori. Una pratica che ci avvicinerebbe anche alla domanda dei giovani.
Non sarà che Marchionne prende in giro tutti quanti? Divide il sindacato e persino la Confindustria, fa discutere sui turni, le pause, il diritto di sciopero, il contratto nazionale mentre prepara la fuga dall'Italia e cerca solo un alibi, magari l'«indisponibilità» della Fiom.
Le carte di Marchionne sono truccate. Due anni fa diceva che Termini Imerese non è competitiva perché tra la fabbrica e il mercato c'è il Mediterraneo. Adesso dice che a Mirafiori farà Suv («in Italia non ha senso», aveva giurato) ma il motore lo porterà dall'America e poi l'auto finita sarà riportata sul mercato americano. L'Atlantico è più stretto del Mediterraneo? Forse è questo che si intende parlando dei prodotti a chilometro zero? Prima del 2012 la Fiat non sfornerà nuovi modelli dalle fabbriche italiane, l'auto elettrica la costruisce negli Usa, degli investimenti - minori di tutti i concorrenti - non si vede neanche l'ombra e la quota del Lingotto in Italia e in Europa è in caduta libera. E quando ci chiedono di scegliere se farci ammazzare o farci tagliare le gambe, come a Pomigliano o a Mirafiori, cosa dovrebbe fare la Fiom, firmare per dimostrare il suo senso di responsabilità? Noi siamo responsabili, soprattutto verso le lavoratrici e i lavoratori. Dovremmo gridare in coro con Bonanni «dieci cento mille Pomigliano»? La verità è che Marchionne ha sbagliato le sue analisi, prevedeva un bagno di sangue in Europa con la chiusura di decine di stabilimenti automobilistici, invece ne è stato chiuso solo uno, più Termini Imerese che per la Fiom deve invece avere un futuro. Marchionne ha in mente la Chrysler e lavora a liberare la famiglia Agnelli dall'auto. Se finora ha potuto fare quel che ha voluto è perché l'Italia è l'unico paese che non ha una politica industriale, non protegge le sue risorse e i suoi lavoratori.
Landini: "Gli studenti conoscono il collegato lavoro e gli operai sanno che la riforma Gelmini è classista". Bisogna porsi in ascolto, "senza giustificare le violenze"
Nessun commento:
Posta un commento