La Grecia e l’Italia, le manifestazioni in piazza ad Atene fino ai morti, fino alla tragedia, la protesta operaia a Milano o in Sardegna, protesta che per conquistare attenzione inventa forme di lotta, la «conquista» di un carroponte all’Innse di via Rubattino o l’occupazione all’Asinara, forme di lotta clamorose, dettate dalla paura di fronte alle minacce, alla povertà o all’assenza della politica, ai colpi di mano dei «padroni», che chiudono di nottetempo e nascondono altrove i macchinari. Ne parliamo con il segretario della Fiom, Gianni Rinaldini, che intanto racconta di una crisi «devastante, assolutamente devastante, al di là delle tante chiacchiere di chi un giorno la vede superata e un altro la vede così così». «Una crisi – insiste Rinaldini – comparabile solo a quella del 1929, il crollo di Wall Street, con una differenza però, al di là delle drammatiche conseguenze, almeno nei paesi democratici (altrove la risposta fu autoritaria: nazismo e fascismo) si individuò una via che condusse alla definizione dell’intervento pubblico e, in Europa, dello stato sociale».
Ma Keynes non è più di moda, ormai, e lo stato sociale è sotto assedio…
«Infatti non vedo all’orizzonte niente di tutto quello. Non lo vedo nella politica tanto di una destra democratica quanto della sinistra, non vedo nessun ripensamento a proposito delle ragioni che ci hanno condotto a questo disastro. Percepisco solo un balbettio di regole da consegnare al sistema finanziario, come se la crisi non fosse assieme crisi di un sistema finanziario e di un modello sociale. Da qui si deve partire per capire una situazione folle come quella che sta vivendo la Grecia, dove succede che a dettare le condizioni dell’assetto sociale, siano il Fondo monetario internazionale o la Banca centrale europea, che hanno espropriato un governo legittimo e cancellato la politica».
Son cose che si cominciano a vedere anche in Italia…
«Queste sono le regole dettate dalle istituzioni finanziarie e, dalle multinazionali… faccio fatica a distinguere. L’Italia? Non siamo affatto oltre la crisi. Anzi, per l’occupazione, siamo nella fase peggiore. Ma la crisi serve a governo e Confindustria per dettare nuove relazioni sociali: si parte con l’accordo separato sul sistema contrattuale, si continua con il collegato sul lavoro, ci si mette in mezzo la riduzione delle tutele sul lavoro e l’aumento della precarizzazione. E presto ci toccherà sentire l’annuncio del superamento dello Statuto dei lavoratori. Basterebbe pensare al collegato sul lavoro e la stessa idea di federalismo, che, come ha spiegato il presidente leghista del Veneto, più che il fisco toccherà materie contrattuali, approfittando peraltro di una scelta del governo di centrosinistra, un errore, che assegnava alle Regioni una titolarità legislativa concorrente anche su “tutela e sicurezza” del lavoro. Il tutto avviene negando la democrazia, perché i lavoratori non possono votare niente, ai metalmeccanici è stato persino impedito di votare il loro contratto, prefigurando un assetto sociale che prelude a un assetto di carattere autoritario della società. In altri termini: una volta risolta la questione sociale, nessuno si può illudere: a quel punto la torsione autoritaria sarà tale fino a colpire la Costituzione».
Nelle fabbriche di tutto questo quanto si avverte?
«Si coglie grande disagio e una frattura totale dalla politica. Vedo un disagio che a partire dalla condizione delle giovani generazioni può andare da qualsiasi parte e questo, come sempre storicamente, è molto pericoloso. Una condizione di disagio che finora, se penso a certe aziende metalmeccaniche e ad altre informatiche, ha trovato una interlocuzione nel sindacato. Ma voglio ricordare un episodio particolare: quello del lavoratore che dopo mesi di cassa integrazione davanti alla moglie si infligge sette coltellate, gridando che non si può andare avanti così… Come non vedere che se viene a mancare la speranza, le reazioni diventano esasperate, anche determinando quell’isolamento individuale che conduce a tragedie di quel genere. I suicidi sono già stati numerosi….».
Nell’esasperazione si può dar spazio a una deriva terroristica?
«Non credo. La situazione non è paragonabile. Altra fase storica, altro momento della politica».
Perché dentro il terrorismo, a costruirne l’ideologia, stava anche la politica…
«Vedo la possibilità di rivolte, nel senso di una esasperazione della protesta in forme particolarmente dure… Sono stato a Pomigliano ad un’assemblea. Si è discusso delle nuove regole che la Fiat vorrebbe imporre. Bisogna sapere che cosa ad esempio significa lavorare sulla linea di montaggio, per capire che cosa significano l’aumento dei ritmi, la riduzione delle pause, i diciotto turni. Prendere o lasciare, dice la Fiat, annullando la negoziazione, annullando la stessa dignità dei lavoratori… Salvo scoprire fra un po’ di tempo che ci saranno molto inidonei per eccesso di sfruttamento. Allora la Fiat, come fa in altri stabilimenti (a Melfi ad esempio) chiederà come liberarsi dagli inidonei, dopo averli spremuti. Ma un rapporto fondato sulla precarietà, sullo smantellamento delle tutele, sull’insicurezza sociale e del lavoro, insomma sull’”usa e getta” dei lavoratori è un rapporto sociale in sé violento».
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